Parte II
Normale e patologico
e nuove strategie terapeutiche
di Silvano Tagliagambe
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1. RealtĂ
fisica e medicina
Si sta moltiplicando, nella letteratura e nella convegnistica, lâinteresse per la questione del rapporto tra le scienze biomediche e la meccanica quantistica. A prima vista può sembrare strano che la medicina, che ha a che fare con una realtĂ macroscopica, come il nostro corpo, si interessi di ciò che avviene a livello microscopico e presti attenzione alla teoria che utilizziamo per descrivere atomi, molecole e le loro interazioni, e che riguarda dunque i sistemi microscopici, mentre quelli riguardanti la nostra esperienza quotidiana diretta sono adeguatamente descritti dalla fisica classica, che continua per questo a essere utilizzata per spiegarli. Si potrebbe pensare che sa un fatto di moda, ma le cose non stanno affatto cosĂŹ perchĂŠ tra questi due livelli câè un nesso che non può essere ignorato e che presenta aspetti sempre piĂš interessanti e degni di approfondimento.
Per inquadrare questo tema cruciale va in primo luogo ricordato, sulla scia di quanto precisa Ignazio Licata (2008), che quando si parla di âquantum brainâ lo si può fare essenzialmente in due modi, ossia considerando che nei modelli:
a. i processi quantistici vengano considerati reali allâinterno del cervello e siano descritti dal formalismo della meccanica quantistica (cosiddetta âprima quantizzazioneâ) o della teoria quantistica dei campi (cosiddetta âseconda quantizzazioneâ);
b. i processi quantistici non vengano considerati reali, ma si utilizzi il formalismo quantistico per descrivere processi complessi caratterizzati da auto-organizzazione ed emergenza. In tal caso, si parla di âQuantum like semanticsâ, in quanto i sistemi trattati non sono di natura quantistica ma seguono piuttosto una logica quantistica nelle relazioni tra sistema ed osservatore, cosa che modifica il significato del formalismo.
Nellâun caso e nellâaltro emerge comunque lâesigenza di capire quale sia la portata dellâinnovazione che la meccanica quantistica, teoria che ha ormai quasi un secolo di vita alle spalle, e non può quindi essere considerata una novitĂ nel panorama della ricerca scientifica, introduce nella nostra considerazione dellâambiente naturale nel quale siamo immersi e nel modo di concepire lâarticolazione interna e il funzionamento del nostro cervello e del nostro corpo.
La prima differenza fondamentale riguarda la struttura delle due teorie: la meccanica classica si occupa di punti che si muovono nello spazio seguendo traiettorie ben precise secondo le leggi di Newton, mentre la meccanica quantistica si occupa di sistemi fisici descritti da una funzione dâonda che evolve secondo unâequazione fondamentale formulata da Erwin SchrĂśdinger nel 1925 e che porta il suo nome, pubblicata lâanno successivo.
Per spiegare le caratteristiche specifiche del mondo subatomico SchrĂśdinger immaginò che gli elettroni legati nelle strutture atomiche potessero essere trattati come corde vibranti, e che i modi di oscillazione fossero in relazione con le loro energie. Si pensi, per farsi unâidea concreta della situazione, allâatomo piĂš semplice, quello di idrogeno in cui un solo elettrone âorbitaâ attorno a un protone. Lâelettrone, secondo lui, può essere trattato come una corda i cui estremi siano fissati. Tra gli estremi si stabilisce unâonda stazionaria. La distanza tra gli estremi è pari a mezza lunghezza dâonda nel caso in cui lâonda si trovi nel suo stato di minima energia. Due mezze lunghezze dâonda corrispondono al livello energetico superiore, tre al successivo e cosĂŹ via. Pur utilizzando una descrizione dellâelettrone assai diversa da quella consueta per lâepoca, e quindi in un certo senso rivoluzionaria, SchrĂśdinger spiegava cosĂŹ i misteriosi salti quantici mediante una visualizzazione intuitiva di onde di densitĂ di carica elettronica disposte su orbite distribuite attorno al nucleo.
