Lo spettro della fine
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Lo spettro della fine

About this book

Pensare l'apocalisse significa avvicinarsi, inevitabilmente, alla fine. Fine che implica anche etimologicamente il termine ultimo, il traguardo in cui l'individuo come il mondo (la collettività) trova non sempre il suo compimento, ma la possibilità di riscatto e di ricominciamento. Certamente l'immaginario apocalittico – sia esso mitico che religioso che narrativo che culturale che cinematografico – evoca un momento di crisi e di rottura: insomma una catastrofe che viene rappresentata in varie forme ma che preclude e lascia spazio alla trasformazione. Pensare e ripensare l'Apocalisse attraverso strumenti ermeneutici diversi da quelli canonici è il fil rouge che lega l'analisi del libro: una chiave di lettura della fine del mondo attraverso il cinema e la filmografia, ovvero attraverso quelle immagini che si trasformano in pensiero, in concetti.

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Information

Claudio Bonvecchio
PREMESSA

I tempi presenti hanno, sicuramente, un carattere apocalittico. Lo hanno nel senso più comune (e erroneo) di rovina e distruzione. D’altronde, basta guardarsi intorno per rendersene conto. Ovunque, guerre, distruzioni, calamità, violenze, povertà, migrazioni di massa, genocidi, intolleranza, fanatismi dilaniano il mondo. E la pace che – dopo la rovinosa Seconda Guerra Mondiale e la fine della Guerra fredda – sembrava una realtà praticabile e “alla portata di mano”, oggi, è un lontano miraggio. Ma hanno un carattere apocalittico, anche, nel significato più etimologicamente corretto di “rivelazione” come bene sottolinea Teresa Tonchia nel suo Saggio. Apocalisse, infatti – come evidenziano gli interessanti interventi che si susseguono nel testo – è, veramente, una “rivelazione”: rivelazione di una drammatica condizione esistente e rivelazione di come, in qualche modo, si possa uscire da questo status. Questa drammatica condizione esistente e esistenziale – a cui tutti i Saggi fanno riferimento – è quella che, oramai da svariati decenni, si presenta nell’immaginario collettivo in forma di racconti, di romanzi, di drammi teatrali. E, ancora di più, emerge dai fatti di cronaca, dai reportages giornalistici e, soprattutto, dai film: Blade Runner, il Dottor Stranamore, Matrix, le opere di Kubrick o di Resnais ne sono uno straordinario e ineguagliabile, drammatico, esempio. Da essi prende corpo una umanità dilaniata e sfiduciata, alla deriva sul mare del destino. È una umanità che sembra, insieme, temere e anelare alla propria autodistruzione e che, in nome del dio denaro non esita a sacrificare la sua stessa vita: essendone, irresponsabilmente, conscia. Ma altrettanto grave – e forse ancora più inquietante – è il vero e proprio “svuotamento spirituale” dell’uomo, la sua “alienazione”: quella che caratterizza la nostra epoca post-moderna e che tutti gli autori di questo importante lavoro sottolineano con incisività. Si tratta di “uno svuotamento” che, cancellando ogni identità, “getta” (il termine è heideggeriano) l’umanità nell’abisso del nulla e del caos. Un abisso e un caos in cui persone, valori, cose, istituzioni perdono qualsiasi connotazione e assumano il volto di un anonimo “si dice”. Assumono un volto incolore e inespressivo, come quello, terribile, della morte nel celebre film di Bergman Il settimo sigillo o quello, disperato, dei replicanti uccisi in Blade Runner o quello, sanguinario, dei protagonisti del film Apocalypse Now di Coppola. Ma questi altro non sono che i volti delle persone che, nella post-modernità, possono trovarsi, improvvisamente, catapultati negli abissi dell’inconscio dove – come nelle foreste di Apocalypse Now – tutto è possibile: anche le più incredibili, banali e quotidiane, crudeltà.
Naturalmente, questa tensione apocalittica si concretizza in immagini e simboli ed è, ancora una volta, l’immaginario filmico ad esserne un importante e fondamentale veicolo: come il saggio della già citata Teresa Tonchia mette in rilievo, con originalità e profondità. Grazie a numerosi e pertinenti esempi viene, così, sottolineato come la apocalisse/rivelazione diventi, sempre più, la manifestazione di una catastrofe incombente: una catastrofe ecosistemica, ambientale, politica, morale ma anche individuale.
In questo contesto, l’uomo perde sempre di più le sue caratteristiche più proprie e precipita in un universo drammatico, dove la distruzione esteriore coincide con quella interiore. È una distruzione a cui non sembra esserci scampo e dove solo la tecnologia sembra offrire effimere soluzioni. Resta comunque, sempre, la domanda sulla possibilità dell’uomo di emanciparsi da questo che sembra un inevitabile destino. Ma la risposta – comune a tutti gli autori di questa rilevante testimonianza – è che l’uomo e solo l’uomo a dover farsi carico di scelte di cui non può fare a meno ma di fronte a cui è esitante e timoroso. Ma anche questa, oggi più che mai, è una rivelazione: è una “apocalisse”.

