La bellezza non salverà il mondo
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La bellezza non salverà il mondo

About this book

L'esperienza della pandemia ci ha portati a riflettere sul senso dello spazio, del tempo, del male e anche del bello. Il libro si interroga sull'essenza della bellezza e sul suo potere salvifico delineando una pluralità di significati: la "bellezza" non ha solo a che fare con il "bello estetico" ma con la trascendenza, non solo con il bene ma anche con il male, non con un ordine necessario ma con la contingenza, con l'esperienza e la libertà, con la caducità e la responsabilità. Una prospettiva, tutt'altro che appagata, nella quale se si può parlare di salvezza essa non è una destinazione chiara davanti a noi, ma un'esperienza estetica che può manifestarsi fin dentro le macerie, come luce nell'ombra.

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Information

1. Bellezza o salvezza?

«Ah, sì? – disse con un nuovo brusco sussulto – dov’è l’oratore, dunque, dov’è Lèbedev? Dunque Lébedev ha finito? Di che cosa ha parlato? È vero, principe, che una volta diceste che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Signori – si mise a gridare a tutti – il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza! E io affermo che ha idee giocose perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato; me ne sono convinto poco fa, appena è entrato. Non arrossite, principe, mi fareste pena. Quale bellezza salverà il mondo? È Kolja che me l’ha riferito… Siete un fervente cristiano? Kolja dice che voi stesso vi dite cristiano. Il principe l’osservò con attenzione, ma non rispose».
In questo celebre passo de L’Idiota di Dostoevskij (tr. it. F. Faccioli, Rizzoli, Milano 2004, p. 458) a parlare è Ippolìt Terènt’ev, malato di tisi, «un giovane di diciassette, forse diciotto anni, dal viso intelligente ma dall’espressione perennemente corrucciata, sul cui volto la malattia aveva impresso i suoi terribili segni…». La polifonia dostoevskjana prende voce nel suo punto di vista, prossimo alla morte e alla disperazione, un punto di vista lucidissimo: chi può dire che il mondo, la nostra abitazione, la pace della nostra ricerca, il senso per la nostra vita, sarà salvato dalla bellezza, se non folle? Un innamorato, un cristiano, un “idiota”. Qualcuno che sente oltre la sfera della razionalità. Del resto l’innamoramento non è forse prossimo all’esperienza della bellezza, quasi a non potersene distinguere per la profonda parentela che li unisce? Inutilità, eventualità: non possiamo volerci innamorare, così come non possiamo evitare l’incontro con la bellezza, anche nel dolore. Si tratta di eventi che avvengono rompendo lo spazio-tempo dell’abitudine percettiva e gli schemi della vita, che quando si incrociano non sono soltanto inutili ma anche pericolosi, e si avvolgono l’uno nell’altro producendo ambiguamente esperienza di pienezza e desiderio di ulteriorità. Ci innamoriamo di ciò che è bello, è bello ciò di cui ci innamoriamo: in questi casi l’esperienza non è né soggettiva né oggettiva, e insieme è quanto di più profondamente, evidentemente, soggettivo e insieme oggettivo ci sia per noi. Ma perché sia il “mondo” a essere salvato dalla bellezza il principe non soltanto deve essere innamorato, deve anche assumere lo sguardo di Cristo. Solo da quel punto di vista la bellezza è trascendentale dell’essere: per lo sguardo di Dio tutto ciò che esiste è bello, perché tutto è stato creato dal suo amore. Cristo, che è Dio, ama le sue creature, che sono per lui vere, buone e belle. Si pongono a questo punto alcuni semplici problemi, che sono tra i maggiori della filosofia, perché gli esseri umani, nemmeno il principe Myskin tutto sommato, non sono il Cristo: il nostro non è lo sguardo di Dio, per noi non è vero che tutto è bello e buono, che «bellezza è verità, verità è bellezza», come vorrebbe Keats. Alla dimensione di “mondo”, alla dimensione trascendentale, forse si avvicina lo sguardo dei santi, sovente con tremore e circospezione, talvolta con meraviglia festiva. A noi resta il silenzio e la pietà («Il principe l’osservò con attenzione, ma non rispose»).

2. Il volto sfigurato del Cristo

Proseguiamo con L’idiota: è sempre Ippolìt che parla, quasi in punto di morte: «Il quadro rappresentava un Cristo appena deposto dalla croce. Mi sembra che i pittori abbiano preso l’abitudine di raffigurare il Cristo sia sulla croce, sia deposto dalla croce, con una sfumatura di straordinaria bellezza in volto; e cercano di mantenergli questa bellezza anche fra i più atroci tormenti. Nel quadro di Rogožin, invece, di questa bellezza non c’era nemmeno un accenno; era in tutto il cadavere di un uomo che ha sopportato infiniti tormenti ancor prima di venire crocifisso, ferite, torture, percosse delle guardie, percosse del popolaccio, quando portava la croce sulle spalle e vi cadde sotto, e infine il supplizio della croce per lo spazio di sei ore (almeno secondo il mio calcolo). Era, a dire il vero, la faccia d’un uomo appena allora deposto dalla croce, cioè conservava in sé molto di vivo, di caldo; nulla in essa aveva ancora avuto il tempo di irrigidirsi, sicché sul volto del morto traspariva perfino la sofferenza, come se la provasse ancora (questo era stato afferrato assai ben dall’artista); quel volto però non era stato risparmiato per nulla, era perfettamente naturale e, in verità, così dev’essere il cadavere di un uomo, chiunque sia, dopo simili tormenti. So che la Chiesa cristiana stabilì ancora nei primi secoli che le sofferenze di Cristo non furono simboliche, ma reali,...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. 1. Bellezza o salvezza?
  7. 2. Il volto sfigurato del Cristo
  8. 3. Armonia cosmica?
  9. 4. Il sentire estetico e l’esperienza del bello
  10. 5. Bellezza e libertà
  11. 6. Della bellezza e del male
  12. 7. Bellezza e caducità
  13. 8. Luce dell’ombra
  14. Risvolto di copertina
  15. L’autore
  16. Collana “L’arca di Scholé”