Avvertenza per il lettore
e nota bibliografica
Le premesse di questo lavoro sono state poste in Paolo Bordonali “La tentazione dell’aforisma perfetto. Contiene il saggio intitolato Kafka, il frammento e l’aforisma”, Ancona 2008. Dopo dieci anni, durante i quali ho proseguito nell’approfondimento della questione dell’aforisma filosofico e la sua storia, intendo rilanciare la ricerca iniziata, con risultati che lascio al giudizio del lettore.
Il testo di alcuni aforismi introduce citazioni che indico direttamente tra parentesi. I molti rimandi indiretti all’interno dell’aforisma dei filosofi classici non possono che far riferimento alle raccolte delle opere, nelle traduzioni italiane utilizzate: poiché ogni autore richiederebbe una bibliografia amplissima, rinvio a quelle presentate dai curatori.
I presocratici. Testimonianze e frammenti, traduzione italiana della raccolta curata da H.Diels e W.Kranz, Roma-Bari 1983.
Socrate, Tutte le testimonianze da Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani, Roma-Bari 1986.
Platone, Opere complete, Roma-Bari 1982.
Aristotele, Opere, Voll.1-11 Roma-Bari 1984.
Diogene Laerzio Vite dei filosofi, Voll.1-2, a cura di Marcello Gigante, Roma-Bari 2000.
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, a cura di Antonio Russo, Roma-Bari 1988.
Leonardo da Vinci, I Diluvi e il tempo. Aforismi e frammenti filosofici, a cura di Paolo Bordonali, Roma 2018
Machiavelli, N. Tutte le opere, a cura di Mario Martelli, Firenze 1971.
Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon, Milano 2012.
Spinoza, B., Tutte le opere, a cura di Andrea Sangiacomo, Milano 2011.
Leopardi, G., Tutte le opere, a cura di Francesco Flora, 5 Voll. Milano 1953.
Nietzsche, F.W., Opere, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, VIII Voll. Milano 1964-1972.
I.
Filosofia
come meditazione sulla vita
1. Il primo filosofo che ha espressamente invitato a meditare sulla vita e non sulla morte è stato l’olandese di origine ebraica Baruch Spinoza. Meditare sulle esperienze della propria esistenza non era una novità perché c’erano i precedenti di Marco Aurelio, Agostino, Boezio e Montaigne, tuttavia Spinoza non procede nella stessa direzione. Anzi, oblia le proprie vicende personali, e la sua condotta individuale di filosofo virtuoso sembra voler applicare l’invito neoplatonico di allontanare la mente dal corpo e le sue passioni, dalla propria singolarità, per dedicarsi alla ricerca della verità ideale. Dunque, non intendeva con “vita” l’esistenza empirica perché per Spinoza ogni essente non è che una modalità della Sostanza infinita. Come per gli antichi greci la vita coincideva con la manifestazione della potenza creatrice della Natura divina, così per Spinoza è un’essenza infinita in atto, la perfezione di ogni esistenza vista alla luce eterna dell’Essere. Siamo di fronte ad un nuovo eleatismo. L’obiezione che aveva colpito Parmenide, Zenone e Melisso, può essere ripetuta anche per Spinoza? La vita ha in sé una duplicità irrisolvibile tra ciò che appare e ciò che è sempre, immutabile, eterno? Nascere e morire è solo un’illusione? Come mai ai più sembra che la vita sia un continuo fluire dove l’esistenza umana si svolge in un breve lasso di tempo? Già in queste domande la filosofia fin dalle sue origini si è posta insieme alla questione della morte anche quella della vita, della loro unità nella apparente polarità di contrari. E il sistema di Spinoza, che non separa l’Essere dall’Apparire, vuole rispondere a queste domande, presentandosi come il recupero di una filosofia antichissima che la tradizione biblico-cristiana avrebbe smarrito, dimenticato. Ciò che ne emerge è appunto la rottura, il rovesciamento provocato dal pensiero di Spinoza rispetto a questa tradizione, e una precedente domanda: come è prevalso in filosofia il tema della meditazione sulla morte al punto di venire identificato con la filosofia stessa?
