Teoria delle emozioni
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Teoria delle emozioni

Studio Storico-Psicologico

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Teoria delle emozioni

Studio Storico-Psicologico

About this book

Lev Semënovi? Vygotskij è noto per aver gettato le fondamenta della "psicologia storico-culturale" che offre una concettualizzazione dell'apprendimento umano produttivo ed efficace e quindi imprescindibile strumento di conoscenza del mondo dell'educazione e dell'istruzione. La Teoria delle emozioni è un affascinante e dettagliato viaggio nel tempo e nel mondo che ci guida attraverso numerosi studi e teorie in un vasto ventaglio di approcci che spaziano dal fisiologico al filosofico, senza mai tralasciare la solida impostazione psicologica che caratterizza tutto il lavoro di Vygotskij. Attraverso la lettura di questi venti capitoli è possibile percorrere un viaggio, storico e teorico, che consente di fermarci in diverse epoche della scienza e ci concede l'opportunità di trovare, spesso con dovizia di dettagli, i nomi di gran parte degli studiosi e dei personaggi storici che hanno affrontato il tema elusivo ma imprescindibile delle emozioni. Il libro è corredato da una preziosa Introduzione di Maria Serena Veggetti, una delle più importanti studiose del pensiero di Vygotskij.

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Capitolo dodicesimo



Cominciamo con l’esaminare dettagliatamente una questione più particolare, la stessa che era chiara a Lange, a causa della sua ubriacatura con il vino cartesiano e del trionfo della concezione meccanicistica del mondo nella sua stessa teoria, la prima che soprattutto saltò agli occhi dei ricercatori e dei critici e indusse a stabilire una parentela tra la teoria meccanicistico-spiritualista e la teoria delle passioni del secolo XVII e la sua incarnazione tardiva nel secolo XIX. L’identità dei fatti salta agli occhi sempre prima di quella del principio. Dopo la differenza esistente tra i linguaggi fisiologici dei secoli XVII e XIX, fu relativamente facile esaminare e discernere il meccanismo, identico nel suo fondamento, della reazione emozionale. Possiamo appoggiarci a una serie di ricerche che con un accordo sorprendente ci avvicinano alla stessa conclusione. Disgraziatamente non troveremo né appoggio né unanimità simili nella soluzione del problema della convergenza di principio di ambo le concezioni. Così, dovremo aprirci il cammino noi stessi. Perciò, in primo luogo, armiamoci di una comprensione chiara dei fatti.
G. Sergi, a cui dobbiamo lo studio più solido, e forse il più definitivo su questa questione, si indigna, con piena ragione, contro James e Lange perché non conoscevano, o ignorarono, il vero fondatore della teoria fisiologica delle emozioni, Descartes. Mentre Ch. Sherrington, nelle sue ricerche sui riflessi, menziona in modo dettagliato i presentimenti di Descartes, James non lo nomina in assoluto e Lange lo ignora apertamente. Cita Spinoza perché dimenticarlo scandalizzerebbe i lettori. E in Descartes va a cercare la frase più antifisiologica, la più intellettuale di tutto il Trattato delle passioni, che contiene le basi della sua dottrina84.
A tal riguardo, Lange era aperto, chiaro, ma evidentemente non aveva ragione. Già in Descartes, la definizione generale delle passioni non lascia alcun dubbio sul fatto che la sua teoria, in un grado infinitamente maggiore di quella di Spinoza, deve considerarsi la più vicina alla teoria vasomotoria. Descartes colloca le passioni in questo gruppo di processi psichici, che nella sua classificazione raggruppò con il nome di appercezioni (vosprijatie) o percezioni (perzepzij), e la cui caratteristica prima è la loro natura passiva. Parallelamente alle appercezioni che riguardano esclusivamente il corpo – si tratti di corpo estraneo o del nostro stesso corpo-, come le sensazioni, i sensi (colore, tono), gli affetti corporali, come il piacere e il dolore, e le necessità corporali, come la fame e la sete, e parallelamente alle percezioni che attengono esclusivamente allo spirito, come la percezione involontaria del nostro pensiero e del nostro desiderio (hotenie), Descartes distingue anche percezioni di una terza categoria. Queste si caratterizzano anzitutto perché attengono simultaneamente allo spirito e al corpo; durante queste percezioni, come conseguenza dell’influenza e del concorso del corpo, soffre la stessa anima.
