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Manuale per diplomati, diplomandi e qualche genitore

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Manuale per diplomati, diplomandi e qualche genitore

About this book

Questo libro vuole fornire un piccolo aiuto ai giovani, diplomandi e neodiplomati, per orientare l'inizio del loro percorso nel mondo degli adulti alla ricerca della propria collocazione professionale. Le situazioni nelle quali veniamo a trovarci sono generate dalle nostre risposte alle circostanze predisposte dal nostro destino. Con esse deviamo il corso della nostra vita rispetto a quello che avrebbe se non reagissimo, così come fanno gli imprenditori. Le risposte che diamo con le nostre forze e le nostre preferenze sono le nostre imprese. Il libro ha due contenuti: uno formativo e uno informativo. Il primo riguarda le decisioni da prendere per scegliere la propria strada fra le diverse possibilità (dipendente, professionista, imprenditore) e quelle per percorrerla con professionalità, responsabilità ed efficacia. Nella parte informativa si propone una visione del mondo del lavoro e della società che attende i nostri giovani. Una visione in cui l'impresa è protagonista.

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Information

1.
Il significato di intraprendere

Questo libro vorrebbe accompagnarti nel viaggio che ti porterà in quello che sarà il tuo mondo professionale, con l’intento di farti affrontare questo viaggio con spirito imprenditoriale. Bisogna quindi che io chiarisca sin dall’inizio in che cosa consiste lo spirito imprenditoriale, inteso come atteggiamento mentale di chi affronta la vita e il lavoro non con spirito fatalistico, bensì come una impresa da realizzare.
È noto che il nostro lavoro tende anche a determinare la nostra posizione nella società. Allorché ti capita di presentarti a un cittadino germanico, non stupirti se ti rivolge la domanda Was sind Sie von Beruf? Una frase che possiamo tradurre in “che cosa sei di occupazione?”. La frase dà il senso che noi saremmo la stessa cosa della nostra occupazione. Quasi che fosse la nostra stessa professione a giustificare la nostra presenza nella società e che non ci fosse posto in essa per chi non avesse una professione o un mestiere. A partire almeno dai moti del ’68 una simile concezione trova sempre meno consensi, in particolare dopo l’uscita nel 1995 del libro La fine del Lavoro di Jeremy Rifkin, profezia che in effetti non si è poi molto avverata.
Anche se intraprendere ha la stessa radice di imprenditore, in questo libro ci occupiamo dell’intraprendere come di una componente della vita di tutte le persone, quale che sia il loro mestiere. Cominceremo a esaminare quel che ci succede a partire dalla nostra infanzia e dall’adolescenza.
Figura 1. Imbuto delle potenzialità
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La collocazione delle persone nei diversi campi della società procede come in un imbuto al crescere dell’età, come illustrato dalla figura 1. Partiamo dalla media superiore, dalla cui scelta discende il primo grande condizionamento per le fasi successive. Il secondo grande condizionamento è dato dalla scelta che viene fatta al conseguimento della maturità: continuare gli studi all’università o iniziare a lavorare o cercare di portare avanti ambedue le cose assieme? Quando poi si comincia a lavorare, si inizia anche ad accumulare le esperienze e le competenze che diventano il nostro bagaglio professionale, che condizionerà a sua volta le scelte successive.
Quando un bambino finisce le elementari e poi la media inferiore gli viene presentato il primo restringimento dell’imbuto, dovuto alla scelta circa il tipo di media superiore nella quale iscriversi. Il bambino ha solitamente poca voce in capitolo nel decidere questa scelta. Chi decide sono generalmente i genitori, perché conoscono le differenze fra i diversi indirizzi scolastici e, talvolta, perché ritengono di averne diritto. Nelle famiglie borghesi di solito non viene presa in considerazione la scuola di tipo professionale, perché ritenuta degradante sul piano sociale, anche se il bambino mostra spiccate abilità manuali. Gli sarà al massimo consentito, alla fine del liceo, di iscriversi a medicina, così potrà applicarle al lavoro di chirurgo, ma non negli anni dell’adolescenza. L’interessato deve possedere un gran coraggio, e una determinazione che è difficile avere a quell’età, per imporre la propria preferenza. Dobbiamo forse anche all’imposizione di alcuni genitori poco attenti e poco disponibili il fatto che un quinto degli allievi delle medie superiori abbandoni lo studio prima di diplomarsi e il gran numero di universitari che diventano fuori corso di lunga durata.
