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Narrazioni stereotipiche del femminile tra miti e filosofie

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Narrazioni stereotipiche del femminile tra miti e filosofie

About this book

Il saggio propone una riflessione, in chiave filosofica, volta a esplorare la soggettività femminile, nei principali luoghi simbolici dell'espropriazione e dell'assoggettamento, i miti e le filosofie, seguendo due linee interpretative che, intrecciandosi, risalgono ora alle radici mitiche dell'occidente, ora allo sviluppo del pensiero filosofico. Se la violenza fisica sulle donne ha fatto registrare, negli ultimi tempi, un aumento esponenziale dei femminicidi, la violenza culturale è molto più antica e ha costruito quell'immaginario simbolico collettivo, che si è sedimentato e stratificato nel corso del tempo, dando origine a figurazioni stereotipiche del femminile. Ne sono testimonianza le diverse figure di donna che si incontrano nel saggio, di cui Tacita Muta, ridotta al silenzio e privata del diritto di parola, ne è, fra tutte, raffigurazione esemplare.

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Information

1.
Per una filosofia del femminile
1.1. Percorsi teoretici di filosofia della differenza: dalla logica dell’Uno alla logica duale
Si suggerisce qui l’ipotesi di due filosofie possibili: l’una che pensa l’essere uomo e l’essere donna come qualcosa di originario che richiede una concettualizzazione duale, un duale assoluto, una sorta di paradosso per la logica dell’uno-molti; l’altra che pensa l’uomo universale neutro e in questo accoglie: l’essere uomo e l’essere donna come due casi ininfluenti per la tenuta del concetto neutro-universale.
A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale
La riflessione sulla differenza sessuale si è affacciata tardi alla coscienza contemporanea e alla riflessione filosofica del nostro tempo. Nella tradizione del pensiero filosofico occidentale, a partire da quello greco, possiamo rintracciare, come elemento distintivo, l’incapacità di pensare il femminile nella sua originarietà ossia di tematizzare il problema del soggetto umano, che non è uno ma due. Il riconoscimento dell’esistenza di una dualità originaria è stato posto nell’ambito della prospettiva ermeneutica di una buona parte della filosofia novecentesca, che ha studiato il tema della differenza sessuale 8. Alla tradizionale metafisica occidentale ne va addebitata un’incomprensione teoretica con conseguenze negative in ordine all’assunzione di ciò che identico non è e di ciò che, nel suo essere diverso, rivela spazi di autonomia e di specificità, chiedendo di essere riconosciuto per ciò che è.
La riflessione su quella alterità, che è rappresentata dalla donna, è perciò uno dei temi più recenti e complessi del pensiero della nostra contemporaneità; probabilmente, come già affermato da Luce Irigaray, riprendendo un’espressione usata da Heidegger secondo il quale ogni periodo storico ha un suo problema, è “uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare”9. Seguendo a grandi linee interpretative i luoghi classici del pensiero filosofico occidentale, l’aporia che si presenta è quella di concettualizzare la differenza in quanto tale, prima ancora di poter rendere ragione proprio di quella forma specifica e particolare della differenza, che è rappresentata, appunto, dalla differenza sessuale.
Ora, il concetto di “differenza” postula inevitabilmente l’esistenza di almeno due polarità senza le quali non potrebbe essere espresso: l’Uno e l’Altro. Il tema dell’alterità, in ambito filosofico, non rivela però uno spazio autonomo di teorizzazioni, inizialmente assente come oggetto specifico del pensiero e della riflessione, si sviluppa poi in stretta relazione al percorso teoretico sull’identità.