Descartes chiama passioni questo tipo di processi psicofisici passivi. Di conseguenza, la passione è per lui l’espressione diretta della doppia natura umana, spirituale e corporale. Questa concerne l’uomo nello stesso modo in cui il movimento concerne il corpo. Secondo Descartes, ciò che caratterizza la passione è la sua doppia natura, spirituale e corporale. Ad eccezione delle passioni, Descartes non trova altri dati pratici che ci diano la possibilità di conoscere la vita comune dell’anima e del corpo. A tal riguardo, le passioni rappresentano un terzo fenomeno naturale della natura umana, parallelamente al pensiero e al movimento. Lo spirito e la volontà sono possibili solo nella natura spirituale, il movimento unicamente nella natura corporale, e le passioni solamente nella natura umana, che riunisce in sé lo spirito e il corpo. La doppia natura dell’uomo è l’unico reale fondamento delle passioni, queste a loro volta sono l’unico fondamento della conoscenza della natura umana.
Se ricordiamo che per Descartes non esiste in natura più che un solo corpo unito a uno spirito, cioè il corpo umano, che tutti gli altri corpi mancano di spirito e di anima, che tutti, compresi i corpi degli animali, sono semplicemente macchine, sarà chiaro che le passioni umane rappresentano per Descartes non solo l’unica manifestazione della vita comune dell’anima e del corpo nella natura umana, ma anche, in modo generale, qualcosa di unico nel suo genere, l’unico fenomeno in tutto l’universo, in tutto ciò che realmente esiste, in cui si riuniscono due sostanze che non possono riunirsi in nessuna altra parte. Si comprende che per questo motivo la teoria delle passioni occupa un luogo completamente eccezionale nel sistema di Descartes: primo le passioni costituiscono l’unico fenomeno in cui siamo capaci di concepire in tutta la sua pienezza la doppia natura dell’uomo, la vita comune di anima e corpo; secondo, questa teoria rappresenta in tutto il sistema, l’unico punto di intersezione della dottrina spiritualista di Descartes che si riferisce allo spirito e della sua dottrina meccanicistica che si riferisce ai corpi. Si comprende anche che, grazie a questo modo di impostare la questione, nel sistema di Descartes si sostiene che le passioni umane non solo sono qualcosa che non può assolutamente accompagnarsi con le altre manifestazioni della vita umana, ma qualcosa che non ha nulla che le assomigli, qualcosa di assolutamente unico in tutto l’universo.
Fedele a questa concezione, Descartes definisce le passioni come percezioni, sensazioni o movimenti dell’anima, che le appartengono personalmente, provocate, mantenute e rafforzate dall’attività degli spiriti vitali. Se ricordiamo che in Descartes gli spiriti vitali non sono intermediari tra la materia e lo spirito, ma che, secondo la sua stessa definizione, sono unicamente corpi, finissime particelle di sangue, molto mobili e calde, prodotte nel cuore in certo modo per distillazione, comprenderemo subito l’affinità di questa definizione classica delle passioni con le formule di Lange e James. Descartes compara gli spiriti vitali ad un vento leggero, una fiamma pura e viva che ascende senza sosta abbondantemente dal cuore fino al cervello, e da lì, per mezzo dei nervi, entra nei muscoli e comunica i movimenti a tutte le membra. Queste particelle di sangue, molto mobili e leggere, sempre materiali, si muovono secondo le leggi meccaniche, producendo negli organi sensazioni e movimenti che gestiscono le autentiche funzioni vitali. Nella fisiologia di Descartes, queste costituiscono una nozione generale e abbastanza vaga in cui la circolazione del sangue e il flusso dell’eccitazione nervosa ancora non sono differenziate. Ma, in ogni caso, non c’è dubbio che, con il nome di spiriti vitali, Descartes intendeva un meccanismo fisico estremamente sottile, che si azionava mediante il calore del cuore e che si muoveva secondo le pure leggi della meccanica, identiche alle leggi della natura; un meccanismo che, con la struttura dei nostri organi, determina tutte le azioni e le funzioni comuni all’uomo e agli animali, al pari del movimento di un orologio che si produce unicamente grazie alla forza delle sue molle e alla configurazione dei suoi ingranaggi.
