Introduzione
Al netto delle divergenze sostanziali emerse rispetto alle numerose questioni sullo sfondo della campagna presidenziale americana del 2012, si è evidenziata una frattura più profonda. La massima sull’autonomia – “posso farcela da solo” – si pose in forte contrasto con un altro noto adagio: “Siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo creare una comunità nazionale solidale”. Ebbero una vasta eco sia l’appello del governatore Romney per un governo piccolo composto da individui forti, sia l’appello del presidente Obama ad uno spirito di compassione. Sebbene in apparenza contraddittori, i due poli di questo continuum autonomia/comunità solidale costituiscono le componenti fondamentali dello spirito della democrazia americano. Inoltre, essi affondano le loro radici nel passato di questa nazione.
Entrambi sono parsi evidenti fin dall’insediamento di John Winthorp a governatore del Massachusetts, nel Diciassettesimo secolo. “Dobbiamo lavorare insieme” per il “bene comune”, proclamava, allo scopo di creare la “splendente città sulla collina”, che dimostri la maestà di Dio. Tuttavia, come individui soli dinanzi a Dio, noi siamo direttamente responsabili delle nostre convinzioni e del nostro destino.
Analogamente questo continuum era chiaramente visibile sia allorquando i fondatori si schierarono dividendosi in jeffersoniani e hamiltoniani, sia nel Diciannovesimo secolo. “Individui eroici” si tolsero da soli dai guai e “individui vigorosi” conquistarono la frontiera. Altri americani si occuparono degli immigrati appena arrivati e costituirono organizzazioni di volontariato per “restituirli” alle loro comunità. Si diffusero il “servizio pubblico” e l’attività filantropica.
Il riverbero di questi due poli illuminò ancora tutto il Ventesimo secolo. Infatti la disposizione degli americani verso l’interesse privato e il progresso civico perdurarono, nonostante fosse in corso una grande trasformazione: una nazione giovane popolata per lo più da piccoli agricoltori diventava una nazione di residenti urbani, impegnati in mansioni altamente specializzate presso fabbriche e uffici. Il continuum di autonomia/comunità solidale sembra persistere, al punto che un visitatore proveniente dal Diciottesimo secolo, troverebbe familiare l’attuale panorama politico.
Tale contesto è ancora impregnato di questi ideali. Gli atteggiamenti del tipo “volere è potere” di coloro che sono animati da una tensione all’autonomia si accompagnano e, occasionalmente, si fondono con un impegno degli individui finalizzato al benessere delle loro comunità. Gli americani sono “self-made”, indipendenti e capaci di scegliere – e dunque di perseguire – le “opportunità individuali” in un percorso di mobilità ascendente. Molti credono che l’“intervento del governo” sia legittimo solo in rari casi. Tuttavia, noi ci sentiamo anche responsabili gli uni verso gli altri e pronti a contribuire alla vita della nostra nazione, nei termini dell’invito che John F. Kennedy rivolse a tutti gli americani. In forza di un “legame comune” e di un “destino condiviso”, ci si attende che il servizio pubblico sia ordinato al miglioramento civico. Partecipiamo a servizi di volontariato con una frequenza molto superiore a quella dei cittadini di altre nazioni, e parliamo di una “dedizione” tesa al miglioramento delle nostre comunità. Confidiamo di essere “nazione capace di compassione”. L’individualismo è lodato, ma l’eccessivo individualismo è condannato proprio perché sprovvisto di “impegno disinteressato” e di tensione civica.
Questi due poli del continuum politico americano, sebbene durevoli e capaci di incidere lungo tutta la nostra storia, talvolta sono degenerati in un rapporto di antagonismo. L’elevato livello di decibel, evidente durante la campagna elettorale del 2012, ha reso manifesta questa scissione. Prontamente arruolato da un grande partito politico, ciascuno di questi poli sembra andare per la propria strada.
Le elezioni del 2012 hanno portato quasi in superficie le linee della faglia. Esse resistono ostinatamente e ancora una volta si fanno pronunciate. Dobbiamo inevitabilmente porci delle domande: questa frammentazione manifesta ancora una volta una normale oscillazione da una parte all’altra di quel continuum, benché esacerbata dalla retorica di una campagna elettorale? Oppure questa linea di divisione della nazione ha palesemente introdotto una vera e propria interruzione di quel movimento di oscillazione pendolare che perdurava da trecento anni? È venuta meno la bussola interna garantita alla società americana dal continuum autonomia/comunità solidale? Lo scenario politico americano versa in uno stato di severa crisi?