Gianluca Gabrieli
Apocalypse, mon amour

Ma l’imperatore esisteva sempre, la continuità della vita dipendeva da quella di lui: anche durante la catastrofe che colpì la città, il suo ritratto venne salvato […]. In mezzo alla folla degli agonizzanti e dei feriti gravi della città, poche ore dopo l’esplosione della bomba atomica, il ritratto dell’imperatore viene portato al fiume. I moribondi fanno posto: (il ritratto dell’imperatore! Il ritratto dell’imperatore!). Bruciano ancora a migliaia dopo che il ritratto è stato tratto in salvo e portato via da un battello.
Michihiko Hachiya
Queste parole sono tratte dal Diario di Hiroshima del Dottor Michihiko Hachiya1, un medico sopravvissuto allo scoppio della prima bomba atomica della storia, la mattina del 6 agosto del ’45, il quale annotò gli eventi e le sue esperienze durante i due mesi successivi alla catastrofe nucleare.
Ore 8.15, quella mattina. Il dottore sta prendendo il sole sulla veranda della sua casa nella semiperiferia della città. All’improvviso, è un attimo, il sole non c’è più. Non lo è quello che, in un secondo, cancella ogni riferimento dello spazio e del tempo, ogni vivente, ogni oggetto, ogni ombra, nel raggio di due chilometri. O meglio, è un altro sole sceso sulla terra, per opera dell’uomo. La più spaventosa luce che si sia mai vista.
Hiroshima, o della Luce. È la prima Apocalisse che avviene nel nostro mondo, oggi. Nel racconto biblico, Luce è all’inizio del Genesi, e Luce è alla fine delle Rivelazioni che si manifestano nell’ultimo giorno, in cui la Gerusalemme Celeste dominerà su tutto. Il testo dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos, come è stato tramandato attraverso i secoli è, quasi tautologicamente, quello che ha maggiormente influenzato la cultura e l’arte occidentali (nonostante molti aspetti, simboli e immagini arcaiche siano stati mutuati dal mondo mitologico medio-orientale) e moltissimi aspetti della vita dell’uomo, ed è stato declinato, studiato e citato in varie forme di espressione.
Etimologicamente la parola “Apocalisse” significa appunto “rivelazione”, in particolare una rivelazione mediata profeticamente, in cui presente, passato e futuro sono fusi assieme al di fuori dei processi temporali ordinari. Vi si disvelano i segreti divini, all’incrocio di due poli ideali, uno verticale e trascendente che unisce Cielo e Terra, e uno orizzontale e immanente che percorre la Storia sino alla fine del tempo attuale, che coincide con una liberazione e un messaggio di speranza e di fine delle tribolazioni umane. Le immagini mitologiche e i simboli pr...

Table of contents

  1. MIMESIS / Filosofie
  2. Teresa Tonchia INTRODUZIONE
  3. Claudio Bonvecchio PREMESSA
  4. Filosofie