2. Tutto ciò che muove e porta a compimento, fa nascere, si manifesta in una forma, è la Natura, per i greci il divino stesso. Noi oggi la chiamiamo vita. Tuttavia per gli antichi la Natura era potente e vitale sia che si manifestasse nella prodigalità, nell’assurdo spreco, oppure nella carestia, nell’armonia o nella forza distruttrice degli elementi, nell’amore come nella passione violenta, nella gioia e nel dolore degli uomini, nella mania poetica come nella possessione incline alla follia. Perché oggi invece consideriamo tutto ciò un controsenso, un assurdo che corrode la vita? La storia di questa diversa e opposta valutazione percorre per intero le vicende della formazione dell’Europa, delle sue epoche storiche. Quale salto è intervenuto per una valutazione così contraddittoria tra noi e gli antichi? Forse quello tra mito e indagine razionale? Così hanno sentenziato molti studiosi moderni: i primi filosofi e le loro teorie cosmologiche hanno dato inizio al processo di separazione e allontanamento non solo dal mito ma anche tra pensiero e passioni naturali, per una contemplazione distaccata e pura dell’anima. Ma il concetto stesso di anima non fa riferimento all’invisibile, all’incorporeo, al divino che pervade la natura? E il concetto di Natura, eterna ed eternamente produttrice di ogni vita, non nasce forse dal mito? Di più, nasce col mito e persino lo fonda.
3. Il maestro dei Greci, Omero, definisce l’intera umanità giocattolo del dio-fanciullo. Il disumano è la regola, e l’uomo un trastullo della Natura. Nel partecipare al gioco divino l’individuo si trova o si annulla, provando il piacere della crudeltà. Con ciò si affida al destino, perché ritiene che tutto ciò che accade non sia altro che una ripetizione di ciò che è dall’eternità, e non può che stare al grande gioco per vedere la parte che deve recitarvi, fino alla morte.
4. Omero presenta la Giustizia divina in modo sorprendente: il racconto narra di due giare poste davanti alla casa di Zeus, da cui vengono estratti beni e mali in egual misura; tutti ne ricevono, ma alla rinfusa, secondo un ordine non chiaro e secondo dei tempi determinati dall’estro del dio stesso. Eppure il racconto doveva rappresentare il regno di giustizia instaurato dal nuovo sovrano degli dei olimpici, di contro alle vecchie divinità, alle titaniche forze scatenanti sorte dalla Natura. L’immagine di uno Zeus occupato nella distribuzione non rassicura: l’uomo felice deve temere sempre la sua invidia, i suoi fulmini colpiscono per l’ira, alla cieca. C’è un ordine, in definitiva si suppone anche una certa eguaglianza nella assegnazione di beni e mali, ma rimane ancora una eredità incancellabile delle divinità primordiali: il capriccio del sovrano, la ricerca dell’eccesso per variare lo spettacolo del mondo, per eccitare il festino degli dei.
5. Le Sirene cantavano ad Ulisse:” Tutto ciò che brami, uomo, che hai sempre desiderato e per cui vai per il mondo cercando, qui lo troverai. Tra le nostre braccia ogni attrattiva potrai ottenere”. Non mentivano affatto le figlie della Natura. L’eroe che vuole andare oltre i suoi limiti vedrà fatto a brani quel finito corpo che lo condiziona, la potenza del desiderio non potrà che acquietarsi nel connubio con l’illimitato, abbandonando la spoglia mortale per il ricongiungimento con il Tutto. Ma Ulisse aveva ormai superato gli impulsi giovanili e aveva scoperto il modo per non farsi più trascinare, o quantomeno i trucchi per uscire dalle trappole della propria smania, grazie ad una più forte passione conoscitiva.
6. Ogni vivo desiderio, che nel presente si impone, viene celebrato e raccontato in mille varianti. Eppure già Esiodo parlava di un Amore positivo per le sorti umane ed un altro invece portatore di grandi sciagure, di guerre e morte. Se il desiderio è il vero timoniere della nostra vita, il poeta invita a fare attenzione che il suo pungolo non ci spinga al di là di ogni sogno e meta possibile. Ma è insito nell’amore mirare oltre la vita individuale. Solo così Amore può ritenersi eterno nei suoi continui mutamenti.