Recentemente innumerevoli osservatori hanno rilevato una profonda frammentazione e una involuzione della vita comunitaria. La diminuzione del livello di partecipazione è stata documentata in una gamma di organizzazioni, dai sindacati ai Rotary club, alle associazioni di genitori e insegnanti. I commentatori sostengono che il diminuito impegno nei gruppi riduca – in forza dell’isolamento – l’influenza degli individui nell’arena politica, a livello sia locale che statale e federale. Anche gli “individui forti” avvertono un crescente senso di impotenza.
Questi analisti ritengono che si sia cristallizzato un nuovo assetto del processo decisionale, il quale minaccia lo spirito americano di democrazia: gli interessi personali sono saliti alla ribalta, mentre è declinata la partecipazione alle attività civiche. In pari misura, affermano molti osservatori, si assiste a un deterioramento della coesione comunitaria e una generale privatizzazione della vita. Risuona sempre meno l’idea di un obbligo verso la propria comunità. I “progetti di comunità” si rivelano spesso subordinati a interessi privati e sprovvisti di alcun carattere civico; il riferimento al nostro “destino condiviso” sovente sembra soltanto retorico.
La metafora di Robert Putnam – gli americani sono sempre più dei “solitari giocatori di bowling” (2000) – descrive bene questa contrazione della sfera civica. Allo scopo di bloccare o almeno di ridurre questa tendenza, molti propongono di intensificare i diversi meccanismi della socializzazione, seguendo Émile Durkheim, il fondatore francese della moderna sociologia. Essi perseguono anche un rafforzamento delle associazioni civiche, seguendo Durkheim e Alexis de Tocqueville. In questo modo può verificarsi un rinnovamento dello spirito americano della democrazia?
In anni molto recenti, questa discussione sulla “crisi americana” ha acquisito nuovi partecipanti e l’enfasi si è spostata su altri aspetti. Gli analisti della “nuova crisi” ritengono altresì che resti indispensabile la presenza di una vivace sfera civica. Tuttavia, dicono, questa non sorgerà se il potere e la ricchezza rimangono concentrati nelle mani di piccole élite, come sempre di più avviene negli Stati Uniti. Molti sostengono che un’ampia distribuzione del potere politico e della ricchezza economica costituiscano una precondizione sociale per l’esistenza di una classe media orientata al di là degli immediati interessi economici, verso la partecipazione e il servizio. Questa profonda disfunzione nella società americana non viene affrontata, insistono, attraverso un’intensificazione dei meccanismi della socializzazione e un rafforzamento delle associazioni civiche.
Questi osservatori vedono un indebolimento significativo della classe media negli anni successivi al collasso economico del 2008. Inoltre, tra una forte polarizzazione dei livelli di reddito e una contrazione mai immaginata prima d’ora della ricchezza e del potere entro una ristretta cerchia, la classe media si è mostrata sempre meno in grado di opporre resistenza alla progressiva quanto deleteria colonizzazione della sfera civica da parte delle ricche élite economiche e politiche. Essi sostengono che ora regni una nuova plutocrazia e che a dominare siano adesso gli interessi di un ristretto segmento della popolazione. È all’orizzonte, ci avvertono, una “Nuova Età dell’Oro”, caratterizzata oggi da una crassa manipolazione dell’opinione pubblica da parte dei poteri egemonici.
In tali circostanze, una sfera civica vitale abitata da una comunità solidale, appare a questi commentatori un’utopia. Essi affermano che oggi esista una società nella quale dominano gli interessi dei potenti. La mobilità verso l’alto ridotta ai minimi termini e le gravi disuguaglianze, potranno essere accettate su larga scala? Se questa nuova “diseguaglianza radicale” prevale, insistono, il Sogno americano e gli ideali della comunità solidale gradualmente sbiadiranno e svaniranno, così come l’ethos basato sulla fiducia in sé stessi.
Molti illustri commentatori da una parte all’altra dell’orizzonte politico insistono nell’affermare che gli Stati Uniti si trovano a una svolta cruciale. Essi intravedono un periodo di crisi all’orizzonte, caratterizzato da una perdita di continuità con il passato, da una debolezza della vita civica e da diseguaglianze di inusuale gravità. Alcuni osservatori sostengono che sia già stata tracciata una nuova traiettoria, nella quale la forza di una sfera civica un tempo vibrante continua ad esse...