Arte e pubblico
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Il grande storico dell'arte Gombrich apre la riflessione alla vita delle opere nel circuito della fruizione. Artisti, esperti d'arte, acquirenti e pubblico creano e condividono quello che diventa il gusto di un'epoca. Il denso pensiero di Gombrich viene qui messo in gioco come un esercizio di esemplificazione che tocca opere e artisti noti. Il risultato è un'opera che rende accessibile a tutti i livelli di lettura le teorie di uno dei più affascinanti e innovativi intellettuali del Novecento. Una vivace indagine, dai toni eleganti, sull'evoluzione delle nostre capacità di giudicare.

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Information

ERNST H. GOMBRICH

ARTE E PUBBLICO.
ARTISTI, ESPERTI, CLIENTI

Il titolo dell’intervento, tenuto il 20 Maggio 1992 nel Municipio di Vienna e qui presentato al lettore, necessita di ben poche spiegazioni. In qualità di storico dell’arte mi sono dovuto occupare lungo tutto l’arco della mia vita dei tre gruppi umani, che vi sono menzionati1, ovverosia degli artisti, degli esperti e dei clienti. E l’ho fatto ancor più volentieri nel momento in cui nei miei studi si parlava sempre più di uomini di azione, anziché di astrazioni, le quali molto spesso prendono il loro posto in quella letteratura specialistica, che mette sul piedistallo, ad esempio, lo spirito dei popoli, del tempo o, addirittura, la storia del mondo, proprio come se fossero persone agenti.
Fu anche questo approccio a spingermi ad aprire la mia nota Storia dell’arte con questo provocatorio capoverso: «Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose»2.
Questa formulazione iniziale non è farina del mio sacco. Fu Julius von Schlosser, mio indimenticato professore all’Università di Vienna, a far sua quest’opinione in Storia stilistica e storia linguistica nell’arte figurativa3. Per parte mia non ho fatto altro che riprendere lo spunto schlosseriano nella sua intenzione esplicita, che era quella di fornire al lettore un’introduzione ad uno dei problemi più importanti nella storia dell’arte, ossia al fatto che il concetto di “arte” ha significato cose assai diverse in ogni epoca della storia. E, tuttavia, ancora oggi parliamo di arte della guerra o di arte della cucina non meno di quanto si parli di arte delle costruzioni e di arte musicale.
Ma proprio tali mutamenti mostrano anche come la produzione di opere figurative – dunque, di ciò che soprattutto oggi definiamo arte – di volta in volta sia servita a diversi scopi e, da qui, sia stata giudicata in maniera diversa. Proprio a tale ulteriore fattore vuole rinviare il titolo del presente intervento: ai clienti, che ordinano opere d’arte, le comprano o le collezionano; e agli esperti, che, infine, pretendono di determinare ciò che ha valore d’arte.
In questo senso nel titolo da me prescelto è presente qualcosa come una sorta di autocritica, perché spesso si è visto che i responsabili di una nuova idea di arte non furono affatto gli artisti, bensì piuttosto gli esperti, i quali, in un certo senso, volevano e potevano prescrivere ai clienti come investire il proprio denaro. A conti fatti proviene dagli esperti la convinzione che i cartelloni pubblicitari per gli estratti di carne non appartengano all’arte, ma tutt’al più all’artigianato.
A chiunque abbia un po’ di confidenza con l’attuale mercato dell’arte saranno venuti in mente altri esempi del genere. Basti ricordare solamente i tanti pittori di oggi, molti dei quali (certamente la maggioranza) padroneggiano ciò che una volta veniva definito il loro mestiere. Dipingono ritratti, paesaggi e nature morte che spesso sono gradevoli e presentano, tra l’altro, anche una qualche nota peculiare. Alcuni di loro si sono addirittura creati una piccola cerchia di clienti che stimano i loro lavori. Altri provano, invece, di continuo ad avere fortuna con mostre oppure persino proprio nel mercato dell’arte. Solo a pochissimi riesce, però, di sollecitare l’attenzione degli esperti, ossia di quelli che, alla fine, determinano ciò che è da considerare arte contemporanea. Gli esperti sono tuttavia ampiamente pronti a cercare solo quelle innovazioni che gli permettono di ritagliarsi un posto in una futura storia dell’arte.