Tale tema, infatti, dalle filosofie presocratiche fino ad Hegel, è stato sempre predominante; pur tuttavia, nell’ambito della speculazione hegeliana, l’identità sembra assumere una diversa connotazione, in virtù della funzione della dialettica che, nel richiamarne la sua natura relazionale, la pone inevitabilmente in rapporto con l’alterità. Come vedremo meglio in seguito, per Hegel una cosa si definisce non tanto per ciò che è quanto piuttosto per ciò che non è, quindi identità e alterità costituiscono nel pensiero hegeliano i momenti di un divenire dinamico entro il quale entrambe si affermano, seguendo un ordine in cui ogni cosa pone la relazione con l’altro da sé. Secondo il filosofo tedesco, l’identità non può, quindi, essere solo individuale, ma necessariamente intersoggettiva, perché ha al proprio interno la relazione che l’ha costituita.
Ora, nella cornice greca della filosofia, appare problematica la comprensione stessa del concetto di “alterità”. Solo a partire dall’Identico essa è stata definita come “assenza” di identità e, quindi, come non-identità, secondo un percorso teoretico in virtù del quale pensare l’alterità ha significato pensare il non-essere, una sorta di paradosso per la logica classica che penserebbe l’essere come esistente e il non-essere come il non esistente, quindi, come il nulla. Come si potrebbe, infatti, pensare il nulla se esso coincide con il non-essere e quindi non esiste?
Il pensiero filosofico greco si è scontrato, dunque, con la difficoltà di dovere rendere conto dell’alterità in quanto tale e di conseguenza con il problema che ha posto la questione se sia possibile che esista qualcosa la cui identità consiste nell’essere originariamente differente. In questo senso e in via preliminare, è apparso ragionevole riproporre la questione, tenendo in considerazione quanto la formulazione parmenidea delle aporie sull’essere ha consentito di rilevare.
L’aporia strutturale della filosofia parmenidea è, infatti, pensare contestualmente l’essere e il non essere cioè ammettere come principio che l’essere si può differenziare e, perciò, può dar luogo alla molteplicità. Il non-essere è definibile, per il filosofo di Elea, pura negatività, infatti Parmenide intende il vero come principio di determinazione dell’essere, cogliendo, nell’esercizio del theorein, ciò che aristolelicamente è l’essere in quanto essere.
In altri termini, ciò che “non è”, in quanto è nulla, non è pensabile né conoscibile né tanto meno dicibile; tale aspetto è codificato dal principio parmenideo secondo cui identico è il pensare e l’essere o il pensare e il pensare che è. Sul piano logico la formulazione del principio A=A ci dice, pertanto, che l’essere è e il non essere non è 10. Senza l’identità l’ente non sarebbe mai in grado di apparire nel suo essere, per tali ragioni il pensare che dice l’essere, coglie in questo “è” l’indicazione circa il modo in cui l’ente è, cioè coglie la determinazione della sua essenza. Nel frammento 3 di Parmenide questo aspetto è particolarmente indicato nei passi in cui si dice che l’essere dell’ente perviene al pensiero: “τὸ γὰρ αὐτό νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἷναι” (“lo stesso è il pensare e l’essere”). In tal senso, il pensare e l’essere, nonostante siano differenti, sono detti “lo stesso” (das Selbe).
Conseguenza di un pensiero basato sull’identità originaria è che l’Altro, non essendo per sé, ma ottenuto attraverso la diversificazione dell’Uno, è ricondotto alla totalità dell’Uno, all’on sferico di Parmenide, come vedremo in seguito, che è immobile, immutabile, identico in ogni sua parte, a qualcosa cioè la cui unica esistenza nega di per sé che l’essere possa differenziarsi e divenire molteplice. Il pensiero greco, attraverso la teorizzazione parmenidea dell’essere pone l’identità a fondamento del vero e riduce l’alterità a puro non-essere, dunque a non vero, dando così origine al complesso problema che rigu...

Table of contents

  1. RINGRAZIAMENTI
  2. Prefazione
  3. Introduzione
  4. PARTE PRIMA
  5. 1. Per una filosofia del femminile
  6. 2. Figurazioni del femminile nella classicità greca dei miti e delle filosofie
  7. 3. Alterità e Riconoscimento: le categorie della differenza
  8. PARTE SECONDASEZIONE ANTOLOGICA COMMENTATA*
  9. 1. Miti del femminile e rivisitazioni moderne
  10. 2. I filosofi e l’in-differenza: il pensiero dell’identico e la negazione del diverso
  11. 3. Cosa ne pensano le filosofe?
  12. Bibliografia