Capitolo primo
Per una teoria e una storia
della modernità letteraria
Le norme vecchie, per i più alacri, non operavano più; l’organismo delle nostre lettere era malato cronicamente; incominciava la dissuetudine a lasciarlo in riposo, mentre il bisogno di altre sollecitate funzioni, stava per costruire altri strumenti, altri organi vivi e sani [...] La vera e nobile letteratura italiana giovane ed ardita si era affacciata in sulla soglia dell’istoria e pretendeva di potervi permanere, anche contro l’indifferenza e l’ostilità del pubblico, anzi contro il suo mal volere ed il combattere della vecchia critica balbuziente, spaventata in cospetto del rinnovamento.
Gian Pietro Lucini
Le plus urgent ne me parait pas tant de défendre une culture dont l’existence n’a jamais sauvé un homme du souci de mieux vivre et d’avoir faim, que d’extraire de ce que l’on appelle la culture, des idées dont la force vivante est identique à celle de la faim.
Antonin Artaud
1. Modernità e avanguardia
Della modernità materiale
L’avanguardia sta alla modernità come una parte sta al tutto che la contiene e la significa, giacché se è vero che l’avanguardia è la ‘parte’ che con maggiore intensità e in modo più limpido manifesta le tensioni e le contraddizioni che segnano la modernità e esprime il tormentato rapporto da cui la modernità è legata al contesto sociale che la produce, non è meno vero che la modernità, intesa in senso non soltanto letterario e artistico,
costituisce l’insieme delle condizioni che determinano la nascita e lo sviluppo dell’avanguardia. L’avanguardia non è un accidente che si sarebbe potuto verificare in qualunque età e in qualunque luogo e che soltanto per caso ha finito per manifestarsi nell’Europa del secolo ventesimo. L’avanguardia è il precipitare della verità artistica, la sola strutturalmente garantita, nel tempo che solo la genera e può accoglierla, il secolo XX, o per meglio dire l’età dell’imperialismo.
Come esistono diverse «soglie», così esistono diverse forme della modernità. Il presupposto da cui sembra giusto partire è che non è possibile compiere una pertinente analisi della modernità letteraria se non si tiene conto della modernità materiale, ossia della base materiale – economica e sociale – su cui la modernità culturale è sorta ed è venuta sviluppandosi. Per usare termini di Krishan Kumar, la modernità, insomma, non è solo «una questione di idee: un’ideologia, uno stile culturale». È giusto pertanto riconoscere principalmente nella rivoluzione industriale inglese della fine del XVIII secolo la base o la forma materiale della modernità. Non senza peraltro procedere ad alcune considerazioni complementari e specificazioni. Parlando di rivoluzione industriale conviene, in primo luogo, distinguere i nuovi mezzi di produzione, cioè il «sistema delle macchine» (Marx), dal nuovo modo di produzione, cioè il modo capitalistico, e dai nuovi rapporti di produzione che esso implica. Pur, si capisce, essenziali, i mezzi sono stati infatti meno decisivi del modo nel provocare le trasformazioni più importanti dell’assetto economico e sociale. È il modo che trasforma la borghesia in borghesia capitalistica, accresce la sua coscienza di classe e le consente di diventare rapidamente classe egemone. Coscienza di classe e egemonia, d’altro canto, tarderebbero a maturare e si affermerebbero in modo imperfetto se non intervenissero fattori sovrastrutturali, in primo luogo la direzione esercitata dagli intellettuali. Accade così che il paese in cui la coscienza di classe viene elaborata nel modo più ricco e complesso non è tanto quello che realizza per primo la rivoluzione industriale, cioè l’Inghilterra, quanto quello in cui tale rivoluzione si compie relativamente in ritardo, ossia la Francia dell’illuminismo. Ma è anche vero, poi, che la cultura illuministica, se ha la sua prima e principale radice in Francia, possiede una tale forza di irradiazione da espandersi rapidamente e affermarsi, sia pure con una minore capacità di incidenza, anche negli altri più importanti paesi europei e negli Stati Uniti. La modernità materiale e culturale, insomma, è borghese, nasce e si sviluppa con il nascere, lo svilupparsi e il prendere coscienza di sé della borghesia e se conosce varie fasi e vari modi di crescita è soprattutto perché varie fasi e vari modi di crescita conosce la classe borghese.
