Metamorfosi
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Cervello in divenire, benessere psicofisico e nuove strategie terapeutiche

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Cervello in divenire, benessere psicofisico e nuove strategie terapeutiche

About this book

Il cervello è plastico, le neuroscienze accreditano l'idea che sia plasmato dall'ambiente e in continua evoluzione: ciò ne ha favorito l'accostamento alla meccanica quantistica. È l'effetto dell'entanglement a stimolare questo legame, suggerendo che tra il cervello e il suo ambiente vi sia qualcosa di analogo all'intreccio che si riscontra tra due particelle subatomiche "intricate". Da questa dinamica intrinsecamente dissipativa si sviluppa il processo del sapere, del sentire, del vivere. Il concetto di neuroplasticità permette di capire l'enorme potenzialità dei contenuti mentali che posseggono un'importante capacità trasformativa anche a livello somatico-biologico: è questo l'obiettivo dell'utilizzo dell'ipnosi clinica da sola o associata all'ecografia. L'originalità del libro sta nel presentare, attraverso il dvd allegato, una rassegna di casi di studio che evidenziano la possibilità di potenziare questa dinamica attraverso una "strategia dello sguardo", che consente di ri-programmare la mente con il ricorso a immagini, alternative a quelle dominanti, e di ristabilire un corretto rapporto con il sÊ corporeo che tende a frammentarsi nella malattia.

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Parte II

Normale e patologico
e nuove strategie terapeutiche
di Silvano Tagliagambe1

1 Professore emerito di Filosofia della scienza, UniversitĂ  di Sassari
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1. RealtĂ 
fisica e medicina