7. Dolore è la divinità primitiva di cui si è persa l’immagine, quando i suoi riti sono stati fatti propri da altre divinità. Eppure secondo i tragici greci ha dato agli uomini la conoscenza. Dice espressamente Oreste: molto ho imparato dalle mie sciagure e ora so cosa dire (Eschilo, Eumenidi v.276). Tutti arrivano a conoscere, perché questo è il macigno che l’umanità deve trasportare: “col dolore si impara”( Eschilo, Agamennone, v.177). Ma come può giungere al suo contrario, alla meraviglia, al piacere e alla bellezza, all’amore per la sapienza? Nell’esperienza comune il patimento ottunde le nostre capacità, non le sviluppa! Forse la sofferenza ha dato impulso alla contraddizione e l’istinto di sopravvivenza, per non sprofondare nella passività, ha impresso una prima forma alla coscienza. Una resistenza del cuore, un atto di coraggio ha originato la conoscenza.
8. Il gioco della vita impone a tutti le sue regole.
9. La parola domina la poesia, e l’immagine formata nella mente fornisce la base del disegno della narrazione, sintesi di suono e visione. Da ciò la filosofia vorrebbe ricavare il concetto? Non sarebbe che l’imitazione dell’azione reale della creazione poetica, l’intuizione rivolta ad un cumulo di esperienze prosaiche. “La vita è acqua” potrebbe essere l’inizio di un componimento poetico; affermare che il Tutto ha un fondamento indeterminato è invece un giudizio determinato da un ragionamento che mette in discussione proprio che l’acqua possa essere il principio cercato.
10. Eraclito non arretra di fronte all’idea di Anassimandro che ogni distacco dal Tutto sia violenza, da espiare con la sofferenza imposta da una Necessità implacabile. Solo che la giustizia non è per lui una divinità che debba ogni volta istituire un processo ed emettere una sentenza! La necessità stessa del conflitto regola il Tutto, le parti in lotta stabiliscono con la loro vittoria o sconfitta la gerarchia degli esseri. Ma va anche oltre e, contro Pitagora, afferma che ogni armonia si crea dalla tensione di opposti, ogni cosa buona viene dal suo contrario, attinge forza dal conflitto perenne. Conflitto e armonia, apparenza e fondamento uno dell’altro, in un reciproco scambio. Eraclito è il primo uomo che si pone di fronte all’Universo e sostiene, contro l’opinione dei più, di averne intuito il discorso profondo. Da una grande superbia è nata la sapienza.
11. Il divenire eracliteo è una vita eterna, a cui siamo continuamente costretti a ritornare, perché l’unità di ogni differenza rigeneri nella lotta e nella distruzione necessaria l’armonia della Natura. Come il fuoco consumando il combustile produce calore, distrugge ciò che lo fa innalzare, così la vita si sviluppa con generazioni di morte, e dalla morte vita. Eraclito osserva i fenomeni naturali, non profetizza vaticinii, non riceve dalla Dea la verità come Parmenide, propone immagini e similitudini, e il fuoco è il simbolo del divenire cosmico che ognuno può cogliere intuitivamente.
12. Eraclito non contesta il sogno in sé ma la pretesa dei sognatori alla verità immediata dei loro sogni, che il dio comunichi senza enigmi, che realizzi i desideri. Scambiare i propri sogni particolari per la necessità dell’accadere è ciò che la filosofia da allora in poi ha indicato come il primo grande ostacolo alla conoscenza. L’intuizione filosofica di Eraclito interpreta l’oracolo di Delfi del “conosci te stesso” come uno sprofondare in un mare sconosciuto e senza riferimenti, un vagare in un regno di sogni. Il comando del dio poteva trovare innumerevoli interpretazioni ma era comunque obbligatorio. Il filosofo in definitiva unisce i sogni dei singoli, limitati e particolari, alla luce di uno più grande e la sua intuizione, come faceva l’oracolo nel divinare l’accenno del dio, si affida ad una parola-immagine che tutti possano riconoscere come propria, un logos, un discorso con più forti passioni.