Avanguardia e borghesia
Anche perché esiste, al riguardo, un sostanziale accordo fra gli storici, la nascita della modernità culturale (nascita che si può, rinunciando ora a ulteriori distinzioni e articolazioni, far coincidere con l’illuminismo) è, dunque, organicamente e dialetticamente collegata con la nascita della borghesia quale classe che aspira all’egemonia economica, sociale e politica. Storiograficamente appena delibata, e non priva di equivoci e grossolane generalizzazioni nella soluzione vulgata che a volte se ne propone, è invece la questione che riguarda la genesi dell’avanguardia. A risolvere una volta per tutte tale questione è necessario un rigore che solo l’attenzione al piano strutturale può consentire. Senza altri indugi, si dirà allora che la nascita e lo sviluppo dell’avanguardia sono organicamente e dialetticamente collegati con la conquista dell’egemonia da parte della classe borghese, anzi, con la trasformazione di quell’egemonia in dominio. Una volta che si sia preso atto che lo sviluppo borghese, come sviluppo capitalistico, viene generando molteplici contraddizioni, l’avanguardia appare la più significativa contraddizione fra quelle che si manifestano a livello sovrastrutturale. Altro del resto non si intende dire quando, quasi sempre nel tentativo di gettare discredito sull’attività degli scrittori di avanguardia, banalmente si afferma che «l’avanguardia è un prodotto della borghesia». Pur in sé grossolana e superficiale, questa affermazione ha il merito di rendere evidente lo stretto legame che congiunge avanguardia e società borghese.
Ma una rigorosa analisi storica richiede ben altro che ellittiche e non argomentate dichiarazioni. In primo luogo, occorre ricordare che lo sviluppo della società borghese si compie in fasi abbastanza nettamente distinte e che a una prima fase, schiettamente progressiva, di costruzione della struttura capitalistica, e quindi di distruzione del feudalesimo in ogni suo aspetto, seguono fasi in cui il rafforzamento e l’espansione di quella struttura portano a un’egemonia, e quindi a un dominio, sempre più repressivi (pur nel rispetto, in molti casi, di una democrazia assai più formale che sostanziale) di tutto ciò che, ad ogni livello, alla ferrea logica del capitalismo cerchi di sottrarsi o di opporsi. L’imperialismo, nelle sue varie forme e incarnazioni, a volte non immediatamente ravvisabili, costituisce, come è noto, la fase «suprema», e tuttavia inconclusa e aperta, del capitalismo.
Marx e Engels
Per quanto riguarda la fase iniziale di costituzione della società borghese, e, quindi, della modernità, nessuna rappresentazione è altrettanto pertinente e efficace di quella fornita da Marx e da Engels nel primo capitolo, Borghesi e proletari, del loro Manifesto del Partito Comunista (1848). Sebbene si tratti di pagine notissime, conviene rileggerne almeno i passi più significativi:
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. [...] La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. [...] La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. [...] Il continuo rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l’epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. [...] Gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.
Come si vede, ben prima che Max Weber parli del «disincantamento del mondo» provocato dalla «progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione» cui, in età moderna, hanno portato l’affermarsi e l’espandersi della «ragione» e dei «mezzi tecnici», gli autori del Manifesto sono venuti chiaramente individuando le radici strutturali del «disincantamento». Che a noi, si capisce, interessa però, ora, nello stretto intrecciarsi di fattori e di aspetti strutturali e sovrastrutturali che lo determina. Si osservi allora che, nella fase «rivoluzionaria» della società borghese, al «continuo rivoluzionamento della produzione» corrisponde il dissolversi «di idee e di concetti antichi e venerandi», e, quindi, per ciò che più direttamente ci riguarda, la contestazione delle regole, del principio dell’imitazione, e, infine, della mitologia sui quali, per secoli, si sono fondate la letteratura e le arti. Già iniziata dalla cultura illuministica, quella contestazione diventa esplicita ed energica liquidazione quando ad affermarsi è la cultura romantica. Sulla quale, peraltro, occorre brevemente indugiare per evitare perplessità e equivoci. Se, infatti, nella fase «rivoluzionaria», è innegabile una tendenza eversiva della cultura romantica, altrettanto innegabile è il fatto che, in pieno accordo con la classe egemone, essa aspiri anche a una netta affermazione, non si dice di regole nuove, ma di nuovi ideali e principi regolativi, che consentano l’elaborazione di una nuova visione del mondo, omologa alle conquiste economiche e sociali, politiche e istituzionali compiute dalla borghesia. Per la verità, non sempre si tratta dell’acquisizione di principi veramente nuovi; spesso, al contrario, come è noto, opponendosi all’illuminismo, o distaccandosi da esso, i romantici si impegnano nel ricupero di certi aspetti della tradizione culturale, e segnatamente della religione, o e...