Ripartenza verde
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Industria e globalizzazione ai tempi del covid

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Ripartenza verde

Industria e globalizzazione ai tempi del covid

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Ripartenza verde è l'immagine della ricostruzione post covid e della politica di rilancio della produzione sempre più proiettata verso l'intelligenza artificiale e la transizione ecologica ed energetica. Verde è anche il motore digitale che rende l'industria più produttiva e sostenibile. E più giovane.Ancora una volta il driver del cambiamento non è l'ideologia ma l'imprevedibile evoluzione di scienza e tecnica: l'ambientalismo ha infatti spesso prestato il fianco a derive antindustriali e della decrescita. E, contrariamente alla narrazione dominante, sostenibilità e velocità della trasformazione ci inducono a pensare che – superata la turbolenza planetaria – l'era digitale sarà migliore dell'era industriale.L'industria è il principale responsabile della crisi ambientale ma è, allo stesso tempo, il principale attore che può ripristinare un equilibrio nel pianeta. Ed è oggi del tutto evidente che ciò che ha reso la Cina il più importante baricentro, e non soltanto la fabbrica del mondo, ha avuto inizio con la delocalizzazione di attività manifatturiere. Anche per questo le produzioni stanno rientrando e la pandemia sta accelerando la riorganizzazione delle catene del valore. L'industria è il soggetto della globalizzazione e all'inizio di questo nuovo corso – più orientato alla regionalizzazione dell'economia – si è finalmente compreso, anche in Europa, che non c'è futuro senza innovazione e senza una nuova centralità della produzione. È la sfida del Green New Deal, occasione decisiva per l'Italia.

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1. Globalizzazione ai tempi del covid-19

