1.
Preludio
Se qualcuno mi chiedesse a quale personaggio della letteratura più si avvicina Narciso, non avrei dubbi nel rispondere: Frankenstein. E non mi riferisco allo scienziato ma al mostro da lui creato, e rimasto senza nome, di cui narra il breve romanzo di Mary Shelley.
Di primo acchito potrebbe sembrare strano ed eccessivo questo accostamento; ma tenterò di spiegarne le ragioni, così che l’associazione tra personaggi così diversi, così distanti tra loro, alla fine risulti essere meno ardita di quanto possa apparire.
Una scena del romanzo che mi impressiona particolarmente e che mi riporta al mito di Narciso è quella dell’incontro in montagna tra lo scienziato Victor Frankenstein e il mostro, dopo l’assassinio del fratello minore William. Victor è rientrato a Ginevra per consolare i suoi familiari; scosso dagli accadimenti, tra cui l’attribuzione dell’omicidio a Justine, una cara amica di famiglia, cerca in montagna un po’ di tranquillità, perché “[l]a vista della natura nella sua forma terribile e maestosa era sempre stata in grado di dare un senso di eternità alla mia mente, provocandomi l’oblio degli affanni passeggeri dell’esistenza”. È proprio tra quelle montagne e la neve che Victor – per la prima volta dopo averlo creato e abbandonato al suo destino – incontra il mostro, il quale gli confessa di aver ucciso William. Victor lo caccia: “Vattene! Liberami dalla vista della tua odiata figura!”. La reazione del mostro, a questo punto, è un gesto che trovo di una sensibilità profonda: pone le sue mani sugli occhi di Victor dicendogli di volerlo liberare dalla vista della sua stessa orribilità e gli chiede piuttosto di ascoltarlo. Una preghiera di simile natura è anche il nucleo fondamentale del mito di Narciso, il quale chiede ascolto, un ascolto vero, un ascolto che sospenda la vista. La bellezza di Narciso è talmente catalizzante da non permettere al suo interlocutore di porsi in ascolto perché attratto irrimediabilmente dalla sua bellezza; alla stessa maniera, la repulsione provocata dalla bruttezza del mostro di Frankenstein non permette l’ascolto, la vista ripugnante di quella figura immonda terrorizza e allontana.
Come è possibile che questi due movimenti opposti, l’allontanarsi e l’avvicinarsi, possano sfociare nello stesso grido, inascoltato, di questi due personaggi, che richiedono disperatamente la sospensione del giudizio, asilo alla propria parola e al proprio desiderio? Andare oltre la corruzione della vista per permettere l’ascolto. Quando al mostro è data la possibilità di parlare, di raccontare la sua storia, di narrare il suo punto di vista – accade con Victor e col capitano Walton – l’odio si scioglie. In un’altra scena si può comprendere la profondità del gesto del mostro, quando egli stesso racconta:
[…] ma come fui spaventato quando vidi il mio riflesso in uno specchio d’acqua! All’inizio mi ritrassi, rifiutandomi di credere che quel riflesso fossi davvero io e, una volta convintomi pienamente che ero in realtà quel mostro che sono, mi sentii colmare dalla più cupa infelicità e mortificazione. Ahimè! Non conoscevo ancora per intero i fatali effetti di questa disgraziata deformità.
Qui potremmo pensare che Narciso direbbe parole opposte a queste, ma in realtà non è così. Anche Narciso chiede di non fermarsi al suo corpo, alla sua immagine che è corrotta: non esiste un’immagine pura; esistono solo “echi” di immagini, e l’“eco” è la prima corruzione dell’immagine.
Ma facciamo un passo indietro e narriamo brevemente il mito di Ovidio. Ne Le metamorfosi la storia di Narciso è collegata alla figura di Tiresia, l’indovino che non può vedere le cose sensibili ma può prevedere il futuro. Narciso è figlio della bellissima ninfa dell’acqua Liriope e del fiume Cefiso. Catturata nelle onde del fiume e violentata, la bella ninfa dagli occhi azzurri ha messo al mondo Narciso. Preoccupata per la sua sorte, si rivolgerà a Tiresia per conoscere il futuro di suo figlio. Lapidarie le parole di Tiresia: Narciso vedrà una lunga vecchiaia solo “se non conoscerà se stesso”. Questo il responso, che resterà parola vuota finché Narciso avrà compiuto i sedici anni. Quando infatti Narciso avrà “superato di un anno i quindici ed è tra fanciullo e giovane”, entrerà in scena la ninfa Eco, introdotta da Ovidio con la narrazione di come la ninfa abbia perso l’uso della parola per punizione di Giunone: ella non può parlare per prima e nel contempo non può altro che ripetere le ultime parole che vengono pronunciate dal suo interlocutore. Eco alla vista di Narciso si innamorerà, e seguirà il bel fanciullo sperando di essere ricambiata; ma Narciso la rifiuterà. Così come respingerà l’amore di altri amanti, donne e uomini. Sarà una delle vittime del disprezzo di Narciso a rivolgere agli dèi una preghiera: che egli si innamori e non riesca a possedere il suo amato. Invocazione che sarà accolta dalla dea di Ramnunte, Nemesi. E così Narciso, attratto da una fonte, di quell’immagine rimandata dall’acqua, di quell’“altro”, s’innamorerà. I tentativi di Narciso di poter avere un rapporto con la sua immagine riflessa saranno vani. Finché Narciso si accorgerà della natura incorporea dell’immagine alla fonte. In quel momento di lucidità, egli deciderà di darsi la morte e si spegnerà lentamente. Altre ninfe dei boschi e delle acque entreranno in scena volendo bruciare il corpo di Narciso; ma preparata la pira e andate a recuperare il corpo, al posto di questo troveranno un fiore con la corolla gialla e i petali bianchi.