Io stesso non mi sento in prima linea un esperto, e men che meno un critico, ma, semmai, uno storico, e proprio per questo motivo mi sono dovuto occupare di come sia venuta a crearsi la situazione appena descritta, e del ruolo che artisti, esperti e clienti hanno giocato in questo processo. La cosa migliore mi è sembrata quella di lasciar parlare le fonti, nonostante le abbia già citate in altri contesti. Se esse saranno in grado di ridestare in voi la riflessione, la mia breve panoramica avrà raggiunto il suo scopo.
*
Per prima cosa, desidero ringraziare gli organizzatori per il grande onore concessomi: quello di poter parlare nella Sala degli Stemmi del Municipio. È un onore che certamente non mi sarei mai sognato quando, prima da scolaretto e poi da studente, passavo regolarmente dinnanzi al Municipio compiacendomi della sua silhouette. È probabile, infatti, che sia stata proprio questa costruzione a contribuire in maniera decisiva a farmi diventare uno storico dell’arte. Ero ancora alle elementari, quando cominciai ad interessarmi dei diversi stili costruttivi che si vedevano nella Ringstraße. Imparai presto che, al contrario del Parlamento, che esibiva uno stile classico etc. etc., il Municipio era gotico. I bambini si esaltano velocemente quando acquisiscono conoscenze con facilità, ed è per questo che cominciai a studiare le fasi stilistiche dell’architettura con lo stesso zelo che riservavo al tentativo di impadronirmi dei nomi dei minerali e delle specie animali. Secchione come, ahimè, ero allora, pianificai persino già il mio primo libro. Doveva intitolarsi: Sullo stile a partire dagli edifici viennesi. Un tema, questo, che nella mia seconda patria, Londra, avrebbe incontrato meno terreno fertile.
Devo avvertirvi però subito: non mi rivolgerò a voi da storico dell’arte. Invece di diapositive, vorrei presentarvi testi che potranno, forse, gettare luce da più punti di vista sul mio tema, meglio di quanto siano in grado di fare semplici illustrazioni. Come sapete vi parlerò della relazione fra tre gruppi umani – gli artisti, gli esperti ed i clienti. Ciò significa sostanzialmente che avremo a che fare con il pubblico. Le svariate tensioni fra i tre gruppi umani appena menzionati giocano un ruolo nella storia dell’arte, ma anche nella musica e nella letteratura. La personalità creativa si è ovunque rassegnata alla realtà dell’esistenza in società, alla comprensione o incomprensione degli esperti, al successo o al tragico insuccesso di pubblico, perché senza la presenza di clienti o dei compratori l’artista non potrebbe tirare avanti. È comprensibile che gli storici siano sempre stati volentieri dalla parte dei creatori. Spero, quindi, di non sorprendervi se metterò anche una buona parola per il tanto bistrattato pubblico.
Non c’è alta cultura nella quale le tensioni fra artisti, esperti e clienti non abbiano avuto valore, ma i risultati non sono stati sempre gli stessi. Nel volo attraverso i secoli che sto per intraprendere, ho intenzione di reperire i miei esempi dall’antichità, già semplicemente per il fatto che l’antichità ha rappresentato per secoli quel modello di pensiero su cui si sono formati gli artisti ed i critici. In fin dei conti, è da lì che viene uno dei detti più noti. Mi riferisco a quello che recita «Ciabattino, non guardare oltre le scarpe!»4, e che fu attribuito ad Apelle, il più grande pittore dell’antichità, il ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. ARTE E PUBBLICO. ARTISTI, ESPERTI, CLIENTI
  3. POSTFAZIONE
  4. DEL GIUDICARE. ALCUNE RIFLESSIONI A MARGINE DI ARTE E PUBBLICO. ARTISTI, ESPERTI, CLIENTI
  5. INDICE