Capitolo 1
Le radici teoriche del “primordio”
di Franco Ciliberti
Nella storia dell’arte o della letteratura si dimentica questo problema primordiale, il problema della nostra comunione con l’infinito che è l’unico problema che veramente esista [...] Questi orizzonti che alcuni esseri eccezionali schiusero, che vivono in fondo al cuore di tutti, questi sono appunto gli orizzonti primordiali. Allora tutta la storia cambia. La storia è il tentativo perenne di alcuni esseri eccezionali di trasfigurare il mondo [...].
(Ciliberti, Di Raddo 2003, 69.)
1.1 Introduzione: una nuova lettura dell’arte astratta
Diverse e in parte anche contrastanti sono le definizioni di arte astratta formulate non solo dai critici e dagli storici, ma dagli artisti stessi. In Che cos’è l’arte astratta? Una storia dell’astrazione in pittura (1860-1960), lo studioso francese Georges Roque (Roque 2004) formula una via alternativa. Nel saggio egli affronta il tema con un approccio semiologico prendendo in esame le due principali letture storiche dell’astrazione: quella rappresentata dalla scuola formalista, che ha avuto il suo più illustre esponente in Clement Greenberg e quella delle teorie assolutiste formulate da Maurice Tuchman nel catalogo della “storica” mostra The Spiritual in Art – Abstract Painting 1890-1985.
Greenberg sostiene che “il quadro e la statua si esauriscono nella sensazione visiva che producono. Non c’è niente da identificare, da associare o su cui poter riflettere, ma tutto da sentire. La poesia pura cerca di suggerirci un’infinità di cose, l’arte puramente plastica il minimo possibile. […]. Le qualità puramente plastiche o astratte dell’opera d’arte sono le sole che contano” (Greenberg 2016, 34). Il formalismo riduce pertanto la lettura dell’opera astratta alla sola composizione e combinazione di colori e forme, escludendo il problema del significato. Tale lettura ha avuto la sua fortuna soprattutto nel secondo dopoguerra, quando è cominciata ad emergere l’idea dell’“arte per l’arte”, della completa autonomia cioè dell’opera d’arte e dei suoi mezzi – disegno, forma, colore – rispetto al contesto sociale o culturale di appartenenza. I mezzi dell’arte quindi da una posizione di subordinazione nei confronti dell’immagine da rappresentare sulla tela o nello spazio della scultura, sono passati a un valore pienamente finalizzato al contesto specifico dell’arte. In questa lettura formalista, sostenuta anche da Alfred Barr nel catalogo dell’esposizione Cubism and Abstract Art (1936) e denunciata nelle sue carenze fin dal 1937 da Meyer Schapiro, prevale la concezione di “un’arte senza contenuto” (Shapiro 1996, 13), di una pittura in cui neppure essa stessa può fungere da soggetto dell’opera. I formalisti negano nell’opera astratta la questione semantica, arrivando addirittura a definire la netta separazione tra le opere d’arte e i testi teorici scritti dagli stessi artisti astratti, i quali contraddicono spesso l’idea della mancanza di un soggetto nell’opera. Basti pensare al ruolo decisivo della scrittura di Vasilij Kandinskij nella lettura semantica della sua opera. Ancora nel 1935 nell’articolo intitolato Pittura Astratta, Kandinskij scrive che “l’espressione ‘arte astratta’ non è ben vista, e a ragione, perché dice poco o almeno si presta a confusioni” (Kandinskij 1989, 180).
L’incapacità dei formalisti di prendere in esame la questione contenutistica dell’opera, avrebbe avuto secondo Roque una conseguenza ancora più nefasta, spalancando le porte alle molteplici letture “assolutiste”. Tali letture critiche hanno cercato di colmare il vuoto semantico lasciato dai formalisti riempendolo di significati spiritualistici e trascendentali. Nel catalogo della mostra sullo spirituale nell’arte Tuchman spiega che, nonostante per la maggior parte del pubblico sembra che gli artisti astratti abbiano rinunciato a trasmettere dei significati attraverso le loro opere, in realtà “al contrario, gli artisti hanno cercato di fare appello a livelli di significato più profondi e più vari; il più importante e il più diffuso è stato quello dello spirituale” (Tuchman 1986, 17). Le letture assolutiste sostiene Roque “vorrebbero fare del significato un segno a tutti gli effetti, ignorando quindi i significati plastici. Secondo quest’altra interpretazione, le forme erano quindi ciò da cui i pittori astratti avrebbero voluto emanciparsi, considerando le antiche opposizioni metafisiche, nelle quali il corpo era disprezzato rispetto all’anima, il materiale rispetto allo spirituale” (Roque 2004, 278).