Non andiamo a citare qui in modo dettagliato la concezione fisiologica di Descartes. In realtà, questa presenta solo un interesse storico. Per noi, la cosa più importante è la struttura generale della costruzione di questo meccanismo spirituale e corporale che Descartes colloca alla base della spiegazione delle passioni umane. Secondo la opportuna osservazione di Sergi, le concezioni fisiologiche di Descartes devono sostituirsi con altre nuove, e i suoi spiriti vitali devono cedere il posto ai nervi motori. L’unico piccolo centro nervoso di Descartes, la ghiandola pineale, deve essere rimpiazzato, in modo indeterminato, da una straordinaria gerarchia di numerosi centri per vedere che, dopo questa traduzione al linguaggio della fisiologia moderna, la teoria di Descartes continua ad essere la dottrina della quale viviamo finora. Per convincerci di ciò, basta ricordare che l’essenza di tutta l’argomentazione di Lange consiste nel denunciare l’inconsistenza della ipotesi della natura psichica delle emozioni, la sua inutilità, così come nel dimostrare che le emozioni possono apparire in modo puramente fisico, per la sola meccanica dei sommovimenti del nostro apparato vasomotorio.
L’affermazione di Lange, da cui addebitiamo al sistema vasomotorio tutta la parte emozionale della nostra vita psichica, le nostre gioie e tristezze, i nostri giorni felici e disgraziati è, in fondo, la traduzione nel linguaggio della psicologia moderna della formula di Descartes che afferma che le passioni non sono altro che percezioni dell’anima provocate, mantenute e rafforzate dall’attività degli spiriti vitali, cioè particelle di sangue molto leggere e mobili. Come osserva Sergi, lo stesso concerne interamente un altro punto di questa dottrina. Descartes distingue le passioni da altre due categorie di percezioni, nella misura in cui noi le attribuiamo non agli oggetti esterni e al nostro corpo, ma, unicamente ed esclusivamente, alla nostra anima.
Questa tesi concorda pienamente con l’idea che si stabilì nella psicologia contemporanea e la cui fonte è la teoria di James-Lange. Lange cita la tesi di Bard, secondo la quale i fenomeni affettivi sono puramente soggettivi e non possono essere utilizzati in alcun modo per la conoscenza della realtà esterna, che si sperimenta sempre come lo stato attuale del nostro “io”, e non come la proprietà di oggetti determinati.
Come indica Sergi, dal 1650 al 1923, data in cui furono scritte queste parole, l’“io” e i fenomeni puramente soggettivi rimpiazzarono l’anima. In altri aspetti, la differenza tra l’antica e la nuova teoria è più significativa. Qui, questa assunse un carattere puramente verbale, e il pensiero di Descartes continua a essere il nostro.
In questa definizione generale delle passioni, ancora due elementi meritano la nostra attenzione: il carattere percettivo passivo delle emozioni e la particolarità e originalità del movimento degli spiriti vitali che risveglia nell’anima l’emozione.
È difficile che appaia alcun dubbio rispetto al fatto che Lange e James, in fondo, riducono l’emozione alla sensazione o percezione delle modificazioni organiche. Anche in quello si trova la parte più debole di tutta la teoria, se si considera dall’aspetto puramente fenomenologico. In effetti, secondo questa teoria, è difficile comprendere in che modo il sentimento possa identificarsi con le sensazioni corporali come il tremore, l’aumento delle palpitazioni cardiache, le lacrime; in questo caso, davanti a noi si manifestano completamente chiare, o in modo più vago, le sensazioni come tali. Però la misteriosa maniera in cui un insieme di sensazioni, che nel senso stretto della teoria permangono sempre come sensazioni, si trasforma in sentimento non si conosce affatto, ed è difficile che quello ammetta una spiegazione razionale e intellegibile dal punto di vista puramente fenomenologico. Recentemente, E. Claparède segnalò questa difficoltà:
