Della Grecìa perduta
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Della Grecìa perduta

About this book

In Della Grecìa perduta torna il mondo magico e selvatico di una Calabria che è Sud di tutti i Sud, già scenario di Del sangue e del vino. Nino, pastore greco sedicenne, ucciso da un soldato spagnolo, dopo aver dormito immerso nel vino novantanove anni, due mesi e diciassette giorni, riprende vita in virtù di un qualche sortilegio. E si inoltra per la campagna deserta. A proteggerlo e a infondergli pensieri è il Dragumeno, una sorta di demone centauro che si manifesta talvolta in varie forme, come faceva con Caterina, sua madre. Nel suo errare Nino incontra una terra poverissima, dai paesaggi incantevoli, contesa da Francesi e Inglesi durante il breve dominio di Gioacchino Murat, nel cui esercito, con devozione assoluta, si arruola prima di assistere con grande dolore alla fucilazione del mitico Cavaliere. Con essa, infranti il sogno e la speranza di cambiamento, si rimette in cammino, alla continua ricerca della sua Grecìa perduta. E il Nostòs diventa elegia. L'arcaicità affascinante sgorga come acqua limpida di sorgente, con andamento da favola antica. Sacro e profano, mito, leggenda e storia si intrecciano a una visione panica della natura animata da spiriti dai nomi inconsueti. Il sapore delle fiabe, le gesta epico-cavalleresche degli eroi ai tempi delle crociate, la Bibbia e la vita dei Santi ad uso del popolo minuto confluiscono e interagiscono con modelli di alta letteratura grazie ad un impasto linguistico che ravviva e rende ammaliante il racconto, legandolo, idealmente, all'Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo e all'Oga Magoga di Giuseppe Occhiato.

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Information

Capitolo VIII. Nino se ne va prima verso Ponente e poi gira per sopra, verso Tramontana

