Fotografia e pensiero fotografico
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Fotografia e pensiero fotografico

in conversazione con Francesca Adamo

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Fotografia e pensiero fotografico

in conversazione con Francesca Adamo

About this book

"Niente incarna l'anima dell'Occidente più profondamente della fotografia. Meglio e più di ogni altra cosa, essa rappresenta l'intima essenza della cultura occidentale. Più precisamente possiamo dire: la fotografia è tout court il sentire dell'Occidente. Più che con la forza delle armi, è con la fotografia prima e col cinema dopo che l'Occidente ha occidentalizzato il mondo. Possiamo quindi dire che quella della fotografia è una questione fondamentale, che i filosofi dell'Ottocento e del Novecento non hanno saputo cogliere."

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Information

Year
2019
eBook ISBN
9788857562841
Topic
Art
Subtopic
Photography
· lc ·
la conversazione
3
fotografia
e pensiero
fotografico
Diego Mormorio
in conversazione con
Francesca Adamo
Grazie ad Andrea Attardi, Ottavio Celestino, Tano D’Amico, Riccardo De Antonis, Dino Ignani, Fabio Ponzio e Marialba Russo per la gentile concessione delle immagini presenti all’interno del volume. L’editore resta disponibile ad assolvere eventuali obblighi riguardo alle altre immagini presenti nel testo avendo effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo.
Mimesis Edizioni (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
Collana: la conversazione, n. 3
© 2019 – Mim Edizioni SRL
Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 24861657 / 24416383
In copertina:
Ottavio Celestino, Ritratti dell’inconscio, stampa Fine Art a getto d’inchiostro su carta Hahnemuhle ultra smooth, 2013/2016
Sull’aletta:
Ritratto di Diego Mormorio © Dino Ignani
Francesca Adamo – Diego Mormorio è nato a Caracas da genitori siciliani. Storico, critico della fotografia e saggista italiano, si occupa in maniera originale dei rapporti tra la fotografia e la cultura filosofica e letteraria.
Diego, raccontami com’è cominciata la tua avventura.
Sono nato a Caracas, figlio di emigrati siciliani, e ciò mi fa sentire doppiamente siciliano e vicino a tutti quelli che arrivano spinti dalla fame e dalle guerre; mi fa detestare profondamente quelli che li farebbero morire in mare. La storia della mia nascita mi è sempre sembrata molto siciliana, un po’ letteraria e molto legata al mio rapporto con la fotografia.
Mio padre era partito, nel 1951, con un folto gruppo di emigranti, nel quale c’era anche mio nonno materno. La madre lo piangeva come si piange un morto. Qualcuno le aveva detto che gli scapoli che partivano per il Venezuela non tornavano più: venivano ammaliati dalle donne di lì, che facevano loro dimenticare le famiglie lontane. Così, quando si diffuse la notizia che anche mia madre, il fratello e sua madre sarebbero partiti, i miei nonni paterni ebbero un’idea. Presero carta e penna e scrissero al figlio, informandolo dell’imminente partenza del terzetto. Gli consigliarono di fidanzarsi con mia madre, appena diciottenne e una bella ragazza. Tentarono in questo modo di sottrarlo alle grinfie delle arpie venezuelane, così da poterlo rivedere. Mio padre conosceva di vista mia madre, la sua bellezza. Cosicché l’idea non gli dispiacque, anzi, gli parve da prendere al volo. Rispose che per lui andava bene e anche la ragazza e la sua famiglia furono contenti dell’idea. Due settimane dopo, mia madre ricevette un biglietto di mio padre: “Maria, sono contento che hai accettato di sposarmi, quando sarà il momento. In queste poche righe ti mando il mio cuore”. Poche righe, diceva il biglietto, e il poco si fermava a tre. In quel poco però c’era tutto mio padre. Uomo di cuore, di fatti e di poche parole. “Quando sarà il momento”, diceva. Espressione tipica del suo fare le cose con calma e del suo sapere aspettare pazientemente. Credo che mia madre si sia innamorata di lui con quelle tre righe. Mio padre non lo sapeva, ma a lui era riuscito quello che Kafka ha sempre desiderato: legare le ragazze con la scrittura.
Fin da ragazzino ho avuto chiaro che le fotografie non dicono necessariamente la verità e l’ho riscoperto proprio grazie a due immagini del matrimonio dei miei genitori, che si sposarono nel luglio 1951, nella chiesa di Altagracia, a Caracas.
La prima fotografia, con la poca luce che c’era in chiesa, sembra ripresa nel buio della notte [fig. 1]. Si vedono solo cinque persone. Mio padre di profilo mentre infila l’anello nella mano di mia madre, mia nonna materna che guarda verso il prete e il signor Checcon, il padrone di casa, che guarda le mani degli sposi. Dietro, invisibili, c’erano i tre o quattro invitati, anch’essi emigranti. Questa è l’unica fotografia del loro matrimonio. La seconda fotografia mostrava gli sposi che scendevano da una scalinata di una casa signorile [fig. 2]. Ma come mi spiegò mia madre solo le teste erano la sua e quella di mio padre, i corpi erano di due sconosciuti. Dopo il matrimonio un fotografo ambulante spagnolo si era offerto di fare questo fotomontaggio che mostrava un matrimonio sontuoso, segno di elevato grado di agiatezza. Insomma si trattava di un vero e proprio falso storico.
– Com’è nato il tuo interesse per la fotografia?
Per caso e forse un po’ per destino. Avevo ventitré anni ed ero studente di sociologia a Roma. Non avevo mai fatto una fotografia. L’unico mio rapporto con la “questione” fotografica era venuto dalla lettura de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin1, che è stato uno dei libri che più mi hanno segnato. Avevo già deciso di laurearmi con una tesi sul rapporto tra immaginazione e realtà quotidiana nella letteratura francese e italiana della fine dell’Ottocento. Una tesi di sociologia della letteratura. I miei interessi erano soprattutto letterari e filosofici. Subivo il fascino di Guy de Maupassant e, in misura minore, di Giovanni Verga. La professoressa Graziella Pagliaro Ungari, che ricordo con gratitudine, mi aveva dato l’ok, suggerendomi di fissare l’attenzione su Verga. Improvvisamente, una sera avvenne il fatto che mi ha portato da un’altra parte. Con un gruppo di amici – “compagni” dell’estrema sinistra – eravamo soliti andare la sera in una trattoria alla buona, dove si mangiavano pasta e fagioli, spaghetti all’amatriciana, frittata di cipolle… Il proprietario, anche lui un “compagno”, oltre a farci lo sconto, ci faceva anche credito. Uno degli amici aveva da poco comprato una macchina fotografica ed era stato preso dal furore di fare fotografie: andava sempre in giro, insieme a un altro un po’ meno neofita di lui, a fotografare. Così una sera arrivarono con un fascio di fotografie stampate in grande formato che ci passammo di mano in mano. Qualcuno, naturalmente, come si era soliti fare, chiese quale potesse essere il senso politico di quelle immagini. Io, invece, senza pensare in quel momento alla rivolta – parola costantemente presente in noi – chiesi: “Perché le avete fatte?”. Mi guardarono stupiti, mentre io aggiungevo: “Se tutte queste cose esistono, ed è del tutto evidente che sia così, perché fotografarle? Non è taut...

Table of contents

  1. Bibliografia essenziale
  2. Fotografie