Dal momento in cui cominciamo a lavorare iniziamo a conoscere persone e ad apprendere un lavoro; cominciamo a fare esperienze. Cominciamo ad avere successi e insuccessi. Cominciamo a capire che cosa ci viene bene e che cosa non ci va. A me, da ingegnere ventiseienne, è capitato di fare il progettista di impianti petroliferi, mestiere per il quale avevo studiato e che pensavo mi avrebbe appassionato. Dopo un paio di anni sono stato trasferito in una unità di project management. Nel nuovo lavoro ho imparato a programmare, a fare acquisti, a controllare l’operato dei fornitori, a interloquire con i funzionari delle autorità esterne. I miei colleghi che erano rimasti nella progettazione acquisivano sempre più esperienza e conoscenze tecniche che invidiavo. Mentre loro diventavano sempre più competenti nel loro lavoro, cioè specialisti, io diventavo un generalista. Le mie conoscenze tecniche mi servivano non per produrre progetti, ma per utilizzare progetti fatti da altri per commissionare lavori, per controllare la qualità delle esecuzioni, insomma per avere un ruolo all’interno di un sistema che li realizzava.
Ecco che con l’inizio dell’attività lavorativa entriamo in un altro imbuto: quello professionale.
Arrivati a questo punto ci conviene abbandonare l’analogia dell’imbuto e usare quella classica (perché usata da scrittori famosi) del bivio nel labirinto della vita. Le due strade del bivio sono l’una quella di approfondire sempre di più la conoscenza e la pratica del nostro campo, l’altra quella di aggiungere competenze in altri campi. Nel mio caso, come membro di un gruppo di project management, dovetti imparare a pianificare, a controllare, ad assumere impegni, a rispettare scadenze, a controllare costi. Tutte cose che non facevano parte del mio corso di laurea.
Oggi invidio, a quelli che furono i miei primi colleghi, l’autorevolezza che hanno acquisito nel loro campo, che è anche una fonte di sicurezza perché se c’è un progetto impegnativo da fare loro sono indispensabili e anche pagati molto bene. Loro però, anno dopo anno, hanno invidiato la mia carriera di manager.
Con la figura che segue cerco di spiegare cosa succede a seconda che, al bivio, si prenda la strada dello specializzato o quella del generalista. Nell’asse delle ascisse poniamo un parametro indicativo del numero di campi con i quali si ha familiarità. Personalmente ho avuto la fortuna di familiarizzarmi con molti più settori dei miei colleghi progettisti. Nell’asse delle ordinate poniamo il grado di competenza nel campo nel quale le persone sono specializzate: la posizione sul diagramma di ciascuno è tanto più alta quanto più grande è la sua competenza specialistica. I miei colleghi hanno proceduto in verticale diventando specialisti sempre più qualificati, mentre a me, nel campo della progettazione, è rimasto solo quel poco di competenza tecnica che avevo acquisito nel mio periodo iniziale. Dunque la mia posizione nel diagramma è più in basso e più a destra della loro.
Parallelamente al crescere del numero di campi di cui veniamo a occuparci, cresce la quantità di opportunità che ci si presentano. Diventare generalista permise a me, negli anni, di scegliere nuovi posti di lavoro, mentre molti dei miei colleghi di lavoro diventati specialisti hanno finito con il passare la loro intera vita professionale nella stessa impresa.
Figura 2. Diagramma specialità
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Ai generalisti si presentano opportunità in maggior numero rispetto agli specialisti. Però, allorché se ne presenta una a uno specialista, questi ha maggiori probabilità di coglierla perché, come detto, nel suo campo, grazie all’expertise accumulata, è difficile batterlo. La maggior parte delle persone si trova nell’area centrale, o perché ce lo hanno portato i casi della vita o perché ha trovato un compromesso ottimale per lui. Infatti chi sta nella zona intermedia ha il vantaggio, rispetto agli specialisti, di una maggior varietà di possibili strategie, e quello, rispetto ai generalisti, di un più alto livello di expertise nei campi nei quali si è cimentato.