Nino se ne andò verso Riggiu spiaggia spiaggia, riva riva. Era tutto bianco, tutto acqua, tutto spuma e salsedine. Manco sentiva fame, ché forse nelle viscere era tutto pieno di vino e quel vino gli faceva sostanza. Il vino è forza, il vino è sangue. Cosa lo vuoi a fare il pane e la carne quando c’è il vino?
E vai allora Nino spiaggia spiaggia. Infilali i piedi scalzi nella rena, sprofonda fino alla caviglia e poi ancora. Piegalo il ginocchio e poi ancora e ancora. Oscilla avanti e indietro e suda e avanza col caldo in testa e con il fresco dell’acqua nei piedi.
Fallo un migghiu che sono quarantacinque corde.
Falla una corda che sono sedici canne.
Falla una canna che sono otto parmi.
Fallo un parmu che sono dodici unze.
Io dico che ti vai fermando.
Falla un’unza che sono dodici linee.
Io dico che ti vai fermando.
Falla una linea che sono dodici punti.
Sei fermo. Forse stai respirando. Questo stai facendo.
Unu puntu è una cosa infima. Unu puntu vuol dire che sei fermo.
Poi riprendi. Riprendi a respirare. Sei stanco Nino, sei stanco. E allora di nuovo un passo, due passi, cento passi.
Nino, tu un passo... per come allunghi la gamba, per come pianti il piede nella sabbia, per come tiri la coscia e l’addome e poi ancora spingi con l’altra gamba… con un passo li fai due parmi, cento passi sono duecento parmi. Una corda a niente la fai, niente ci metti.
A Melìtu, passando dalla spiaggia, qualche pescatore lo trovi. Quelle due parole con piacere le avrebbero pure fatte ma tu niente. Pare che devi volare su quella sabbia.
Quarantacinque corde, novanta corde, centotrentacinque corde. Sembra vedere correre un purosangue, un cavallo che non ha fine nella forza mai.
Una barca di bello colore forte e verde e rosso. Due barche di bello colore giallo e rosso e azzurro. Due barche con nome che non si capisce, scritto a pennello e Nino che gli taglia la strada verso il mare. Sfiora reti e nasse e corde. Tanto, chi sa leggere? Lo leggi tu il nome della barca? O tu?
Non tutto era sabbia e canneto pulito. Ogni poco spuntava un certo acquitrino, una corda di palude da passare lesto. Qui c’è la febbre terzana, quartana.
Non si conosce la febbre terzana alla montagna, Nino, e tu non la conosci. Fanno fatica a risalire le colline le zanzare della malattia. La febbre terzana è cosa di marina, cosa che ti pigli cercando di mettere la barca all’asciutto ché sta quasi scurando, spingendo una coppia di ienchi dopo il canneto, bardando l’asina per ripartire col sole tramontato e le zanzare che se lo fanno il desinare delle tue spalle.
Certi dicono che la febbre ti passa caricando pipe a tabacco ma non è vero. È cosa di ignoranza di questi poveri cristi che non sanno manco il giorno che sono stati figliati dalla madre.
Meglio che non lo sai il tuo nome, meglio che non sei dichiarato. Perché, se non sei dichiarato, ti fai il pecoraro, ti fai il forese, ti fai il servo alla campagna e nessuno ti viene a dire «senti tu... cerasu… parti militare che ti vuole il re… parti militare che ti ha chiamato la riggina».
La febbre terzana ti mangia il fegato, ti fa venire i vermi nelle ossa e ti storta le viscere. Tu cerchi di caricare la pipa col tabacco e manco quello ti riesce, ché ti piegano le dita, ché l’ossa tenere ti fanno male pure a premere tabacco.
È brutto allora il bisogno! Ché, se non riesci a farla quella giornata di zappa, allora devi stare alla carità di quello e di quell’altro per un poco di pane mucato, per un poco di pane di ghianda mezza ammuffata che le viscere te le finisce di abbuffare. Mangi e t’ingomma nella panza, mangi e ci bevi una vozza di acqua ma non scende. Cosa può scendere un pane impastato a miseria? Magari co’ ghiande male sfarinate, con panicula vecchia e dura, molata con fatica pure dal mulino, tant’è dura.
Nino sembrò avere l’assoluta premura di arrivare. Ma dove? Una fretta enorme lo costringeva ma nessuno lo aspettava, niente vi era da raggiungere. Era atteso da nulla, da nessuno ma lui si sentiva atteso. Forzava il passo, si affrettava. Iniziò a dover resistere alla fatica che gli chiedeva di fermarsi.
La marcia senza spiegazioni lo trascinava a cercare di acchiappare la Sigilia che continuava a vedersi chiaramente di là dal mare. Ci deve essere un punto dove le terre si toccano. Questo si diceva Nino e forzava il passo per raggiungere questo punto.
Vedeva il fumo che saliva da Mungibeddu e si diceva certo di trovarvi il diavolo in persona. Voglio entrare là dentro e piegargli le corna con queste mani. Quest’altro si diceva nella testa ma non era vero. Lui non sapeva dove stava andando, solcando spiagge e spiagge bianche prima da sud a ovest. Poi di colpo verso nord.
Da bravo servo pastore, le stelle e il sole li sapeva leggere. Questo è il Ponente, l’umido e il freddo. Questo è il Levante, il destro e l’asciutto. Di là la stella del nord.
La spiaggia finì dopo un paio di giorni, camminando e dormendo a dove capita.
Così passò dentro la città di Riggiu preso dall’ansia.
Passò dentro Riggiu perché se la trovò davanti e non poteva non passarci dentro. Troppa gente e troppa pietra, case, carri, mercati, pitali della bruttura, palazzi, massari di ritorno al paese, un castello immenso, gentili signori con bastone e cappello, puttane sorridenti...
«Dove vai bello giovine? Dove vai occhio di cavalere? Dove vai barone? Un paio di picciuli e ti faccio lasciare qui tutto il latte. Non te l’hanno detto che pure il toro si munge?»