Per quanto riguarda i livelli energetici dellâatomo di idrogeno, questa equazione si trova in perfetto accordo con i risultati ottenuti da Bohr e al suo interno compare la quantizzazione dei livelli previsti da quel modello. Lâinnovazione introdotta da SchrĂśdinger sta, come si è sottolineato piĂš volte, nellâabbandono dellâidea, universalmente condivisa fino a quel momento, che, date le condizioni iniziali, si potesse sempre trovare un modo per descrivere, attraverso unâequazione del moto, la traiettoria di una particella. I vincoli posti dal principio di indeterminazione formulato da Heisenberg nel 1927, secondo il quale non è possibile misurare simultaneamente con esattezza il valore di due quantitĂ osservabili canonicamente coniugate (ovvero associate a operatori che non commutano fra loro), in particolare, la posizione e la quantitĂ di moto, costringevano però ad abbandonare questo presupposto. Nel luglio del 1926 Max Born, allora direttore dellâIstituto di Fisica di GĂśttingen, pubblicò un articolo in cui suggeriva unâipotesi assai destabilizzante, per lâepoca. La funzione dâonda di SchrĂśdinger a suo giudizio doveva essere interpretata non tanto come la distribuzione della carica elettrica che circonda il nucleo atomico ma, piuttosto, come una grandezza matematica astratta collegata alla densitĂ di probabilitĂ che lâelettrone si trovi in una data regione di spazio. Lâequazione di SchrĂśdinger, con questa nuova interpretazione, perdeva i suoi aspetti intuitivi e rappresentava invece uno strumento per calcolare lâevoluzione temporale della probabilitĂ di trovare la particella nei vari punti dello spazio. Questa proposta incontrò inizialmente notevoli resistenze, che furono vinte in seguito al fatto che lâintroduzione delle onde di probabilitĂ consentiva di risolvere il problema dellâirraggiamento degli elettroni: Bohr aveva postulato che gli elettroni che si trovano sulle orbite stazionarie non irraggiassero, ma questo appariva in contraddizione con la fisica classica. Secondo il modello di SchrĂśdinger gli elettroni non si muovono di moto circolare attorno al nucleo, ma occupano delle regioni di spazio allâinterno delle quali non vi è flusso di cariche, quindi non irraggiano energia. Traccia evidente delle suddette resistenze la si può riscontrare nel fatto che solo nel 1954, a quasi trentâanni di distanza da questo suo contributo, a Max Born fu conferito il premio Nobel per la Fisica âper le importanti ricerche in meccanica quantistica e in particolare per lâinterpretazione statistica della funzione dâondaâ.
Sulla base di questa interpretazione lâequazione di SchrĂśdinger non fornisce quindi le orbite degli elettroni in senso classico, ma determina quali sono le orbite piĂš probabili che lâelettrone occupa. Si definisce in questo modo una regione di spazio detta orbitale atomico, che rappresenta la regione allâinterno della quale è piĂš probabile trovare lâelettrone, in accordo con il principio di indeterminazione. Lâatomo, di conseguenza, cessa di essere visualizzato come un piccolo modello planetario, dove gli elettroni si muovono lungo traiettorie circolari attorno al nucleo, e diviene composto da un nucleo centrale, circondato da nubi elettroniche allâinterno delle quali si trovano gli elettroni. La forma di tali nubi è determinata, appunto, dallâequazione di SchrĂśdinger.
Contemporaneamente a SchrĂśdinger, il problema della formulazione matematica della meccanica quantistica venne affrontato anche da Heisenberg, il quale, pur partendo da un punto di vista completamente diverso, ottenne gli stessi risultati. Il formalismo da lui usato differisce da quello di SchrĂśdinger dal punto di vista matematico, perchĂŠ egli descrisse il moto degli elettroni attraverso delle matrici dipendenti da quantitĂ discrete, che rappresentano i valori iniziale e finale del salto di energia descritto da Bohr. Egli abbandonò quindi lâidea di rappresentare quantitĂ classiche come la posizione e la velocitĂ nella descrizione del moto delle particelle, in quanto queste si erano rivelate sperimentalmente inosservabili in seguito al principio che porta il suo nome, e basò la sua descrizione solo sulle quantitĂ osservabili (i salti energetici). Fu SchrĂśdinger a evidenziare lâequivalenza matematica della sua teoria e di quella delle matrici di Heisenberg, dimostrando che qualsiasi risultato ottenuto dallâuna può essere raggiunto anche dallâaltra. Il punto importante è che si tratta in entrambi i casi di teorie statistiche, che possono prevedere solo la probabilitĂ di accadimento di un evento (per esempio, che una particella possieda una certa velocitĂ o una certa posizione).
Ă importante capire bene che cosa comporti questo aspetto. Secondo lâinterpretazione di Born la funzione dâonda non descrive il sistema fisico ma, tramite il suo modulo quadrato, la probabilitĂ di trovarlo in un punto dello spazio qualora si effettui una misura della sua posizione. Il fatto che, al termine di questa misura una volta che la si è effettuata, il sistema sia sempre localizzato nello spazio pone unâevidente questione di incompatibilitĂ con una descrizione fisica di tipo ondulatorio, e rende problematica lâidea che si abbia a che fare con onde nel senso classico, che possono essere spezzate in due o piĂš parti, come possiamo fare ad esempio tranquillamente con quelle marine.
Lâinterpretazione statistica della funzione dâonda è caratterizzata dallâidea che ci si trovi di fronte a una sovrapposizione quantistica del sistema oggetto di studio che si trova ad esempio con probabilità ½ a sinistra e con probabilità ½ a destra qualora venga effettuata una misura di posizione. Ă fondamentale precisare che nulla può essere detto sulla posizione effettiva della particella prima di effettuare la misura, per cui qualsiasi domanda relativa a questa posizione nello spazio non ha alcun senso, trattandosi di un aspetto totalmente indeterminato che acquista un senso da un punto di vista fisico solo dopo lâinterazione con uno strumento in grado di rilevarla, e che quindi è il ri...