Esperienza di Dio in Teresa di Gesù e Giovanni della Croce
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Esperienza di Dio in Teresa di Gesù e Giovanni della Croce

Maximiliano Herráiz

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Esperienza di Dio in Teresa di Gesù e Giovanni della Croce

Maximiliano Herráiz

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Da un insieme di corsi tenuti dai Carmelitani Scalzi del MessicoL'esperienza di Dio che il mistico è portato a trasmettere non è esibizionismo, ma uscita da sé per «essere-con». Teresa di Gesù e Giovanni della Croce mistagoghi, attraverso l'attestazione e il discernimento della loro esperienza, aiutano il lettore di queste pagine ad ascoltare la propria personale esperienza per trasformarla in fonte e progetto di vita.Un volumetto pratico e formativo, che punta a familiarizzare con la dimensione esperienziale della fede cristiana, partendo dai grandi maestri della spiritualità carmelitana.In vista di un fecondo apporto alla pastorale della Chiesa.

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Information

Publisher
Edizioni OCD
Year
2020
ISBN
9788872298107
L’ORAZIONE
L’orazione è campo o ambito privilegiato dell’esperienza e del pensiero di Teresa di Gesù e Giovanni della Croce. Nell’orazione si verifica una conoscenza esperienziale di Dio e della persona. L’orazione è la scuola delle verità che strutturano la personalità di questi due grandi testimoni della fede cristiana. In qualsiasi caso, l’orazione – vita e parola – è una realtà densa e chiarificatrice. Né la parola si intende “separata” dalla vita, né questa si può spiegare staccata da quella. Pertanto, l’orazione, per diritto proprio, deve entrare in questo primo approccio ai dottori della Chiesa, Teresa e Giovanni della Croce, dottori del cammino mistico attraverso il quale la persona realizza la sua vocazione. Quanto prima il lettore si ponga in contatto con questa infinita realtà dell’orazione, si troverà nelle migliori condizioni di accedere alla spiritualità carmelitana. Entrambi riconoscono il valore centrale dell’orazione nella vita del credente, con maggiore o minore chiaro accento autobiografico: «Dico solo che la porta per cui mi vennero tante grazie che mi ha fatto [Dio], fu l’orazione». E lancia il messaggio di portata universale: «essa chiusa, non saprei in che altro modo poterle avere; perché se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa perché Egli la vuole sola, e pura e desiderosa di riceverli» (V 8,9). E lui: «Chi fugge dall’orazione, fugge tutto ciò che è buono» (Par 5,10); «deriva da ciò che in tutte le nostre necessità e difficoltà e in tutti i nostri travagli noi non abbiamo altro aiuto migliore e più sicuro della preghiera» (2S 21,5).
Esperienza teresiana dell’orazione
Indagare nell’esperienza personalissima, non trasferibile dei mistici non è un esercizio di curiosità malsana, da parte nostra, né narcisismo, da parte di coloro che “esibiscono” la loro vita interiore. Per quanto riguarda il mistico, ho già detto, riferendomi a Teresa, che non è lei “l’oggetto”, il centro della sua confessione, ma Dio. Racconta le meravigliose azioni che Dio ha operato in lei, e, senza dubbio, la sua risposta. Ma mira decisamente a Dio, partendo da ciò che ha operato in lei, perché non lo può fare in un altro modo. E dalla sua esperienza di Dio proclama che questo Dio è tanto Dio con tutti quanto lo è stato con lei. Poiché l’esperienza è la fonte della sua dottrina, per Teresa è un passaggio obbligato per dire a sé e dire a noi quel che giudica valido per noi. Avvicinarci alla sua esperienza è ingresso obbligato per captare in tutta la sua estensione e profondità la parola per noi. Esperienza personale ed esperienza che le hanno confidato altre persone. Ce lo raccomanda con chiarezza intitolando l’ultimo capitolo del Libro della Vita: «Da qualcuna [delle grandi grazie] si può cavare molta buona dottrina, giacché scopo principale di questo scritto… è di narrare quelle grazie che possono giovare alle anime». L’esperienza al servizio della dottrina.
Teresa di Gesù è una cristiana con una chiara vocazione innata dell’orazione. Dell’orazione in solitudine, a tu per tu con Dio. Ancora bambina o nella sua primissima adolescenza, si presenta a noi animatrice di un gruppo segnato da due linee già ben precise: «Pensavamo di fare vita da eremiti». Al quale aggiunge: «Mi piaceva molto, quando giocavo con le altre bambine, costruire monasteri» (V 1,6). Più di 40 anni dopo, insegnerà queste due grandi linee della sua spiritualità con identiche parole: «Lo stile di vita che qui intendiamo condurre non è tanto da monache ma da eremite» (C 13,6). Unione armoniosa di “solitudine” e di “comunità”, come “stile” di vita e non solo come alternativa di spazi di solitudine e di vita comunitaria. Dotata di molte e ricche qualità per la relazione interpersonale, incoraggia una rete di relazioni personali, ma sprofondando la radice nella solitudine nella quale si erge acutamente la presenza del Tu che apre e qualifica la presenza degli altri tu. Chiamerà amicizia, la relazione personalissima con Dio – orazione –, e le relazioni comunitarie le battezzerà anche come amichevoli e fraterne. Fondate sempre sulla verità.
