Gli ultimi trent’anni
e la nascita della Federazione
Durante gli anni Novanta lo sviluppo dell’industria chimica divenne strettamente correlato a quello economico. In alcuni ambiti, come in quello farmaceutico o petrolchimico, furono attuate fusioni con l’obiettivo di sfruttare le sinergie e razionalizzare le strutture produttive e commerciali. Il tessuto industriale si modificò gradualmente anche in Italia. Le multinazionali coprivano il 30-35% della produzione dell’industria chimica. Prevalsero comunque (e questo fu segno di vivacità) la piccola e la media industria con un 45%. In tale realtà produttiva l’azione di consulenza del professionista chimico fu determinante, richiedendo competenza e conoscenza delle diverse norme e il sapersi rapportare con gli organismi di controllo. Il sapere del chimico non si limitò alle certificazioni analitiche e diventò determinante nell’indicare le soluzioni rispetto ai problemi in campo ambientale e della sicurezza. Era il momento anche delle nuove filiere produttive, dei nuovi prodotti e materiali, delle nanotecnologie e biotecnologie che coinvolgevano direttamente la chimica ed anche delle questioni relative alla difesa ambientale, configuratasi come un fattore di spinta, di innovazione e di sviluppo di nuovi processi ecocompatibili.
Il Consiglio Nazionale dovette adeguarsi ai cambiamenti al fine di supportare anche sul piano normativo e scientifico i propri iscritti, non solo effettuando azioni a tutela della professione ai vari livelli, ma anche rendendosi capace di interloquire e suggerire proposte convincenti nella predisposizione di norme con un impatto diretto sull’industria, nella convinzione che l’alta efficienza produttiva poteva e doveva essere associata ad un uso corretto delle risorse, al lavoro in sicurezza e alla salvaguardia dell’ambiente. Si dovette quindi dialogare con la Società Chimica Italiana, che vide tra i suoi presidenti anche dei colleghi iscritti all’Ordine dei chimici, ed anche con Federchimica, nata nella sua forma attuale il 2 luglio 1984 derivando da ASCHIMICI, associazione che si era costituita nel 1945 su base volontaria per coordinare e tutelare “gli interessi delle industrie chimiche assumendo la rappresentanza nei confronti delle Autorità”. L’industria chimica seppe anticipare i cambiamenti non solo sul piano tecnologico, ma anche nella gestione dei rischi connessi ai processi produttivi alle materie utilizzate attraverso iniziative di forte coinvolgimento delle maestranze:
La chimica ha introdotto i moderni sistemi di gestione della sicurezza e della tutela ambientale che l’hanno resa oggi uno dei settori in assoluto più sicuri. Il diffondersi di questa cultura ha portato alla creazione di Responsable Care, il primo programma volontario mondiale che impegna le imprese a perseguire il miglioramento continuo in sicurezza, salute e protezione ambientale, nato in Canada nel 1985, poi, sviluppato negli Stati Uniti e in Europa dal Cefic e gestito in Italia da Federchimica.