Questa la storia come la racconta Ovidio. Perché il mito di Narciso dovrebbe interessarci ancora oggi? Perché indagare ancora questo mito? È indubbio che da più parti si tenda a considerare l’età contemporanea come dominata dal narcisismo. Viviamo in un’epoca piena di narcisisti. Fenomeno che con i social network si va amplificando. I selfie, la narrazione continua che si fa di sé. Qualsiasi cosa viene messa in vetrina: è il fenomeno che Codeluppi definisce della “vetrinizzazione sociale”.
Ma tale fenomeno è solo da demonizzare? Oppure nasconde e dice di noi qualcosa di più profondo che, distratti dalla superficie, non siamo in grado di cogliere?
Con questo si interseca l’interpretazione che da più parti si dà della figura di Narciso: un semplice vanesio. Ma possiamo ridurre Narciso a questo? L’urgenza di scrivere questo saggio deriva innanzitutto dal voler riconsiderare il mito in ogni sua parte e soffermarsi su alcuni aspetti spesso tralasciati che ci aiuteranno a rileggere il mito sotto un’altra luce. Potremmo innanzitutto dire che Narciso non era un narcisista per niente. Ma perché è così interessante indagare questo aspetto? Perché Narciso pone delle questioni che vanno oltre il semplice e frainteso amore di sé. Narciso ci pone delle domande sul rapporto con l’altro. Su che cosa desideriamo quando ci approcciamo ad un’altra persona. Su che cosa significa la solitudine o meglio che cosa i rapporti falliti dovrebbero significare. Nell’intreccio tra solitudine e rapporto con l’altro, che cosa significa strappare l’altro alla sua solitudine? Oppure cosa significa entrare in relazione con un altro? Quale condizione deve generarsi affinché un rapporto sia veramente reciproco e non di sudditanza o di potere? Il rapporto con l’altro passa dalla conoscenza non solo dell’altro ma anche di sé. Ma la conoscenza di noi stessi è sempre fumosa, e questo lo riscontriamo quotidianamente, anche se sappiamo di noi molto più di quanto possa sembrare. In questo troviamo tutto il paradosso dell’amore: diversità e similarità devono convivere per poter permettere l’incontro? Certo non c’è un io preconfezionato. Ma l’esperienza, la nostra stessa esistenza ci presentano costantemente il conto, chiedendoci chi siamo e se quello che facciamo ci rappresenta del tutto. Ma questo passa anche da ciò che gli altri fanno di noi. A cosa alludo dicendo questo? Al fatto che, qualsiasi siano le nostre intenzioni, non è detto che l’altro le interpreterà come vorremmo. Parimenti, non è detto che un’azione che ci appare negativa nei nostri confronti sia intenzionalmente fatta solo per ragioni nefaste. Narciso ci chiede intimamente questo: l’altro che abbiamo di fronte si pone la domanda rispetto alla qualità del suo essere “altro”? La qualità del nostro essere altro. Proprio il mito può aiutarmi a far comprendere cosa intendo. Quando incontra Eco, Narciso le chiede quanto nel proprio desiderio lei riesca a cogliere la visione del desiderio di Narciso. Eco confonde ciò che lei stessa desidera con quello che Narciso le chiede. Questa incomprensione nel capire l’altro parte sì da un Io, ma investe l’altro nel suo essere altro. Perché per il rifiuto dell’amore di Eco Narciso viene etichettato come narcisista? E perché uno che ama dovrebbe pretendere che l’amato lo ami a sua volta? Con questo lavoro voglio proporre un cambio di prospettiva. Provo a mettermi nei panni di Narciso, a capire il suo rifiuto. Tutto il mito ruota intorno al corpo. Ritengo che alla base Narciso rifiuti la pretesa da...