Si sta moltiplicando, nella letteratura e nella convegnistica, l’interesse per la questione del rapporto tra le scienze biomediche e la meccanica quantistica. A prima vista può sembrare strano che la medicina, che ha a che fare con una realtà macroscopica, come il nostro corpo, si interessi di ciò che avviene a livello microscopico e presti attenzione alla teoria che utilizziamo per descrivere atomi, molecole e le loro interazioni, e che riguarda dunque i sistemi microscopici, mentre quelli riguardanti la nostra esperienza quotidiana diretta sono adeguatamente descritti dalla fisica classica, che continua per questo a essere utilizzata per spiegarli. Si potrebbe pensare che sa un fatto di moda, ma le cose non stanno affatto così perché tra questi due livelli c’è un nesso che non può essere ignorato e che presenta aspetti sempre più interessanti e degni di approfondimento.
Per inquadrare questo tema cruciale va in primo luogo ricordato, sulla scia di quanto precisa Ignazio Licata (2008), che quando si parla di “quantum brain” lo si può fare essenzialmente in due modi, ossia considerando che nei modelli:
a. i processi quantistici vengano considerati reali all’interno del cervello e siano descritti dal formalismo della meccanica quantistica (cosiddetta “prima quantizzazione”) o della teoria quantistica dei campi (cosiddetta “seconda quantizzazione”);
b. i processi quantistici non vengano considerati reali, ma si utilizzi il formalismo quantistico per descrivere processi complessi caratterizzati da auto-organizzazione ed emergenza. In tal caso, si parla di “Quantum like semantics”, in quanto i sistemi trattati non sono di natura quantistica ma seguono piuttosto una logica quantistica nelle relazioni tra sistema ed osservatore, cosa che modifica il significato del formalismo.
Nell’un caso e nell’altro emerge comunque l’esigenza di capire quale sia la portata dell’innovazione che la meccanica quantistica, teoria che ha ormai quasi un secolo di vita alle spalle, e non può quindi essere considerata una novità nel panorama della ricerca scientifica, introduce nella nostra considerazione dell’ambiente naturale nel quale siamo immersi e nel modo di concepire l’articolazione interna e il funzionamento del nostro cervello e del nostro corpo.
La prima differenza fondamentale riguarda la struttura delle due teorie: la meccanica classica si occupa di punti che si muovono nello spazio seguendo traiettorie ben precise secondo le leggi di Newton, mentre la meccanica quantistica si occupa di sistemi fisici descritti da una funzione d’onda che evolve secondo un’equazione fondamentale formulata da Erwin Schrödinger nel 1925 e che porta il suo nome, pubblicata l’anno successivo.
Per spiegare le caratteristiche specifiche del mondo subatomico Schrödinger immaginò che gli elettroni legati nelle strutture atomiche potessero essere trattati come corde vibranti, e che i modi di oscillazione fossero in relazione con le loro energie. Si pensi, per farsi un’idea concreta della situazione, all’atomo più semplice, quello di idrogeno in cui un solo elettrone “orbita” attorno a un protone. L’elettrone, secondo lui, può essere trattato come una corda i cui estremi siano fissati. Tra gli estremi si stabilisce un’onda stazionaria. La distanza tra gli estremi è pari a mezza lunghezza d’onda nel caso in cui l’onda si trovi nel suo stato di minima energia. Due mezze lunghezze d’onda corrispondono al livello energetico superiore, tre al successivo e così via. Pur utilizzando una descrizione dell’elettrone assai diversa da quella consueta per l’epoca, e quindi in un certo senso rivoluzionaria, Schrödinger spiegava così i misteriosi salti quantici mediante una visualizzazione intuitiva di onde di densità di carica elettronica disposte su orbite distribuite attorno al nucleo.
Per quanto riguarda i livelli energetici dell’atomo di idrogeno, questa equazione si trova in perfetto accordo con i risultati ottenuti da Bohr e al suo interno compare la quantizzazione dei livelli previsti da quel modello. L’innovazione introdotta da Schrödinger sta, come si è sottolineato più volte, nell’abbandono dell’idea, universalmente condivisa fino a quel momento, che, date le condizioni iniziali, si potesse sempre trovare un modo per descrivere, attraverso un’equazione del moto, la traiettoria di una particella. I vincoli posti dal principio di indeterminazione formulato da Heisenberg nel 1927, secondo il quale non è possibile misurare simultaneamente con esattezza il valore di due quantità osservabili canonicamente coniugate (ovvero associate a operatori che non commutano fra loro), in particolare, la posizione e la quantità di moto, costringevano però ad abbandonare questo presupposto. Nel luglio del 1926 Max Born, allora direttore dell’Istituto di Fisica di Göttingen, pubblicò un articolo in cui suggeriva un’ipotesi assai destabilizzante, per l’epoca. La funzione d’onda di Schrödinger a suo giudizio doveva essere interpretata non tanto come la distribuzione della carica elettrica che circonda il nucleo atomico ma, piuttosto, come una grandezza matematica astratta collegata alla densità di probabilità che l’elettrone si trovi in una data regione di spazio. L’equazione di Schrödinger, con questa nuova interpretazione, perdeva i suoi aspetti intuitivi e rappresentava invece uno strumento per calcolare l’evoluzione temporale della probabilità di trovare la particella nei vari punti dello spazio. Questa proposta incontrò inizialmente notevoli resistenze, che furono vinte in seguito al fatto che l’introduzione delle onde di probabilità consentiva di risolvere il problema dell’irraggiamento degli elettroni: Bohr aveva postulato che gli elettroni che si trovano sulle orbite stazionarie non irraggiassero, ma questo appariva in contraddizione con la fisica classica. Secondo il modello di Schrödinger gli elettroni non si muovono di moto circolare attorno al nucleo, ma occupano delle regioni di spazio all’interno delle quali non vi è flusso di cariche, quindi non irraggiano energia. Traccia evidente delle suddette resistenze la si può riscontrare nel fatto che solo nel 1954, a quasi trent’anni di distanza da questo suo contributo, a Max Born fu conferito il premio Nobel per la Fisica “per le importanti ricerche in meccanica quantistica e in particolare per l’interpretazione statistica della funzione d’onda”.
Sulla base di questa interpretazione l’equazione di Schrödinger non fornisce quindi le orbite degli elettroni in senso classico, ma determina quali sono le orbite più probabili che l’elettrone occupa. Si definisce in questo modo una regione di spazio detta orbitale atomico, che rappresenta la regione all’interno della quale è più probabile trovare l’elettrone, in accordo con il principio di indeterminazione. L’atomo, di conseguenza, cessa di essere visualizzato come un piccolo modello planetario, dove gli elettroni si muovono lungo traiettorie circolari attorno al nucleo, e diviene composto da un nucleo centrale, circondato da nubi elettroniche all’interno delle quali si trovano gli elettroni. La forma di tali nubi è determinata, appunto, dall’equazione di Schrödinger.
Contemporaneamente a Schrödinger, il problema della formulazione matematica della meccanica quantistica venne affrontato anche da Heisenberg, il quale, pur partendo da un punto di vista completamente diverso, ottenne gli stessi risultati. Il formalismo da lui usato differisce da quello di Schrödinger dal punto di vista matematico, perché egli descrisse il moto degli elettroni attraverso delle matrici dipendenti da quantità discrete, che rappresentano i valori iniziale e finale del salto di energia descritto da Bohr. Egli abbandonò quindi l’idea di rappresentare quantità classiche come la posizione e la velocità nella descrizione del moto delle particelle, in quanto queste si erano rivelate sperimentalmente inosservabili in seguito al principio che porta il suo nome, e basò la sua descrizione solo sulle quantità osservabili (i salti energetici). Fu Schrödinger a evidenziare l’equivalenza matematica della sua teoria e di quella delle matrici di Heisenberg, dimostrando che qualsiasi risultato ottenuto dall’una può essere raggiunto anche dall’altra. Il punto importante è che si tratta in entrambi i casi di teorie statistiche, che possono prevedere solo la probabilità di accadimento di un evento (per esempio, che una particella possieda una certa velocità o una certa posizione).
È importante capire bene che cosa comporti questo aspetto. Secondo l’interpretazione di Born la funzione d’onda non descrive il sistema fisico ma, tramite il suo modulo quadrato, la probabilità di trovarlo in un punto dello spazio qualora si effettui una misura della sua posizione. Il fatto che, al termine di questa misura una volta che la si è effettuata, il sistema sia sempre localizzato nello spazio pone un’evidente questione di incompatibilità con una descrizione fisica di tipo ondulatorio, e rende problematica l’idea che si abbia a che fare con onde nel senso classico, che possono essere spezzate in due o più parti, come possiamo fare ad esempio tranquillamente con quelle marine.
L’interpretazione statistica della funzione d’onda è caratterizzata dall’idea che ci si trovi di fronte a una sovrapposizione quantistica del sistema oggetto di studio che si trova ad esempio con probabilità ½ a sinistra e con probabilità ½ a destra qualora venga effettuata una misura di posizione. È fondamentale precisare che nulla può essere detto sulla posizione effettiva della particella prima di effettuare la misura, per cui qualsiasi domanda relativa a questa posizione nello spazio non ha alcun senso, trattandosi di un aspetto totalmente indeterminato che acquista un senso da un punto di vista fisico solo dopo l’interazione con uno strumento in grado di rilevarla, e che quindi è il ri...

Table of contents

  1. MIMESIS / filosofie
  2. Prefazione
  3. Parte I Sviluppo cerebrale: dal concepimento alla senescenza
  4. Parte II Normale e patologico e nuove strategie terapeutiche
  5. Parte III Ipnosi ed Ecografia:immagini di emozioni terapeutiche tra simulazione mentale e ripercussioni neurobiologiche
  6. Bibliografia
  7. Filosofie