Dal 1989 ad oggi si susseguirono soltanto quattro presidenti nella gestione del Consiglio Nazionale: Emanuele Rampino, Alberto Girelli, Armando Zingales, sostituito dall’attuale presidente Nausicaa Orlandi, primo presidente donna. Rampino era stato riconfermato il 3 novembre del 1989 e con lui furono eletti Giancarlo Gatti di Modena, Elio Rambaldi di Cremona, Alberto Girelli di Milano, Roberto Cuzzocrea di Reggio Calabria, Giuseppe Safina di Palermo, Lino Marchesini di Padova, Cesare Zendri di Trento, Cataldo Stante di Taranto, Fernando Maurizi di Roma, Luigi Cichero di Torino. In quel momento anche Zendri venne riconfermato vice presidente e Fernando Maurizi fu eletto segretario. Durante il mandato si concretizzò la pubblicazione della nuova rivista Il Chimico Italiano. Periodico di informazione dei chimici italiani che uscì nel 1990. Nel presentarla, Rampino ricordò:
La Chimica piace agli italiani, lo deduciamo dal fatto che essa non è mai stata così di moda […] il protagonista però non sempre è stato il chimico anzi quasi mai, ma quel nutrito manipolo di operatori del settore, non meglio definiti, che parlano e trattano di chimica con la stessa disinvoltura dei bambini che maneggiano una bomba a mano, ritenendola un giocattolo. È una situazione in cui la gestione della nostra professione è stata (ancora in parte lo è) vissuta come una attività semplicistica, snaturando il ruolo della Chimica e dei Chimici fino a renderli testimoni passivi di giuochi di potere, locale o centrale compiuti inesorabilmente al di fuori ed al di sopra della categoria, con accordi e decisioni super partes. Due nodi da sciogliere quindi per il Consiglio Nazionale: professionalizzare la chimica, con la rappresentazione del ruolo del chimico; rifocalizzare il notevole contenuto culturale e sociale della chimica e delle sue applicazioni. Il primo nodo è stato affrontato, senza indecisioni e senza compromessi, facendo scivolare la professione verso la legittimità e la legalità e ciò non solo per la giusta spinta morale deontologica e civica, non solo per evitare soprusi su cose che, a volte, hanno polarizzato l’attenzione generale, a volte meno, ma soprattutto per individuare programmi che possano cancellare questo malessere incupente. La pubblicazione del giornale di categoria offre finalmente uno strumento per affrontare e sciogliere il secondo nodo. Infatti offre ai chimici la possibilità di intervenire con i loro articoli, a difesa della immagine della chimica e della professione, con imparzialità, con giustezza, con rigore professionale e nel contempo costituisce un mezzo di informazione e di cultura chimica per i parlamentari, gli amministratori pubblici, i dirigenti ministeriali fornendo loro i criteri di interventi tecnico-professionali per alcuni problemi come quelli dell’ambiente, degli alimenti, dei fitofarmaci ecc. Infatti l’assenza di un giornale nazionale dei chimici ha certamente agevolato il diffondersi di informazioni superficiali e disinformazioni su argomenti chimici e sulle applicazioni della chimica. È infatti notorio che l’unica cultura diffusa è quella che proviene dal Bignami e/o dal Manuale della Chimica e del piccolo chimico. Invero la presenza di alcuni organi informativi editi dagli Ordini e dalle Associazioni ha certamente contribuito ad informare la P.A. in modo corretto e ha reso ragione ai chimici iscritti agli Ordini e alle Associazioni. Ma il coordinamento delle notizie e delle informazioni fra tutti gli organi di stampa dei chimici renderà più coagulante e generalizzato lo scopo perseguibile. È necessario, per esempio, far comprendere ai politici, agli amministratori pubblici che nelle commissioni comunali, provinciali, regionali la presenza dei chimici è indispensabile per le valutazioni di impatto ambientale, per la progettazione dei processi degli impianti di depurazione, per la idonea collocazione delle industrie più o meno pericolose nelle aree industriali, per l’inquinamento negli ambienti di lavoro, ecc. […] È necessario creare una cultura chimica, per evitare che si continui a dare incarichi di chimica ai non chimici, perché è evidente che le denunce da parte di Ordini e di iscritti, anche se necessarie, non sono sufficienti.
