III
Luca Graverini
Atteone, Lelape, Diofane, Orfeo:
Ovidio e Apuleio
L’importanza di Ovidio per le Metamorfosi di Apuleio è stata oggetto di vari studi in passato, ma se la si analizza nell’ottica di una tradizionale Quellenforschung i risultati appaiono più magri di quello che ci si potrebbe aspettare: in Apuleio, come peraltro in molti altri autori, è soprattutto dell’Eneide che ritroviamo frequenti riprese, sia nel lessico che nelle linee narrative, che mostrano anche i caratteri dell’intenzionalità allusiva. Contatti di questo tipo con la poesia ovidiana ci sono, ma sono più rari e apparentemente limitati ad alcuni ambiti specifici, come inevitabilmente quello della metamorfosi.
Se però ci spingiamo oltre la pura ricerca delle allusioni più facilmente quantificabili e misurabili diventa possibile perfino affermare, come fa Lara Nicolini, che “Ovidio… doveva avere per Apuleio qualcosa di più rispetto a Virgilio. Ovidio era molto probabilmente sentito oltre che come creatore di lingua, come maestro di estetica, un maestro affine per gusto”. Lo studio della Nicolini raggiunge risultati di grande importanza, e dipinge Ovidio come maestro delle qualità “ecfrastiche” e “spettacolari” proprie della lingua e dello stile di Apuleio. Ed è proprio da una ekphrasis che voglio partire, sia soffermandomi su fatti generici di lingua, stile e tecnica narrativa, sia evidenziando qualche nuovo caso di intertestualità ovidiana.
1. Atteone
Il capitolo 2.4 delle Metamorfosi è dedicato alla descrizione dell’atrio della casa di Birrena, una zia del protagonista Lucio. Al suo centro si trova un gruppo scultoreo che rappresenta il mito di Atteone, il cacciatore curioso che spia Diana mentre si lava nelle acque di un ruscello; il suo atto sacrilego viene punito dalla dea, che trasforma il malcapitato in cervo. Ecco il testo:
1Atria longe pulcherrima columnis quadrifariam per singulos angulos stantibus attollebant statuas, 2palmaris deae facies, quae pinnis explicitis sine gressu pilae volubilis instabile vestigium plantis roscidis delibantes nec ut maneant inhaerent et iam volare creduntur. 3Ecce lapis Parius in Dianam factus tenet libratam totius loci medietatem, signum perfecte luculentum, veste reflatum, procursu vegetum, introeuntibus obvium et maiestate numinis venerabile. 4Canes utrimquesecus deae latera muniunt, qui canes et ipsi lapis erant; his oculi minantur, aures rigent, nares hiant, ora saeviunt, et sicunde de proximo latratus ingruerit, eum putabis de faucibus lapidis exire; 5et in quo summum specimen operae fabrilis egregius ille signifex prodidit, sublatis canibus in pectus arduis pedes imi resistunt, currunt priores. 6Pone tergum deae saxum insurgit in speluncae modum muscis et herbis et foliis et virgulis et sicubi pampinis et arbusculis alibi de lapide florentibus. 7Splendet intus umbra signi de nitore lapidis. Sub extrema saxi margine poma et uvae faberrime politae dependent, quas ars aemula naturae veritati similes explicuit. 8Putes ad cibum inde quaedam, cum mustulentus autumnus maturum colorem adflaverit, posse decerpi, 9et si fontem, qui deae vestigio discurrens in lenem vibratur undam, pronus aspexeris, credes illos ut rure pendentes racemos inter cetera veritatis nec agitationis officio carere. 10Inter medias frondes lapidis Actaeon simulacrum curioso optutu in deam proiectus iam in cervum ferinus et in saxo simul et in fonte loturam Dianam opperiens visitur.
1L’atrio era di una bellezza straordinaria. A ciascuno dei quattro angoli faceva svettare in cima a delle colonne delle statue, 2che rappresentavano la dea della vittoria: ad ali spiegate, senza fare nemmeno un passo, con le punte dei piedi umidi di rugiada sfiorano appena il supporto instabile di un globo pronto a rotolare via; vi si poggiano sopra ma non per restarci, e paiono anzi aver già spiccato il volo. 3E lì, esattamente al centro dell’ambiente, c’è un marmo di Paro modellato in forma di Diana, una statua perfetta e splendida: con la veste gonfiata dal vento e il passo atletico, venerabile nella sua maestà divina, sembra venire incontro a chi entra. 4Dei cani, anch’essi scolpiti nel marmo, la scortano ad ambo i lati; lo sguardo aggressivo, le orecchie ritte, le narici dilatate, le fauci rabbiose... se per caso sentissi abbaiare d’intorno, il latrato ti sembrerebbe provenire da quelle gole di marmo. 5E quel sublime scultore aveva dato la prova più alta della sua arte nel rappresentare i cani protesi in avanti a petto dritto, con le zampe posteriori fisse a terra e le anteriori in piena corsa. 6Alle spalle della dea s’innalza una roccia fatta a mo’ di spelonca; dal marmo crescono rigogliosi muschio, erbe, foglie, rametti, e qua e là germogli e arbusti. 7Al suo interno, sulla pietra lucida risplende l’ombra della statua. Dal bordo della roccia pendono pomi e grappoli d’uva, levigati con straordinaria maestria: un’arte capace di imitare la natura li ha rappresentati del tutto simili a frutti veri. 8Potresti quasi credere che un giorno l’autunno profumato di mosto li soffonderà di un colore maturo, e allora li si potrà cogliere e mangiare. 9Se ti chinassi a osservare l’acqua della fonte, che scorrendo attorno ai pie...