Floriana Ferro
L’ambiguità del linguaggio
in Merleau-Ponty
Introduzione
Leggere la Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty significa approcciarsi a un’opera sui generis, diversa da quelle di Husserl, a cui il filosofo si ispira. Stupisce l’assenza di rigore nella trattazione degli aspetti concernenti la percezione. Mancano infatti premesse e definizioni ben delineate, linguaggio specifico e sviluppi logicamente coerenti, in grado di condurre a delle conclusioni definite. Il lettore si trova davanti tutt’altro: grandi aree tematiche sviluppate con una certa libertà, con un filo logico-argomentativo presente quasi alla lontana, in grado di mostrare la propria presenza non tanto durante, quanto alla fine della trattazione. Forse Merleau-Ponty intende rimandare, in qualche modo, a quella struttura originaria della nostra esperienza del mondo. Il filosofo si riferisce, ad esempio, all’“essere pre-oggettivo” come “movente non tematizzato” nella percezione del movimento, alla “spazialità originale” alla base dell’esperienza dello spazio, all’“opacità di un passato originario” nel caso della nostra esperienza del tempo, a un’“opinione originaria”, a cui poi si applicherebbe il pensiero tetico.
In entrambi è comunque presente l’intenzione – o, per dirla secondo la fenomenologia, l’intenzionalità – di lasciare delle questioni aperte. Nel caso di Husserl, ad esempio, rimane irrisolta la relazione tra io trascendentale e io empirico, proprio come quella tra livello ontologico-metafisico e livello fenomenologico. Merleau-Ponty riconosce invece l’incapacità di distinguere il soggettivo dall’oggettivo, l’apparenza dalla realtà. Eppure tale esigenza si configura diversamente nei due autori: in Husserl pare rimandare a ulteriori ricerche da sviluppare, in grado di chiarire quali siano effettivamente le strutture di quell’Io trascendentale a cui non è mai arrivato pienamente, mentre in Merleau-Ponty le conclusioni aperte risultano intrinsecamente tali, dunque impossibili da dirimere una volta per tutte.
Merleau-Ponty sembra cosciente della necessità di lasciare delle questioni irrisolte, anzi ambigue, perché è proprio di ambiguità che si tratta. Ci si focalizzerà qui sull’ambiguità del linguaggio, che non riguarda soltanto l’espressione della parola in quanto tale, ma qualcosa di molto più ampio. Non concerne infatti soltanto il segno che la rappresenta, né l’eventuale simbolo che rimanda ad altro, né l’emissione di voce che la rende viva, né l’intenzione del mittente o la comprensione del destinatario. Riguarda, insomma, tutti questi aspetti e nessuno in particolare.
In questo scritto verrà trattato, in prima istanza, il tema del linguaggio nella fenomenologia, con particolare riferimento a Husserl, seguito dal ruolo di Merleau-Ponty nella ridefinizione di questo problema in base al concetto di ambiguità precedentemente menzionato. Ci si riferirà poi alla questione della corporeità, che in Merleau-Ponty è una premessa indispensabile – o, per meglio dire, costitutiva – dello sviluppo di una fenomenologia del linguaggio. Una volta trattata la questione del corpo, si entrerà nel merito del problema del senso, che è legato alla corporeità non secondo un’accezione generale o astratta, bensì a una corporeità che, per Merleau-Ponty, è sempre situata: il linguaggio risulta dunque inscindibile dal contesto di riferimento. Riguardo al contesto medesimo, sarà impossibile, in ultima istanza, non fare riferimento all’altro, inteso non solo come interlocutore diretto, ma anche come presenza sullo sfondo della conversazione: l’individuo non è mai solo e, in quanto tale, comunica in un milieu costituito da altri. In virtù di ciò, c’è sempre qualcosa di implicito nella conversazione, qualcosa che riguarda un background comune, oltre che l’allusione all’originario, all’irrintracciabile fondamento della nostra esperienza del mondo.
Il problema del linguaggio nella fenomenologia
Il problema del linguaggio è strettamente legato allo sviluppo di ogni filosofia. Si tratta infatti del medium attraverso cui l’uomo esprime i propri pensieri e le proprie sensazioni, allo scopo di comunicarle a qualcuno. La filosofia del linguaggio è strettamente legata alla logica, ovvero alla disciplina che si occupa del funzionamento del pensiero, tuttavia non coincide con quest’ultima. La fenomenologia, sin da Husserl, si è preoccupata di evidenziare, da un lato, le condizioni logiche della comunicazione, dall’altro, l’uso della parola specifica, il cui significato può esulare da meccanismi a priori ed universali.
Per una migliore comprensione di quanto affermato, è necessario fare riferimento, innanzitutto, alla logica husserliana e alla sua teoria del linguaggio. Nei Prolegomeni a una logica pura, premessa alle Ricerche logiche vere e proprie, Husserl evidenzia la necessità di uscire dallo psicologismo imperante tra la fine dell’Ottocento e primi del Novecento e volgersi allo sviluppo di una logica pura. Ciò significa che la logica deve uscire dal suo statuto di pura tecnica, i cui meccanismi vengono indagati dalla psicologia, per divenire dottrina della scienza (Wissenschaftslehre), ovvero disciplina che si occupa di indagare i meccanismi del pensiero puro, che risiedono a fondamento di ogni scienza che si possa definire come tale. Qualsiasi teoria scientifica non può dunque fare a meno di una legittimazione a priori, la quale avviene per opera della logica pura: con ciò si intende che le proposizioni che costituiscono una teoria scientifica devono seguire i principi logici, i quali sono anche i principi dell’unità ideale della realtà. Per questa ragione, il modello su cui deve basarsi la logica è quello delle scienze matematiche. Sin da subito Husserl evidenzia il fatto che la logica non coincida con la linguistica, che si occupa invece dello sviluppo storico delle parole e del loro uso in contesti determinati. Di conseguenza, mentre i meccanismi generali del pensiero umano, che Husserl considera principi generali della realtà, sono sempre gli stessi, la singola lingua è da considerarsi soggettivamente. La tensione tra oggettivo e soggettivo è dunque presente chiaramente nelle Ricerche logiche.
Merleau-Ponty sembra porsi in controtendenza rispetto al fondatore della fenomenologia. Lungi dal confinare la psicologia all’aspetto puramente pragmatico, si rivolge alla teoria della Gestalt, a cui deve la concezione dell’unitarietà della percezione, e non manca di citare a più riprese i suoi sostenitori, per quanto rifugga dai suoi tecnicismi. Il suo interesse è ben lontano dalla fondazione di una fenomenologia pura o di una filosofia fenomenologica – come recita l’intero titolo delle Ideen di Husserl –, così come di una soggettività trascendentale in senso rigoroso. Merleau-Ponty sembra aver rinunciato a teorizzare i meccanismi puri della conoscenza, così decide di volgersi alla percezione. Sedotto dal primo Heidegger e dall’esistenzialismo sartriano, il filosofo si occupa del soggetto situato: questi ha un corpo, un qui e ora, è in rapporto da sempre con gli oggetti e con gli altri. Ciò non significa, tuttavia, che Merleau-Ponty rinunci a...