I giorni della globalizzazione sono finiti.
Donald Trump, 2020
Più che la fine del capitalismo – così dice il filosofo sloveno Slavoj Žižek – pare la fine della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta: i rapporti tra le grandi potenze stanno cambiando. Difficilmente lo scenario globale resterà lo stesso: lo scontro USA-Cina si accentuerà, anche se negli USA come in Europa non vi è consenso di fondo sul rapporto da instaurare con Pechino. L’interesse cinese continua a essere molto forte.
Nel frattempo, prestiamo però attenzione a cosa avviene sul palcoscenico mondiale: il primo di aprile, all’aeroporto JFK di New York, arrivano gli aiuti umanitari russi. Putin ha inviato un aereo cargo che trasporta medici (non militari), mascherine e altre forniture per l’emergenza sanitaria: gli Stati Uniti stanno affrontando il maggior numero di casi di coronavirus in tutto il mondo. I Russi in aiuto agli Americani, soltanto cinque anni fa non ci avrebbe creduto nessuno.
Secondo alcuni esperti di relazioni internazionali, USA e Russia starebbero stringendo i loro rapporti per contenere la Cina. Le cose stanno davvero così? La Russia sta nel mezzo, oggi non è più una superpotenza come un tempo, quando contendeva il potere agli Stati Uniti. E, per questa sua debolezza, è corteggiata a turno da Pechino e Washington. I cinesi vorrebbero integrarla in un sistema euroasiatico che va da Pechino a Mosca e poi a Berlino, Parigi, Roma… Trump ha provato in ogni modo ad avvicinare la Russia all’Occidente ma ha trovato resistenze fortissime in casa sua. Anche perché i cinesi sono infiltrati negli USA ad altissimi livelli. D’altro canto, Trump è a oggi interprete di una visione non condivisa dalla business community americana, soprattutto dalle due coste che sono più integrate col resto del mondo (la California e il New England) dove il Presidente americano non ha il suo principale consenso, che in realtà è nella grande pianura, dal Texas fino ai grandi laghi1.
Tuttavia, tra Mosca e Pechino vi sono forti relazioni. La Cina ha bisogno della Russia per raggiungere l’Europa con la sua Via della Seta. Al tempo stesso, la Russia ha bisogno della Cina per avere al suo fianco la più grande potenza emergente. L’obiettivo della Russia resta soprattutto quello di indebolire il suo vicino di casa, proprio l’Europa. I Russi sono ancora scossi dalla crisi ucraina, Kiev e Mosca del resto sono vicinissime. E chi ha alimentato la crisi dell’Ucraina è stata l’Europa, in particolare i Paesi balcanici, la Polonia e la Svezia. Normale quindi che tra Russia ed Europa ci siano ancora tensioni.
Tra Russia e Cina invece non vi è un’alleanza formale, ma è come se ci fosse. Non è un caso che siano d’accordo su tutti i dossier: Libia, Medio Oriente, Iran, Via della Seta, Corea del Nord, Hong Kong, sfruttamento dell’Artico, sfruttamento delle terre rare, Africa, diritti umani in genere. L’idea che Cina e Russia possano dividersi è al momento solo un ricordo della Guerra Fredda, quando erano nettamente divise in ragione, tra l’altro, di uno scontro ideologico, quello fra Mao e Brežnev, per il controllo del comunismo mondiale, cosa non replicabile ai giorni nostri. Dentro questa grande crisi mondiale da pandemia, Russia e Cina si muovono all’unisono: prestano soccorso, sono certamente dei benefattori, ma in questo modo ottengono gratitudine dall’opinione pubblica e una maggior influenza politica per il post-covid. Lo scoppio della pandemia in Cina, con conseguente chiusura della frontiera orientale russa, è stato un banco di prova molto duro. Ma l’asse Mosca-Pechino ha retto anche questo: evidentemente la relazione tra le due potenze è alquanto solida.
Per quanto riguarda l’ipotesi di un nuovo ordine mondiale, alcuni noti studiosi si sono espressi in maniera convergente circa una riorganizzazione della globalizzazione, al di là di idee e sensibilità diverse: Joseph Stiglitz, Jeremy Rifkin, Thomas Piketty, Romano Prodi, Giulio Tremonti, Slavoj Žižek… Quest’ultimo, attraverso la TV satellitare Russia Today, finanziata direttamente dal Cremlino, ha detto «il covid-19 è la morte del capitalismo». Sempre secondo Žižek, l’umanità non può continuare a vivere come fatto fino a ora, «è necessario un cambiamento radicale verso una società alternativa». È qui evidente che dalla Russia, sempre con amore2, Vladimir Putin sta lanciando qualche messaggio al mondo occidentale. E non è detto che sia un messaggio intimidatorio.
La pandemia da covid-19 è un avvenimento che lascerà un segno importante nella nostra storia: è, anche, la paralisi dell’economia mondiale. Il coronavirus ha un impatto sul processo di globalizzazione e sulla vita di ognuno di noi che è paragonabile a quello prodotto dall’attacco dell’11 settembre al World Trade Center (2001) e dal crollo di Lehman Brothers (2008). È, nei fatti, il terzo momento di frizione del «meccano della globalizzazione»3 che, avviatasi dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), ha cambiato in modo rapidissimo lo schema del mondo: è del 1994 l’accordo per il commercio mondiale (WTO), nel 2001 la Cina entra a farne parte, nel 2008 vi è la prima crisi economica, che poi diventa anche sociale e politica. Ma, sostanzialmente, all’epoca non si volle dare risposta ai problemi della grande crisi che erano stati ben individuati. Nel 2009, infatti, prima nel G20 e poi all’OCSE si era raggiunto un accordo – su proposta del governo italiano – in cui si distingueva tra free trade e fair trade: non è sufficiente che a valle il prezzo di un prodotto sia giusto in virtù dell’incrocio tra domanda e offerta (free trade) ma è necessario che a monte sia giusto anche il suo processo di produzione. Quell’accordo, che ambiva a diventare un trattato multilaterale (il Global Legal Standard), finì poi in un cassetto. All’articolo 4 si parlava di «regole per evitare rischi sociali, ambientali e anche igienici». Si ritenne in quel momento che non vi fosse bisogno di limitare l’economia e la finanza; il punto è che ci si preoccupò soltanto di salvarle – con una potente politica monetaria espansiva, sia negli USA sia in Europa – non considerando che si trattava invece di riaffermare una più ampia costellazione di diritti sociali che mettesse al centro il lavoro e la salute delle persone4.
Quella odierna è la seconda e decisiva crisi, ed è un colpo enormemente più forte del primo. La diffusione di covid-19 è uno squilibrio tra Cina e Occidente ed è lo stop, forse definitivo, del palinsesto multilaterale. Non è, naturalmente, la fine del mercato globale. Ma è il principio di un mondo nuovo.

A chi appartiene il futuro?