Se l’emozione non è più che la coscienza delle modificazioni periferiche dell’organismo, perché si percepisce come emozione invece di percepirsi come sensazione organica? Perché, se sono spaventato, sperimenterei paura invece di essere semplicemente cosciente di determinate impressioni organiche: tremore, palpitazioni cardiache ecc.? Che io ricordi, nessuno finora ha tentato di rispondere a questa obiezione. Certamente, questa risposta – secondo l’opinione di Claparède – non presenta grandi difficoltà. L’emozione non è altro che la coscienza della forma, della struttura di queste diverse impressioni organiche. In altre parole, l’emozione è la coscienza dell’orientamento globale della disposizione (ustanovka) (E. Claparède, 1928, p. 28).
A queste genere di percezioni di un tutto, generali e vaghe, che presentano la forma più primitiva della percezione, Claparède dà il nome di percezione sincretica. Però, precisamente, questa risposta rivela tutta l’inconsistenza della teoria percettiva delle emozioni considerata sotto l’aspetto fenomenologico. Tutta la questione risiede nel fatto che, secondo la teoria James-Lange, l’emozione è una formazione assolutamente non strutturata dal punto di vista psicologico, costituita da un insieme di sensazioni completamente eterogenee dal punto di vista psichico e che si formano secondo le leggi della meccanica fisiologica.
Noialtri siamo inclini ad affermare che la teoria di James-Lange è una teoria delle emozioni non strutturata sul piano dei principi. In effetti, come può apparire la paura in qualità di struttura psichica unica e coerente, in qualità di emozione intera, a partire da sensazioni come il trattenere il respiro, le palpitazioni cardiache, il sudore freddo, il rizzarsi della peluria, il tremore, la secchezza della bocca, gli sbadigli e altre manifestazioni corporali che James, seguendo Darwin, enumera come modello della descrizione dei sintomi delle emozioni? Forse il senso stesso di questa teoria risiede nel fatto che la paura, la collera, e le altre emozioni, come strutture intere, indivisibili, sono una mera illusione e che se, passo dopo passo, da queste strutture si sottraggono gli elementi delle sensazioni corporali, le strutture smettono di esistere. Quindi, la costruzione dell’emozione a partire da atomi separati, a partire da elementi di sensazioni corporali, è caratteristica di questa teoria e la accomuna a quelle teorie atomiste antistrutturali che interpretavano le percezioni come la somma di sensazioni. Questa teoria potrebbe essere chiamata strutturale unicamente nel caso che prendesse l’avvio dal riconoscimento dal primato fenomenologico e oggettivo della paura, della collera in quanto tali, e assegnasse soltanto un luogo e un significato alle sensazioni organiche particolari per le singole sensazioni organiche. Ma la nostra teoria segue il cammino inverso. Riconosce la realtà fenomenologica e oggettiva, l’unica priorità degli elementi e, a partire da quelli, tenta di costruire un insieme assolutamente non strutturato, che appare in modo veramente sincretico, cioè da un assemblaggio qualunque di tutto con tutto.
James considerava fortuite la maggior parte delle reazioni emozionali, né biologiche né, tantomeno, dal punto di vista psicologico non collegate ad un inevitabile nesso interno. In un organismo così complesso come quello nervoso, affermava, devono esistere molte reazioni fortuite. Quindi, il richiamo di Claparède a un principio esplicativo onnipotente, tanto diffuso nella psicologia contemporanea quanto il principio di struttura, risulta letale per la teoria che, solo in parte, è incline a difendere.
A sua volta, il segno di uguaglianza tracciato tra emozioni e percezioni mette sullo stesso piano la teoria James-Lange con la dottrina cartesiana. Dato che il significato da questo punto di vista è centrale per la teoria James-Lange, la coincidenza delle due dottrine non può essere un mero caso: posto che le teorie scientifiche, a differenza dell’emozione, così come la concep...

Table of contents

  1. Presentazione
  2. Presentazione Mauro Campo
  3. Educazione e rivoluzione. Vygotskij, Makarenko e tutti noi
  4. Bibliografia citata ed essenziale
  5. Capitolo primo
  6. Capitolo secondo
  7. Capitolo terzo
  8. Capitolo quarto
  9. Capitolo quinto
  10. Capitolo sesto
  11. Capitolo settimo
  12. Capitolo ottavo
  13. Capitolo nono
  14. Capitolo decimo
  15. Capitolo undicesimo
  16. Capitolo dodicesimo
  17. Capitolo tredicesimo
  18. Capitolo quattordicesimo
  19. Capitolo quindicesimo
  20. Capitolo sedicesimo
  21. Capitolo diciassettesimo
  22. Capitolo diciottesimo
  23. Capitolo diciannovesimo
  24. Capitolo ventesimo