Non sempre però la collocazione intermedia è frutto di saggezza e di equilibrio. Anzi, il più delle volte è dovuta al non aver saputo scoprire il proprio vero talento.
Molti passano la vita accontentandosi di un lavoro accettabile, senza riuscire a individuare quello che li avrebbe appassionati. Spesso si tratta delle persone che hanno un hobby al quale si dedicano ben più volentieri che non al proprio lavoro. Più fortunati sono, come dice Primo Levi, coloro che hanno trovato il lavoro nel quale possono davvero esprimere il loro talento.
Occorre tenere conto che più ci impegniamo ad approfondire la nostra expertise nel campo in cui stiamo lavorando, meno tempo ci rimarrà per individuare e cogliere nuove opportunità. Il primo passo della strategia individuale è scegliere a quale dei due impegni dare priorità. Così per la maggior parte di noi, che ci troviamo nella fascia intermedia di fig. 2, il successo nella vita lavorativa dipende, a parità delle qualità individuali, dalla qualità della strategia intrapresa. Qualche giovane lettore potrà storcere il naso di fronte alla parola successo, in questi tempi di impopolarità del neoliberismo e del concetto di competitività. Ma è bene ricordare che l’alternativa al successo può avvicinarci allo stato di indigenza, e che molti fra coloro che si trovano nelle condizioni economiche più disagiate sono persone che hanno scelto di non perseguire il successo. Vale anche ai giorni nostri il detto latino faber fortune suae quisque est.
Intraprendere ha la stessa etimologia di apprendere e di prendere: possiamo dire che significa apprendere la strategia giusta per noi, prenderla, implementarla.
Ci serve una strategia che tenga conto della nostra condizione attuale e ci faccia crescere liberi, maturare e invecchiare provando piacere nello svolgere il nostro lavoro, riscuotendo il riconoscimento del nostro operato, godendo della progressione della nostra carriera e della possibilità di influenzare le decisioni che vengono prese nell’ambito nel quale esercitiamo la nostra opera, in particolare nella organizzazione di cui facciamo parte.
La nostra strategia è il progetto con il quale vogliamo adattare alle nostre esigenze, giorno dopo giorno, anno dopo anno, il rapporto con il nostro contesto sociale. Se ci capita di lamentarci del contesto, se troviamo in esso delle ingiustizie, i nostri genitori, e più tardi i nostri superiori, o nostra moglie, cercano di convincerci che siamo noi che dobbiamo adattarci. Magari ci sembra che sbaglino, che tendano a non riconoscerci il diritto di rifiutare imposizioni di adattamento eccessive. Ma dobbiamo pensare che noi siamo una parte così minuscola dell’ambiente nel quale ci muoviamo che volerlo cambiare sarebbe pura velleità. Questo però non deve indurci alla rassegnazione e a rinunciare a perseguire i nostri obiettivi.
Le strategie efficaci sono quelle che, preso atto sia della nostra identità che della nostra scarsa influenza sull’ambiente, si concentrano sul cambiamento del rapporto fra noi e l’ambiente. Ad esempio, se vivo in un paese o una piccola città di provincia e sogno la grande città, devo intraprendere un trasferimento di residenza. Se vivo da single e non sopporto più la solitudine, devo intraprendere la ricerca di un/una compagno/a. Per quanto attiene all’attività con la quale ci si guadagna da vivere, c’è chi intraprende una carriera nelle istituzioni, pubbliche o private; c’è chi preferisce operare come lavoratore autonomo, o come libero professionista, o negli affari, o in politica.
Fra tutte le possibili scelte c’è quella imprenditoriale nel senso stretto del termine: fondare una impresa. L’evoluzione del mondo del lavoro, a partire dalla fine del secolo scorso, prevalentemente per effetto della tecnologia Ict (Information communication technology), ha generato un forte aumento, di carattere storico rispetto ai periodi precedenti, del ...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Colophon
  5. Introduzione
  6. Prefazione
  7. Prima parte - Intraprendere e impresa
  8. 1. Il significato di intraprendere
  9. 2. Perché intraprendere
  10. 3. Potere soldi e libertà
  11. 4. Niente è per sempre
  12. 5. Imprese e istituzioni globali
  13. 6. Vademecum
  14. Seconda parte - Crescita, sviluppo e sostenibilità
  15. 7. Il mito della crescita
  16. 8. Finanza e povertà
  17. 9. Lo sviluppo e noi
  18. 10. L’inizio
  19. Conclusione
  20. 11. Eravamo quattro amici al bar
  21. Appendici statistiche
  22. Bibliografia
  23. Nella stessa collana