Rampino concluse facendo riferimento ai cambiamenti previsti nella Comunità Europea con l’allargamento della stessa a seguito degli eventi politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni, dopo la caduta del muro di Berlino. All’appuntamento fissato per il 1993 Rampino disse “I Chimici arriveranno con serietà e chiarezza di idee e faranno la loro parte”. Nel corso della consiliatura si cominciò ad attribuire la dovuta importanza alla qualificazione Eurchem. Poche furono comunque le candidature di chimici italiani. L’argomento venne successivamente ripreso, in occasione del congresso tenutosi a Napoli, quando il Consiglio Nazionale rilanciò con una apposita campagna l’iniziativa ECCC del chimico europeo presso tutti gli iscritti agli Ordini. Furono organizzati incontri decentrati a Napoli, Milano, Venezia e Bologna, mettendo a punto una guida per il conseguimento della qualificazione di Chimico Europeo. In chiusura di mandato, Rampino ritenne opportuno effettuare un’indagine statistica sugli Ordini; inviò una circolare con la quale richiedeva non solo di indicare il numero degli iscritti, ma di esplicitare l’attività svolta ed il numero di riunioni effettuate nel corso del 1993. In quell’anno gli Ordini territoriali erano 39, con un numero maggiore di iscritti in quelli di Roma (1050), Milano (1012), Toscana (649), Piemonte (633) e Campania (561); Matera, Potenza, Taranto, Foggia, Cremona e La Spezia fecero registrare un numero di iscritti inferiore. La presidenza Rampino si era caratterizzata per la difesa della professione e la lotta all’abusivismo, in particolare sollecitando gli Ordini territoriali a porre attenzione alle strutture societarie di capitale che annoveravano tra i soci o i dipendenti del personale non abilitato all’esercizio della professione. In una circolare inviata agli Ordini ricordava:
ciò non vale per quelle società che sia nell’oggetto sia nella pratica abbiano veramente carattere strumentale nei confronti dell’espletamento professionale, essendo ben ammissibile a norma dell’art. 1322 del codice civile che un professionista si accordi con una società la quale egli fornisca i beni strumentali ed i servizi necessari all’espletamento della sua specifica attività professionale. A questi fini e solo a questi fini il professionista potrà essere socio della medesima società, la quale avrà però rapporto solo con il professionista, senza alcuna possibilità di avere contatto sia pure a nome del professionista, con i terzi. Orbene l’accertamento delle sopra accennate responsabilità è stato fino ad oggi, ostacolato da numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza relativamente: ai limiti e all’estensione dei poteri dei Consigli degli Ordini, alla ammissibilità e legittimità dei provvedimenti di revoca della omologazione o di declaratoria di nullità degli atti costitutivi delle società od associazioni […] Da anni i professionisti italiani chiedono norme idonee a risolvere i problemi delle professioni, ma non trovano accoglimento da parte del Governo e del Parlamento, per inettitudine, superficialità o interesse di qualcuno. Il limite della sopportazione è stato superato non c’è niente da difendere se non la propria dignità. Le libere professioni e l’esercizio corretto delle professioni rappresentano il grado di civiltà di una nazione: la nostra è una battaglia di civiltà.
Il 24 febbraio del 1994 fu eletto il nuovo presidente, professor Alberto Girelli di Milano. Erano con lui Roberto Cuzzocrea vicepresidente, Elio Rambaldi segretario e i consiglieri Luigi Cichero, Giovanni Cuzzocrea, Giancarlo Gatti, Gaetano Giglio, Emanuele Rampino, Sandro Sandrini, Cataldo Stante e Armando Zingales. In sede di insediamento, Girelli sottopose ai colleghi un programma di attività da sviluppare nel corso del mandato e una proposta di costituzione di commissioni operative con il compito di studiare i diversi problemi della categoria e proporre al Consiglio i provvedimenti opportuni. I rapporti con le istituzioni dovevano essere tenuti dal presidente in stretto contatto con il vicepresidente e il Consiglio, quelli con i ministeri, il Consiglio Universitario Nazionale e la Società Chimica Italiana, da Giovanni Cuzzocrea affiancato dai consiglieri Cichero e Giglio, gli affari legali da Rampino, Euchems da Zingales, il tariffario da Stante e Gatti, l’accreditamento e la certificazione da Zingales e Sandrini, i rapporti con le altre professioni dal vicepresidente con il segretario. Nell’assumere la responsabilità del periodico Il Chimico Italiano, Girelli affermò:
Eletto presidente del Consiglio Nazionale dei chimici il 24 febbraio 1994, mi tocca anche il compito di direttore responsabile di questo periodico a partire dal primo numero dell’anno corrente. Benché l’esperienza quale comunicatore mediante carta stampata non mi manchi certamente, considero alquanto arduo questo mio nuovo compito. Infatti, non si tratta di dirigere una rivista scientifica-tecnica di co...