1. TRA IL BENE E IL MALE
L’età elisabettiana, turbolenta, piena di contraddizioni e segnata da rivoluzioni e da guerre di religione, pare si rispecchi nella figura di Christopher Marlowe. Nato nel febbraio del 1564 a Canterbury, città in quel tempo a maggioranza cattolica, Christopher era figlio di Katherine Arthur e di John, un ciabattino agiato e di carattere poco mansueto. Infatti, pare che John, dopo essere stato eletto capo della corporazione dei lavoratori del cuoio di Canterbury, più volte si era fatto notare per la sua irascibilità. Egli, inoltre, si mostrava poco incline a seguire le funzioni religiose. La sorella di Christopher, Anne, ricevette un biasimo ufficiale dalla locale chiesa di St. Mary Breadman in quanto notoria bestemmiatrice.
Compiuti i primi studi presso la ben quotata King’s School della città nativa, usufruendo di una borsa di studio, nel 1581 Christopher entra, ancora una volta come borsista, al Corpus Christi College di Cambridge per studiarvi teologia. Conseguito il titolo di Bachelor of Arts nel 1584, l’anno seguente inizia gli studi per il conseguimento del titolo di Master of Arts.
I regolamenti vigenti all’epoca prevedevano borse di studio destinate a ragazzi poveri che non avevano sostegno di persone amiche. Christopher Marlowe ebbe accesso al Master of Arts nel 1587, solo perché, in questo modo, venne ingiunto alle autorità accademiche del college dal Consiglio della Corona che gli accreditava un commendevole servigio svolto a beneficio di Sua Maestà. L’ateneo, però, aveva lamentato le sue numerose e lunghe assenze, infatti Marlowe verrà classificato, nella graduatoria interna, agli ultimi posti.
In effetti, oggi è certo che tutte queste interruzioni negli studi erano dovute al fatto che da tempo il giovane era impegnato nei servizi segreti inglesi, guidati dal potente Thomas Walsingham, dediti ad una lotta senza quartiere con le loro controparti cattoliche.
Dopo essersi trasferito a Londra, Marlowe si troverà immischiato in scomode situazioni da cui, forse, dipenderà, qualche anno dopo, la sua stessa vita. Nel settembre del 1589 si trova coinvolto in una rissa nel corso della quale un poeta suo amico, Thomas Watson, uccide un certo William Bradley che condivideva la stanza con il drammaturgo Thomas Kyd.
Nel corso delle indagini, una perquisizione porta alla scoperta, nella stanza che Marlowe condivide con Kyd, di scritti improntati ad un ateismo irridente e blasfemo. Sottoposto a tortura, Kyd attribuisce la paternità delle sue opere a Marlowe che viene arrestato il 20 maggio ma rilasciato sulla parola in attesa del processo.
Nel frattempo, insieme a tutte le accuse a suo danno, viene inclusa quella di omosessualità.
Il processo non sarà mai celebrato. Il 30 maggio Marlowe viene ucciso a Deptford, in un quartiere al sud del Tamigi, in casa di una certa Eleanor Bull che affittava camere per cene e cerimonie private.
Con lui erano Nicholas Skeres, Ingram Frizer e Robert Poley, tutti uomini di Walsingham, gente navigata e di mano lesta. Il documento steso dal medico legale parla di una rissa scoppiata per il pagamento di un conto. Marlowe si sarebbe scagliato contro Frizer che – si legge – inferse al suddetto Christopher una ferita mortale al di sopra dell’occhio destro, profonda due pollici e larga uno. Una settimana dopo, Frizer verrà assolto per legittima difesa. I veri motivi e le dinamiche rimangono tuttora misteriose. È certo, però, che Marlowe non abbia vissuto una vita serena e improntata sulla legalità e limpidezza.