13. Per gli antichi Eros fa emergere le differenze dal Caos, senza le quali non si possono riconoscere le somiglianze. Così nell’avvenuta differenziazione maschio e femmina non sono dei contrari con qualche somiglianza ma due facce dell’unità vivente. Empedocle affermava ancora una volta il principio di tutti i filosofi prima di lui, l’unità della Natura, anche distinguendone le quattro eterne radici. Nel momento in cui Eros prevale sull’Odio è un’unità che distrugge la molteplicità, affermando un amore a tutto tondo, senza la differenza, come l’Essere di Parmenide. Ma raggiungendo la fusione amorfa dei quattro elementi, la vita scompare. Così la contesa per Empedocle è altrettanto necessaria, anche se da sola porta alla divisione totale di Terra Acqua Aria e Fuoco, escludendo ogni composto, di cui sono fatti tutti i singoli esseri. La vita si situa solo nelle fasi intermedie, è determinata dall’Eros eterno, ma eternamente avviluppato al suo contrario, un amore che ammette l’odio nello stesso momento che lo combatte. Se per Empedocle la conoscenza è sempre erotica e collega ciò che è più affine, il desiderio sacrifica per ogni scopo di vita verso cui si indirizza un altro interesse, e si allontana da ciò che prima aveva amato, creando una contesa che divide e separa, in un divenire continuo di attrazione e repulsione.
14. Eros ama giocare, trovare gioia nella trasformazione, piacere perché qualcosa viene distrutto. Un gioco di bimbo che torna sempre a ripetersi, la vita, un gioco innocente e crudele allo stesso tempo.
15. L’insegnamento più profondo che i tragici hanno messo nelle loro rappresentazioni è l’eterna riproposizione del conflitto che chiamiamo vita. Il teatro è la finzione organizzata che costringe il destino a manifestarsi, a far emergere quel fondo aorgico che domina il mondo.
16. Guardare direttamente la Gorgone non si può. Bisogna trovare una via traversa, un sotterfugio, un’immagine di sogno apollinea, uno specchio di Dioniso, che permetta di non rimanere impietriti. Abbassare gli occhi e scrivere.
17. L’uomo è l’animale che ha trasformato la sua protervia in motivo di esistenza.
18. L’eroe tragico non può trionfare e poi rimanere a godere della sua vittoria. Diventa sempre la vittima sacrificale chi si fa eroe, su di lui pende già la disgrazia ed esce dall’umanità. Solo un figlio degli dei supera i limiti imposti, ma solo per essere assunto velocemente in cielo, subire la sconfitta e la morte. Se ciò non avvenisse sarebbe considerato un vero e proprio enigma, una trasgressione incomprensibile alle leggi della Nemesi, alle forze che la natura riesce a scatenare al tempo debito.
19. La figura dell’eroe cambia nei particolari degli eventi, nel carattere, nell’individualità, pur presentando la stessa immagine e ruolo. Sembra che vi sia una costante psichica, un bisogno di avere un modello sovra-umano, di uomo migliore, a cui fare riferimento. Ogni eroe richiede l’esistenza della divinità che gli corrisponde: all’astuto la dea della sapienza, al potente guerriero il dio della guerra, all’amante la dea d’amore. Ma per superare il limite si deve fare lui stesso simbolo divino, nell’impresa che lo porterà al sacrificio, alla morte per nuova vita. L’eterno ritorno dell’eroe. La sua rappresentazione teatrale può lasciare lo spettatore interdetto e perplesso su una qualche possibilità di soluzione del conflitto. Aristotele, con un’interpretazione parziale, osserva un ateniese frettoloso che, finita la tragedia, scappa a casa con una battuta: “meno male che non è capitato a me!” Ben diversamente rifletteva lo spettatore sapiente, l’effetto di purificazione non era un respiro di sollievo, bensì il suo contrario, il suo sentirsi intimamente implicato nella narrazione, il riconoscersi n...