Nino guardava venditori, vetturini, meretrici, cittadini curiosi e a nessuno rispondeva. Li guardava sillabare in bocca come se non capisse. Mentre gli guardava attentamente le labbra aveva già deciso il suo interesse. Non voleva sapere nemmeno come terminava la parola. Qualcosa lo attendeva oltre la città.
«Lo sapete che Giacchinu Napoleone ci ha fatto la pubblica illuminazione, bello giovine? Se aspettate sera, la vedete. È cosa bella. Noi ce l’abbiamo e Missina niente. Missina niente, ché è sotto i ’nglisi e i Borboni. Noi la luce aggasso l’abbiamo, ché siamo sotto della Francia. Evviva la Francia, bello giovine! Gridate pure voi. Qui più cose belle fa Giacchinu e più gridiamo viva il nostro re...»
Nino attraversò tutta Riggiu quasi correndo. Lo spaventavano i rumori delle fruste dei vetturini. Gli parevano colpi di scuppetta, lo facevano ammattire, si premeva le mani sulle orecchie ma sempre dopo. Il rumore del colpo oramai gli aveva segnato l’aria dentro al petto. Come fanno in questa città a vivere con un tale rumore insopportabile? E di carri tanto grandi che non portano né fieno, né fagiola, né furmento ma solo persone che se ne fanno? La persona va comoda a piedi, io questo lusso non lo capisco.
«Va’ va’... tornatene alla campagna, contadino alfabeto, pecoraro con la scorza al cervello. La città ha le cose finissime che tu non ha mai conosciuto. I tuoi materassi sono i scursuni, i tuoi cuscini sono le timpe, le tue lenzuola sono le felci rame. Tu sei roba di sonno con gli animali. Se vedi un letto lo scambi con quattro palate di neve d’ammonte sopra a un carro. La neve che ci scendono in città a primavera per fare la scirubetta. Neve, zucchero e limone. Una delicatezza, no una cosa per tamarri come a te. Tornatene alla campagna, paddeco, hai un cervello bianco come una carta senza scrittura... Ah, sì... la scrittura... proprio quella ti manca a te che non sai manco parlare. ...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Frontespizio
  6. Colophon
  7. Capitolo I. Nel quale non sempre succedono le cose giuste
  8. Capitolo II. Ovvero novantanove anni dopo una cosa che era successa novantanove anni prima
  9. Capitolo III. Quando si capisce che Nino non ha dove arrivare
  10. Capitolo IV. Per la prima volta SpichiTiMmanaTu vicino del figlio Nino
  11. Capitolo V. O jalò jelài olò
  12. Capitolo VI. Ove si ribadisce che è immensa la valle del Leucòpotamo
  13. Capitolo VII. Nino sogna ancora e poi dimentica
  14. Capitolo VIII. Nino se ne va prima verso Ponente e poi gira per sopra, verso Tramontana
  15. Capitolo IX. Nel quale Nino cammina ininterrottamente nel vento
  16. Capitolo X. Ogni cosa avviene davanti la grande fontana di Passu di Sulànu
  17. Capitolo XI. Ove Nino arriva finalmente alla povera casa della ZiMimma
  18. Capitolo XII. Ove lo spirdo racconta che una volta era un grande comandante turchiacano
  19. Capitolo XIII. Nino cerca di capire lo spirdo ma riceve una benedizione
  20. Capitolo XIV. Quando si capisce che Nino cerca un grande generale
  21. Capitolo XV. Ove Nino conosce a Pileggi del Primo Battaglione Zappatori
  22. Capitolo XVI. Nel quale si racconta della nascita della ZiMimma e delle smaraviglianti cose che quasi subito dopo avvennero
  23. Capitolo XVII. Qui si parla dei meriti del sergente maggiore Pileggi e del meraviglioso passaggio a cavallo del cavalere Giacchinu
  24. Capitolo XVIII. Ecco che Nino, umile pecoraro, parla col Grande Re Giacchinu Cavalere
  25. Capitolo XIX. Nel quale succede tanto o poco, dipende dal punto di vista
  26. Capitolo XX. Nino fraternizza col telegrafo ottico napoleonico
  27. Capitolo XXI. Si manifesta chiaramente la rinuncia di Giacchinu Cavalere di portarsi in Sigilia
  28. Capitolo XXII. Quando Nino si accorge del fuoco
  29. Capitolo XXIII. Un incontro coi greci della montagna
  30. Capitolo XXIV. Oppure detto del villaggio di Amudìa
  31. Capitolo XXV. Nel quale Nino è voluto bene ad Amudìa
  32. Capitolo XXVI. Che dice a filo e a segno di come Nino convinse gli amudiati
  33. Capitolo XXVII. Ove si capisce chiaro che i muli sanno morire meglio degli uomini
  34. Capitolo XXVIII. Nel quale gli stivali di Nino diventano importanti
  35. Capitolo XXIX. Ove la febbre terzana tormenta lo sventurato Nino u Selenotu
  36. Capitolo XXX. Il turchiacano ritorna un’altra volta come a un sogno, parlando a Nino, ammalorato dalla febbre
  37. Capitolo XXXI. Ovvero della bellezza quando c’è salute
  38. Capitolo XXXII. Che parla del capro scellerato e della mietitura
  39. Capitolo XXXIII. Che dice della frana davanti ad Amudìa
  40. Capitolo XXXIV. Nino zappa e accudisce le sue indecisioni
  41. Capitolo XXXV. Direttamente parla mastro Rocco Tripodi, il meglio suonatore di Amudìa
  42. Capitolo XXXVI. Nino non dorme
  43. Capitolo XXXVII. Ovvero i proventi del sale
  44. Capitolo XXXVIII. Quando Nino e Calidea si maritano
  45. Capitolo XXXIX. Della scancellazione di Amudìa
  46. Capitolo XL. Nino sente l’odore del sangue
  47. Capitolo XLI. Come fu che Nino mangiò molti funghi trovati fra i boschi del monte
  48. Capitolo XLII. Il giorno dell’abbandono
  49. Capitolo XLIII. Nino sopraggiunge a Pizzo che Giacchinu Cavalere è catturato
  50. Capitolo XLIV. L’ultimo desiderio
  51. Capitolo XLV. Nel quale si narra della degna sepoltura di Giacchinu Cavalere
  52. Capitolo XLVI. Non ho più niente da fare qui
  53. Capitolo XLVII. Nel quale Nino acquista una fiocinara di diciannove parmi e la storia arriva come a una conclusione
  54. A beneficio del lettore
  55. Nella stessa collana