Desta, quindi, stupore che in un arco di tempo così breve e turbinoso Marlowe abbia prodotto tante opere di rilievo. In effetti, se si escludono i primi cimenti, il nucleo centrale delle tragedie – lo stesso che lo ha consegnato alle storie letterarie come il più grande drammaturgo dell’età elisabettiana insieme a Shakespeare e Jonson – appare chiuso nel ristretto periodo compreso fra il 1587 e il 1588, quando compone le prime due parti di Tamerlano Il Grande, la Tragedia di Dido e la Regina di Carthage. Al 1592, invece, risalgono L’Ebreo di Malta, Edoardo II e la Tragica storia del Dottor Faust.
Stefano Manferlotti ci ricorda che, in assenza di una documentazione sicura, tutte le date relative alla composizione delle opere di Marlowe sono a tutt’oggi da ritenersi congetturali. Gli studi e le ricerche fatte da Frederick Samuel Boas (nel suo libro Christopher Marlowe. A Biographical and Critical Study, Oxford, The Clarendon Press, 1940) e quelle più recenti non hanno introdotto novità sostanziali.
In precedenza Marlowe aveva avuto modo di farsi notare come traduttore di Ovidio e come poeta di sicuro avvenire. Le sue Elegie di Ovidio (in realtà la versione dei tre libri degli Amores; si tratta anche della prima traduzione inglese di quest’opera) esibiscono una versificazione già fluida nell’uso spesso sapiente del blank verse (il pentametro giambico che sta alla base di tanta parte della poesia inglese) e del rhyming couplet (distico rimato, altrimenti noto come heroic couplet, o distico eroico). L’uso di questi versi, nei drammi maggiori, si imporrà come magistrale nel senso più proprio del termine.
A rendere Marlowe famoso presso i contemporanei fu, più delle tragedie, il poema Ero e Leandro, scritto quasi in articulo mortis. Infatti, si indicano la seconda metà del 1592 e il 1593 come limiti cronologici della composizione. L’opera è rimasta tronca e pubblicata nel 1598 in due edizioni.
Come si può notare, da parte di Marlowe c’è un’attenzione particolare ai miti (più avanti si farà un’analisi dettagliata del suo mito di Faust). Pare che Marlowe incarni fedelmente la definizione di mito secondo cui l’uomo pensante dubita. L’uomo medievale, però, era ingabbiato nel suo dover essere, esigenza sicuramente conseguente al bigottismo e all’influenza oppressiva da parte della Chiesa sui fedeli.
Secondo il mito di Ero e Leandro, il giovane Leandro, com’è noto, si innamora di Ero, sacerdotessa del tempio di Venere a Sesto. Purtroppo egli vive ad Abido, la città situata sulla cosa opposta dell’Ellesponto. Dopo averla corteggiata con successo, ogni notte attraversa a nuoto lo stretto per congiungersi a lei che, per aiutarlo ad orientarsi nell’oscurità, mantiene una lucerna accesa. In una notte di tempesta, però, la luce si spegne e Leandro muore annegato. Ero, sopraffatta dal dolore, si uccide lanciandosi nei flutti.
Nella riscrittura marlowiana del mito, che si arresta nel momento in cui Leandro riesce a sedurre Ero, l’aspetto larmoyant della vicenda (vale a dire il penoso destino dei due amanti e il consolidato nesso amore/morte) viene posto in secondo piano da Marlowe che si sbilancia nella direzione di una sensualità accesa che pervade uomini e cose.
Non è questo il contesto in cui approfondire il mito di Ero e Leandro, ma serve sapere quanto Marlowe fosse legato alla classicità e quanto avesse studiato per poter riscrivere i miti.
Nel Tamerlano (composto forse fra il 1587 e il 1588 e pubblicato per la prima volta nel 1590) però, la pratica drammaturgica è finalizzata alla costruzione di una figura di eroe che diventerà – si potrebbe dire – antonomastica dell’autore. Si tratta di un uomo che, immemore della propria mortalità, coltiva una passione dominante fino a portarla ad un apice in cu...