Per questo bisogna indicare anche il dato significativo della stretta, profonda relazione dell’orazione e della verità. Già fin dall’infanzia, Teresa ci sorprende con un’orazione di tipo contemplativo che le apre le porte della vita, quella di Dio e la sua nella verità. Nella prima pagina del Libro della Vita, primo frutto letterario di questa donna di quarantasette anni, afferma senza esitazioni, con sorprendente sicurezza: «Nel pronunciare questo [“pena e gloria per sempre, sempre, sempre”] piacque al Signore che ne rimanessi tanto impressionata da concepire fin da allora il più fermo proposito di non mai abbandonare il sentiero della verità» (V 1,4). Spontanea e ricca, esplosiva orazione di una bambina precoce, che rimarrà nel suo ricordo con il sapore di un’esperienza marcante, “impressa”, come qualcosa di risolutivo a cui si torna come per istinto per segnalare la luce e il riferimento di successivi comportamenti. Così, quando ritorna alla sua vita-pratica di orazione, dopo certe rotture affettive che la distraggono poderosamente dai suoi primi passi, annota: «compresi meglio le verità che mi avevano colpita da bambina, cioè il nulla delle cose» (V 3,5). Così indottrinerà più tardi anche le sue sorelle che fondano la loro vita nell’amicizia con Dio: «regni nei vostri cuori la verità, come ve la deve far regnare la meditazione e comprenderete chiaramente in che modo dobbiamo amare il prossimo» (C 20,4). Ma continuiamo con l’appunto circa l’esperienza teresiana.
Verso i diciassette anni si scatena una forte crisi affettiva, che sarà duratura. La sperimenta come una crepa grande e profonda nella sua vita. Molto specificamente nella sua amicizia con Dio: da gioiosa e spontanea, intima, si trasforma, per anni, in dolorosa e difficile. E siccome la corda si rompe sempre dalla parte più debole, Teresa abbandonò l’orazione. Lo faceva per “onestà”: «le sembrava che fosse poca umiltà fare orazione, essendo così imperfetta» (V 19,4). Non dubiterà nell’affermare che «questo fosse il più terribile inganno che il demonio potesse farmi sotto pretesto di umiltà» (V 7,1). Comprenderà più tardi che si trattava di «un’umiltà così piena di orgoglio» (V 19,10). Ma siccome le risultava molto difficile che la menzogna la catturasse, confessò subito in un linguaggio semplice: «la mia maggiore caduta» fu «non essermi appoggiata alla forte colonna dell’orazione» (V 8,1; V 19,10), dunque, «lasciare l’orazione» vuol dire «perdere la strada» (V 19,12).
Per lunghi anni l’orazione risultò un tormento per Teresa: «Era così violenta la forza che il demonio e le mie perverse abitudini mi facevano per allontanarmi dall’orazione…, ed era tanta la tristezza di cui mi sentivo inondare appena entravo in oratorio» (V 8,7). Le difficoltà, nella sua vita di relazione e non solo nell’atto di orazione, avevano due fronti: quello psicologico, cioè, la sua incapacità di meditare, di riflettere sui misteri della fede e la mobilità della sua immaginazione (V 4,8; 9,6); e quello morale e teologale: la vita di fedeltà le si spezza tra le mani. Scrive senza eufemismi: «Cercavo di fare orazione, ma vivevo a modo mio» (V 13,6). Prima si era già espressa in questi termini: «Pareva che volessi conciliare questi due amori contrari, così nemici l’uno dell’altro: la vita dello spirito, i contenti e i passatempi spirituali» (V 7,17). Nel concedere ancora tutta l’importanza alla testimonianza sulla sua incapacità di “meditare”, non c’è dubbio che a questa si aggiungeva che non era amorevolmente “assestata”. Un radicamento affettivo, più o meno forte, è il miglior contrappeso per le “distrazioni” psicologiche. Le sue, penso, avevano più un carattere affettivo. Così trascorse molti anni. E ce li presenta così: «Menavo una vita infelicissima, perché l’orazione mi faceva meglio vedere le mie colpe. Dio mi chiamava da una parte, e io seguivo il mondo dall’altra» (V 7,17). Il lettore di Teresa non può trascurare questa esperienza. In lei e in qualsiasi lettore attento, sincero con se stesso, è lo “spargimento” d’amore a qualsiasi livello la vera difficoltà dell’orazione, come l’ingratitudine dell’amicizia umana. Impegnarsi con la vita di amicizia è il miglior rimedio per una orazione-azione autentica ed efficace.
Teresa lottava contro uno più forte di lei. Doveva perdere. Dio “l’ha sopportata”, “l’ha aspettata”…, in quanto Dio! «Mi sono stancata prima io a offenderlo che non Lui a perdonarmi. Egli non si stanca mai di donare» (V 19,15). Quindi, la mancata corrispondenza “doveva cadere” dal lato di Gesù Cristo, molto più interessato di lei a portare avanti l’amicizia. Quale meraviglia di testimonianza ci offre in queste parole presentandoci i passaggi della pressione di Dio su di lei: «Mi pareva fin troppo la degnazione e la misericordia che Egli usava con me nel chiamarmi alla sua presenza e nell’acconsentire che gli stessi dinanzi. Se non mi induceva Lui stesso, io di certo non l’avrei fatto» (V 9,9). L’unico amico onesto, il più forte, secondo la richiesta eccessiva del suo cuore di donna. «L’amico vero», di fronte agli altri, che sono «tutti dei fuscelli di rosmarino secco, e che non c’è sicurezza nello stare con essi» (R 3,1). La sua impellente necessità di incontrarsi con chi poteva unicamente rispondere alla sua fame infinita d’amore, alla necessità di essere accolta e di essere amata, ancora in mezzo alle sue infedeltà, divide la sua “maniera di pregare”: approccio amoroso, profondo verso Gesù: «Cercavo più che potevo di tenere Gesù Cristo… presente dentro di me, e questo era il mio metodo di orazione» (V 4,7), «Me ne stavo con Lui» (V 9,3). Si ri...

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