La fotografia, soprattutto
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La fotografia, soprattutto

conversazione con Silvia Paoli

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La fotografia, soprattutto

conversazione con Silvia Paoli

About this book

Nella conversazione con Silvia Paoli, Italo Zannier ripercorre – attraverso gli incontri, le collaborazioni, l'insegnamento e le committenze – la sua intera carriera, dagli esordi fino agli scritti più recenti, esito di uno straordinario percorso condotto tra ricerca storica, impegno critico e riflessione militante.

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Information

Year
2019
eBook ISBN
9788857558110
Topic
Art
Subtopic
Photography
¡ lc ¡
la conversazione
1
La fotografia, soprattutto
Italo Zannier
in conversazione con
Silvia Paoli
Mimesis Edizioni (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
Collana: la conversazione, n. 1
© 2019 – Mim Edizioni SRL
Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 24861657 / 24416383
In copertina:
Italo Zannier, “Cancello”, 1953
Sull’aletta:
Italo Zannier, Autoritratto con Semflex 6x6, 1954
Silvia Paoli – Fotografo, critico, docente universitario, collezionista o “archivista”, come meglio ama definirsi, Italo Zannier ha attraversato più di mezzo secolo di storia italiana affermando costantemente un suo personale modo di porsi, una modalità di prendere posizione per sottolineare le ragioni profonde del “fare” fotografia all’interno della cultura italiana, non sempre attenta a queste ragioni.
Quando si può dire sia iniziata questa lunga avventura, qual è il primo scritto in cui “prendi posizione”?
– Nell’aprile 1956 scrissi su “Camera” l’articolo Due generazioni / Deux générations: era il momento in cui Paolo Monti era già dentro un suo mondo, ma io vedevo altro, scrivo pensando a quelli dell’età di Monti, gli amatori, e poi al neorealismo più impegnato, ma non in senso politico, non graffiante come quello che Monti accusava parlando della “sbracata retorica del verismo”1. Nell’articolo attribuivo alla “vecchia generazione” (Giuseppe Cavalli, Luigi Veronesi, Mario Finazzi, Vincenzo Balocchi ecc.) il merito di aver fatto chiarezza, con l’amore per la forma e per il rigore compositivo, e di aver determinato il valore autonomo dell’immagine fotografica, affermando così il suo potenziale artistico. La “nuova generazione” (Fulvio Roiter, Luciano Ferri, Carlo Bevilacqua, Mario De Biasi, Ferruccio Ferroni, Toni Del Tin, Nino Migliori ecc.), rispetto ai “padri”, aveva accolto le esperienze precedenti aprendosi però a un realismo parzialmente libero dalla “maniera” neorealista, meno cronachistico. Si era tornati a parlare con gli uomini, a non mettere in secondo piano l’elemento umano. Così la fotografia italiana si rinnovava, aprendosi anche all’insegnamento dei fotografi stranieri, gli “umanisti” francesi in particolare.
– Tu eri naturalmente parte di questa “nuova generazione” e l’anno prima avevi fondato un gruppo…
– Avevo fondato nel 1955, a Spilimbergo, il “Gruppo friulano per una nuova fotografia” con altri sei fotografi: Gianni e Giuliano Borghesan, Aldo Beltrame, Roiter, Del Tin e Bevilacqua che ci riforniva di riviste, libri, macchine fotografiche. Non tutti erano decisamente neorealisti. Io ero per un neorealismo non aggressivo ma nemmeno come quello di Roiter, troppo dolce. Forse come quello di Walker Evans, che faceva “schede segnaletiche”, senza apparenti alterazioni. In Friuli il neorealismo era una risposta alla situazione del luogo, un territorio agricolo, dallo sviluppo lento, come il Sud. Io però non andai al Sud. Anche Robert Capa, come Roiter, De Biasi, Tino Petrelli, aveva fotografato il Sud, ma le foto di “Life” non ci interessavano. Noi volevamo allontanarci da una rappresentazione folclorica del Friuli, che stava cambiando: gli scrittori friulani vincevano i premi nazionali – come l’Hemingway e il Bagutta che nel 1950 andarono a Elio Bartolini – e si inserivano nei dibattiti della cultura nazionale, Pasolini in primis. Volevamo differenziarci dai pittorialisti e guardare i nostri soggetti in modo civile, senza tradimenti, senza speculazioni sulla povertà: i soggetti dovevano essere consapevoli di essere protagonisti di una realtà sociale [figg. 1, 2, 4, 5, 7, 8, 10, 11, 13, 18]. Il Gruppo iniziò a pubblicare fotografie su “Ferrania” e “Fotografia” (1947-1967), su “Diorama” (1951-1957), in minor misura anche su “Il Progresso Fotografico” (rivista nata nel 1894).
– Hai collaborato poi con molti periodici?
Ebbi la fortuna di essere “capito”, in quegli anni scrissi molto per diverse riviste e pubblicai fotografie anche ne “Il Mondo”, settimanale in rotocalco di orientamento liberal radicale, fondato nel 1949 e diretto da Mario Pannunzio. La rivista non metteva il nome dei fotografi, io però sono stato il primo a pubblicare anche in prima pagina, pagato, ma sempre senza nome. In una pubblicazione sui fotografi de “Il Mondo”, tuttavia, non apparvi, pazienza. Protestammo in molti, anche l’AFIP – l’Associazione Italiana Fotografi Professionisti nata nel 1960 –, e allora la rivista cominciò a mettere il nome dei fotografi, in piccolo e in grigio. Collaborai con “Comunità”, fondato nel 1946 e diretto da Adriano Olivetti, quando era redattore Renzo Zorzi, e vi pubblicai molte fotografie, anche in gratificanti copertine; con “Il Contemporaneo”, di orientamento comunista, dove Carlo Salinari, che dirigeva la rivista, nata nel 1954, con Romano Bilenchi e Antonello Trombadori, pubblicò diverse mie fotografie come elzeviri visivi; con “Il Caffè” di Giambattista Vicari, fondato nel 1953, dove pubblicai alcuni timidi articoletti perché non ero scrittore, ma amico di scrittori, come Bartolini o Pasolini, ai quali poi ho fatto un’intervista per “Fotografia”. Ero però soprattutto molto amico di Bartolini, scrittore, poeta, partigiano. Con lui e Agostino Zanelli sono stato a Vienna nel 1949 per la prima volta. Nel 1952 poi ho fotografato quasi tutte le architetture di Adolf Loos su sollecitazione di Bruno Zevi [fig. 6], tutte le ville di Vienna, compresi gli interni della servitù dove non andava mai nessuno. Con un ritratto di Bartolini vinsi il premio “Città di Gorizia” a pari merito con Roiter. Pubblicai quindi alcune fotografie insieme a un articolo di Bartolini su “Il Caffè”, dedicato al Friuli di quel tempo. Le mie fotografie si ispiravano ai romanzi neorealisti, in particolare a quelli di Bartolini (come Icaro e Petronio) e alle sue descrizioni della vita contadina. Vicari era un intellettuale d’avanguardia, appassionato di fotografia, e la sua rivista “Il Caffè” aveva una grafica nuova, con neri e rossi violenti, stampata male ma con un’impaginazione ene...

Table of contents

  1. Bibliografia essenziale
  2. Fotografie