Roque propone dunque una terza via di lettura dell’opera d’arte astratta: quella semantica. Nella sua trattazione prende in considerazione le diverse letture che la storia dell’arte, i critici e gli artisti stessi hanno dato di questa forma d’arte sottolineandone la sua irriducibilità a una categorizzazione in un -ismo. Sostiene quindi che: “l’‘arte astratta’ si presenta come una categoria trans-storica, ma questo non significa che si tratta di una categoria semplicemente descrittiva. Questa è la ragione per cui è così problematico integrarla nella storia dell’arte. Tuttavia, se l’arte astratta non è un -ismo a tutti gli effetti, l’astrazione è in gioco all’interno di quasi tutti gli –ismi” (Roque 2004, 93). Il problema in effetti era sentito dagli stessi protagonisti della svolta artistica astratta. Nel libro Les ismes de l’art, pubblicato nel 1925 in un’edizione trilingue (tedesco, inglese e francese), a cura di El Lissitzky e Jean Arp, l’arte astratta fatica a essere definita insieme agli altri movimenti artistici d’avanguardia. Nel glossario di tutti i movimenti europei, dal più recente del 1924 al più antico del 1914, la voce “arte astratta” recita: “Gli artisti astratti formano il non oggettivo senza essere uniti da un problema comune. L’astrattismo presenta molteplici significati” (Lissinsky, Arp 1925). Una definizione che non chiarisce il significato del termine astrattismo e che, come ha messo in luce Roque analizzandone le traduzioni nelle diverse lingue, pone problemi di definizione agli autori stessi del libro. Egli dunque conclude che a quell’epoca “il termine (arte astratta) aveva un senso più largo rispetto al periodo precedente la prima guerra mondiale” (Roque 2004, 93-114) e fa notare come anche Kandinskij nel testo del 1922 scriva: “Un nuovo naturalismo?: Noi, gli astrattisti di oggi, verremmo considerati col tempo ‘propugnatori’ dell’arte assoluta” (Kandinskij 1989, 152). Quindi Kandinskij facendo un uso ampio del termine definisce astratte sia opere d’arte figurative, nelle quali predominano gli elementi astratti, sia opere d’arte non figurative. È nota del resto la definizione di “grande figurazione” e “grande astrazione” formulata dal pittore russo nel Der Blaue Reiter, con la quale individua un tipo di pittura, non necessariamente non figurativa, che si inserisce nella ricerca dell’astrazione, in virtù del suo allontanamento da una semplice funzione riproduttiva del reale.
Nel periodo più maturo dell’astrazione degli anni Trenta, dovendo porre un freno alla tendenza di molta critica di associare l’astrazione con il Surrealismo, nell’ambito dei gruppi formatisi a Parigi, la definizione di arte astratta si incontra con quella di “arte concreta”, di un’arte cioè completamente slegata dal riferimento al dato naturale, senza però prescindere la possibilità anche di un astrazione dal dato sensibile. All’interno del gruppo Cercle et Carré, nato dall’incontro di Michel Seuphor e Joaquin Torres Garcìa, la definizione di arte astratta è infatti piuttosto ambigua e si limita ad evidenziare, più che la mancanza di un riferimento al dato esperienziale, la presenza di una struttura e una semplificazione. Nel primo numero della rivista “Cercle et Carré” Seuphor scrive che l’arte è per i pittori astratti “una volontà di misura, di chiarezza, di semplificazione”, che “l’abolizione del soggetto,” significa superare “la piccola idea particolare e pretenziosa in favore di una stabilità, di un ritmo, di un metodo, in una parola è lo sforzo di raggiungere attraverso la coscienza e il ragionamento – val a dire in modo scientificamente verificabile – ad una approssimazione infinitesimale del vero immanente e universale” indipendentemente dalle circostanze fortuite e dal caso”. Tuttavia, spiega, ammettendo di fatto la possibilità di un’astrazione che derivi dalla natura, di non voler “discutere qui se la nostra primaria sorgente di conoscenza sia l’intuizione o l’esperienza diretta dei nostri sensi. Ciò che a noi importa prima di tutto – non esistendo l’uomo che grazie a e per il suo contesto sociale – è di giungere ad enunciare chiaramente le certezze verso le quali si orienta il pensiero umano” (Seuphour 1930, 1). Nella prima versione del testo pubblicato da Torres Garcìa, poi uscito con il titolo Vouloir construire, il riferimento alla figurazione come possibile ambito dell’astrazione era ancora più esplicito, a patto che fosse stata utilizzata con una volontà costruttiva, e quindi sottoposta ad una semplificazione e geometrizzazione, così come si poteva vedere negli esiti più arditi del cubismo. Torres Garcìa termina il suo articolo scrivendo che “ciò che va bene per noi è questo valore assoluto che noi doniamo alla forma indipendentemente da quello che essa può rappresentare”. Ciò che importa è che i pittori non si limitino soltanto a “mettere un ordine, ad esempio facendo un paesaggio naturalistico”, ma devono “creare un ordine. Chi crea un ordine stabilisce un piano, passa dall’individuale all’universale” e ancora, assimilando la pittura all’arte plastica (all’architettura): “Che alla base della costruzione ci sia l’emozione o il ragionamento quello deve essere il nostro obiettivo, il nostro scopo del costruire. Il polo opposto del senso costruttivo è la rappresentazione” che è solo imitazione di una cosa già fatta, mentre “la costruzione deve essere soprattutto la creazione di un ordine” (Garcia 1930, 2.).
Decisamente più radicale, sia rispetto a queste definizioni, che a quella di Kandinskij, è invece la formulazione di “arte astratta” da parte di Theo Van Doesburg, principale animatore delle ricerche astrattiste in Francia negli anni Trenta e fondatore nel 1930 di “Art Concret”. Nel suo manifesto Base de la peinture concrète, nel primo e unico numero della rivista omonima del gruppo da lui fondato in contrapposizione a “Cercle et Carré”, a suo parere non abbastanza radicale, per definire l’arte astratta usa il termine “concreto”:
Pittura concreta e non astratta, perché abbiamo superato il periodo delle ricerche e delle esperienze speculative. Alla ricerca della purezza, gli artisti erano obbligati ad astrarre le forme naturali che nascondevano gli elementi plastici, a distruggere le forme-natura e a sostituirle con le forme-arte.
Oggi, è passato il tempo della forma-arte come della forma-natura. Noi inauguriamo il periodo della pittura pura, costruendo la forma-spirito. È la concretizzazione dello spirito creatore” (Van Doesburg 1930, 2).
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