La pandemia da covid-19 ha fatto esplodere tensioni e contraddizioni della globalizzazione. Era chiaro che, prima o poi, questo sviluppo accelerato della Cina – in cui è fortissima la distanza tra la civiltà millenaria dell’interno e quella ipermoderna della costa – dovesse manifestare qualche problema di tenuta strutturale.
La portata della crisi che segue alla pandemia è pesante: gli USA sono duramente colpiti dal virus, la Cina dice di averlo vinto e si propone al mondo in suo soccorso. Ma il futuro della Cina è un enigma: l’economia cinese è fortemente votata all’export e, più degli USA, la Cina ha bisogno della globalizzazione. Come uscirà da questa vicenda?
Consideriamo i dati economici relativi ai mesi di gennaio-febbraio, quelli più duri per la Cina: la produzione industriale è scesa del 13,5 per cento per effetto della chiusura delle attività economiche, la vendita al dettaglio è diminuita del 20,5 per cento, gli investimenti fissi sono affondati (-24,5 per cento). Ma il dato più pesante per l’economia cinese è quello relativo al commercio. Le esportazioni hanno visto un tonfo del 15,9 per cento (marzo -6,6 per cento, aprile c’è ripresa +3,5 per cento); le importazioni hanno registrato un -2,4 per cento. La propagazione del Covid-19 nel resto del mondo ha ridotto in modo drastico la domanda per i prodotti cinesi. Secondo Sea-Intelligence, la domanda mondiale per il trasporto marittimo di container ha visto un crollo tra il 20 e il 30 per cento nei primi tre mesi del 2020. L’export si è tuttavia ripreso nel mese di aprile (+14 per cento).
Dall’incognita cinese dipende molto per l’economia mondiale. La Cina potrebbe reggere all’urto di questa vicenda, ma nulla sarà mai più come prima considerato che sul piano internazionale qualche problema lo avrà, vedi le recenti reazioni di USA, Francia e UK circa le responsabilità di Pechino in questa pandemia. E non è da escludere nemmeno che emergano similmente le fragilità di quel sistema che potrebbe portare la Cina finanche a una crisi interna: qualche problema per Pechino arriverà anche dalla crisi del debito, da noti aspetti demografici oggi sempre più seri – ricambio generazionale debole, città che si spopolano, carenza di forza-lavoro ad es. – e dalla crescente siccità nella Cina settentrionale. Le stesse proiezioni della Via della seta non sono più così ispirate. Vedremo anche che atteggiamento avrà l’Europa – la Germania in particolare che ne è il partner commerciale principale – con Pechino. In un modo o nell’altro, il rapporto tra la Cina e il resto del mondo cambierà.
Negli ultimi dieci anni, Cina e USA hanno dominato l’economia mondiale: dal 2013 la Cina è infatti la seconda economia più grande dopo quella americana. Ma, si chiedono negli USA, il futuro appartiene ancora a Stati Uniti e Cina5?
Per decenni, studiosi e opinionisti tra i due blocchi hanno immaginato due futuri. Nel primo, il futuro apparteneva a entrambi i Paesi. Questo scenario vedeva un mondo in cui Pechino e Washington gestivano insieme il cambiamento climatico, le questioni economiche, la proliferazione nucleare, il terrorismo e persino le pandemie. La seconda ipotesi evocava un futuro in cui un potere superava l’altro ed esercitava un ruolo di maggior egemonia a livello mondiale. Non mancava naturalmente chi metteva in dubbio questo schema binario ma era una minoranza.
La lenta risposta della Cina al coronavirus ha chiaramente creato le condizioni per la pandemia globale. La mancata condivisione delle informazioni da parte della Cina con l’Organizzazione mondiale della sanità e l’evidente indulgenza dell’OMS per gli interessi della Cina hanno peggiorato la crisi. La mancanza di trasparenza su contagi e decessi ha reso ancora più difficile per il resto del mondo prepararsi al contenimento e alla cura: in Italia con due mesi di ritardo ci siamo accorti che il problema principale non era respiratorio ma vascolare. Si tratta di informazioni elementari che, in un momento di emergenza come questo, vanno condivise senza esitazione, per il bene dell’umanità. Invece, il governo cinese, guidato dal capo del Partito comunista Xi Jinping, ha punito e arrestato informatori, medici, giornalisti e cittadini dissidenti; ha dato la colpa agli Stati Uniti cercando di approfittare degli aiuti che sta dando ad altri Paesi sfruttando ogni passo falso degli USA. Tutto per alimentare la propria propaganda, interna ed esterna alla nazione. Come può oggi il mondo intero restare indifferente a tutto questo?
Da parte loro, anche gli Stati Uniti non se la passano benissimo. Nonostante i provvedimenti di Trump che ha esteso l’assicurazione anche a chi non l’aveva, il sistema sanitario degli USA è debole. Altri Paesi hanno fatto un buon lavoro, in particolare Corea del Sud e Taiwan si sono distinti come modelli. L’Europa, dopo la ...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Colophon
  6. Introduzione
  7. Prologo
  8. 1. Globalizzazione ai tempi del covid-19
  9. 2. Back reshoring
  10. 3. Regionalismo e neoprotezionismo economico1
  11. 4. Green New Deal
  12. 5. Combustibile verde e dematerializzazione
  13. 6. Transizione energetica e PMI
  14. 7. Tempo del covid e lavoro digitale
  15. ConclusioniL’era digitale sarà migliore dell’era industriale
  16. Note
  17. Ringraziamenti
  18. Bibliografia
  19. Dello stesso autore