Capitolo quarto
La solitudine del filomita
1. La cittĆ al di sopra del Dnepr attendeva nellāanno secondo della rivoluzione di venire occupata dal bandito proclamatosi capo militare e intanto ne elaborava il mito: āTutte storie. Non ĆØ lui [Petljura], ĆØ un altro. Non ĆØ un altro, ĆØ un altro ancora.ā
Come nel romanzo di Bulgakov, per circa due secoli, gravissimi studiosi si affrontarono per stabilire se dietro il nome dāOmero ci fosse un qualcuno, o un qualcuno diverso dal primo o un altro diverso anche dal secondo, o più o infiniti. Allo stesso modo, dellāAlessandro dedicatario del trattato sul cosmo da alcuni attribuito ad Aristotele ci si ĆØ chiesti se fosse il Macedone o altro Alessandro. Perciò, che il trattato ΠεĻį½¶ į¼ĻμηνείαĻ, titolo circolante usualmente in latino come De elocutione, sia di Demetrio di Falero, allievo di Aristotele, o di altro Demetrio o dāaltro autore senzāaltro, ĆØ questione che in definitiva ricade sotto il dominio del ācomechessiaā, a non troppa distanza da quella se nel futuro del verbo Ī²į½±Ī»Ī»Ļ sia il primo o secondo lambda a cadere. E tanto varrĆ servirsi del nome trĆ dito, per cui ĆØ a Demetrio che possiamo continuare a riferire il terzo e ultimo passo filomitico, che nel De elocutione ā reso con Sullo stile ed espressioni equivalenti nelle lingue moderne ā compare in tre luoghi distinti.
Il primo indiretto e parziale incontro si verifica nel paragrafo 97, dallāonomaturgico contenuto: āVanno, pertanto, certamente formati dei termini per le cose che non hanno ancora avuto nome, come ha fatto chi ha denominato āsfrenatezzeā i timpani e gli altri strumenti da effemminati o come ha fatto Aristotele con āelefantistaā, oppure bisogna produrre termini derivati in base a quelli giĆ sussistenti, come ha fatto chi ha chiamato āscafistaā quello che spinge a remi uno scafo o come Aristotele che ha chiamato āche vive a sĆ©ā colui che ĆØ solo con se stesso (...καὶ į¼ĻιĻĻoĻį½³Ī»Ī·Ļ Ļὸν αį½Ļį½·Ļην [į¼ĻĪ·] oį¼·oν Ļὸν μόνoν αį½Ļὸν į½Ī½Ļα).ā Qui filomita e filomitia cominciano dal non esistere
Quindi la citazione diretta e più estesa, al punto 144. Lāautore sta parlando dei luoghi donde nascono le grazie (Ļį½±ĻιĻĪ·Ļ) dello stile e spiega che la grazia: āDeriva anche da una parola ordinaria, come quando Aristotele dice: āquanto più infatti sono solo e solitario, più divento filomitaā (į½
Ļįæ· Ī³Ī±Ļ ā ĻĪ·ĻĪÆ ā μoνώĻĪ·Ļ Īµį¼°Ī¼į½·, ĻιλoμĻ
Īøį½¹ĻεĻoĻ Ī³į½³Ī³oνα); e deriva anche da una parola costruita, come fa lo stesso autore nel medesimo luogo: āquanto più sono ridotto in me stesso e solo, più divento filomitaā (į½Ļįæ· Ī³į½°Ļ Ī±į½Ļį½·ĻĪ·Ļ ĪŗĪ±į½¶ μoνώĻĪ·Ļ Īµį¼°Ī¼į½·, ĻιλoμĻ
Īøį½¹ĻεĻĪæĻ Ī³į½³Ī³oνα); infatti, il āsoloā (μoνώĻĪ·Ļ) ĆØ giĆ di uso comune, mentre il āridotto in me stessoā (αį½Ļį½·ĻĪ·Ļ) ĆØ costruito sulla base di āse stessoā (αį½Ļį½¹Ļ).ā
Lāultimo richiamo al paragrafo 164, con esplicito mutamento di modalitĆ interpretativa in direzione del comico: āIl grazioso e il comico differiscono anche riguardo allo stile. Infatti, il grazioso si produce con la disposizione e attraverso le belle parole, che costituiscono ciò che più di tutto produce la grazia, come nel caso dellāespressione āla terra dalle molte corone varia coloreā oppure āil giallo-verde usignoloā. Il comico ĆØ, invece, fatto di parole semplici e più comuni, come avviene nel āquanto più sono ridotto in me stesso e solo, più divento filomitaā (ā¦į½Ļoν Ī³į½°Ļ Ī±į½Ļį½·ĻĪ·Ļ ĪŗĪ±į½¶ μoνώĻĪ·Ļ Īµį¼°Ī¼į½·, ĻιλομĻ
Īøį½¹ĻεĻĪæĻ Ī³į½³Ī³oνα).ā
Nella versione più estesa, quella del paragrafo 144, il brano di Demetrio ĆØ diventato il Frammento 668 secondo la numerazione classica di Valentin Rose, mentre Olof Gigon nella sua edizione dei frammenti ha adottato tutti e tre i brani, attribuendoli al dialogo sulla giustizia. Di originariamente aristotelico cāĆØ dunque una riga.
2. Quando, nel 323 a. C. muore Alessandro Magno, la posizione di Aristotele in Atene, diventa, per i legami col partito filomacedone, insicura e il filosofo ripara a Calcide, nellāisola di Eubea, dove si trova una casa di proprietĆ della madre. Tra i diadochi successori di Alessandro, solo Antipatro mantiene buoni rapporti con lāantico precettore del conquistatore e la riga genuinamente aristotelica cui il Fr. 668 si riduce sembra provenire da una lettera ad Antipatro dopo la fuga in Eubea. Di questa cornice fattuale fa parte anche il testamento di Aristotele, in cui lāasciuttezza dello stile e la secchezza delle disposizioni non fanno che dare risalto alla profonditĆ di sentimenti e legami. Incanta la sublime semplicitĆ della motivazione delle clausole a favore di Erpilli, la serva che aveva provveduto alla casa di Calcide: āperchĆ© ĆØ stata buona con meā (į½
Ļι ĻĻoĻ
Γαία ĻεĻį½¶ į¼Ī¼į½² į¼Ī³į½³Ī½ĪµĻĻ).
Werner Jaeger meglio di tutti seppe esprimere il lato squisitamente umano dellāintera situazione: un Aristotele fuggito da Atene, solo e non lontano dalla morte, torna, dopo unāesistenza passata nella ricerca filosofica e scientifica, a intrattenersi con le creature e i casi del mito; a intellezione del frammento, Jaeger richiama il passo filomitico della Metafisica, cosicchĆ© lāAristotele che aveva teorizzato la vicinanza di filomita e filosofo in occasione della nascita della filosofia e in un libro prossimo alle opere giovanili, avrebbe compiuto il passaggio contrario, dalla filosofia alla filomitia, alla conclusione della propria vicenda personale. Perfino Ingemar Düring fu pervaso dal calore della ricostruzione jaegeriana e in un primo tempo ne accolse riverbero e sostanza, interpretando la riga filomitica donataci da Demetrio secondo il passo fratello della Metafisica. Poi prevalsero la dura sistematicitĆ e lāintento demetafisicizzante e depoeticizzante, in seguito a imbeccata proveniente da Marianus Plezia. Questi aveva sentenziato che i dotti ā Jaeger, Bidez e lo stesso Dür...