Unità 1 La scrittura e la pronuncia
L’alfabeto greco
1 L’alfabeto greco deriva, secondo la teoria più diffusa e accreditata, da quello fenicio, adottato (e modificato) dai Greci intorno al X secolo a.C. La più antica testimonianza scritta in alfabeto e lingua greca è la cosiddetta Coppa di Nestore databile all’VIII sec. a.C. A quei tempi però esistevano diverse varianti delle lettere dell’alfabeto e fu solo verso il VI/V sec. che si giunse progressivamente ad una scrittura unitaria. Nel 403 a.C., poi, con l’editto di Archino, esso fu proclamato alfabeto ufficiale e comune di tutti i greci.
Eccettuati dettagli secondari, l’alfabeto greco era già allora uguale a quello odierno. L’alfabeto greco moderno ha le stesse 24 lettere di quello antico. Anticamente però erano usate solo le forme maiuscole. A partire dal IX sec. d.C. si svilupparono invece anche diverse grafie minuscole.
2 Elenco delle lettere nella forma stampata comunemente usata oggi.1
Grafie arcaizzanti
3 Nel corso dei secoli il greco, come il latino e le lingue neolatine, fu scritto con grafie talvolta fra loro molto diverse. Oggi un greco, anche colto, difficilmente riuscirebbe a decifrare la scrittura di un manoscritto medievale, di un testo a stampa del XVI secolo e perfino di una lettera scritta a mano nel XIX secolo. Non è compito di questa grammatica addentrarsi nei meandri della paleografia e della grafologia. Riteniamo però necessario indicare alcune forme di grafia che sono oggi di uso diffuso. La scrittura onciale (ecclesiastica), in uso da circa 2000 anni, si utilizza ancora oggi spesso in titoli di libri (soprattutto di carattere religioso), sui portali delle chiese e in alcuni altri contesti, specialmente legati al mondo della Chiesa e della religione. La grafia arcaica, invece, risalente all’VIII sec. a.C. circa, è oggi talvolta usata in insegne e cartelloni, nei titoli di libri, nelle iscrizioni su statue o sui portali di istituzioni pubbliche (tribunali, comuni, ecc.). Queste grafie antiche non hanno la forma minuscola, ma solo quella maiuscola.
Si notino in particolare, per la loro diversità dalla grafia maiuscola standard, le onciali corrispondenti a Ξ, Σ e Ò e le arcaiche corrispondenti a Ξ, Π e φ.
Grafie della scrittura a mano
4 Come quasi tutte le lingue, il greco adotta forme specifiche delle lettere nella grafia a mano. Diamo qui di seguito un esempio della più comune forma delle lettere nella grafia a mano e, accanto, un esempio di scrittura artistica elegante, spesso usata in questa o simili forme, nelle insegne di negozi, nei biglietti da visita o in altri contesti. Conoscere queste grafie è fondamentale per chiunque voglia essere in grado di leggere il greco non solo sui libri, ma anche in tutte le altre circostanze che l’uso di una lingua presenta, dal conto al ristorante, alla lettera di un amico, ai cartelloni pubblicitari, alle insegne dei negozi.
La pronuncia
5 La pronuncia del greco si è modificata nel corso dei secoli. Il modo in cui il greco era pronunciato ai tempi di Platone è alquanto differente dalla pronuncia odierna. Quest’ultima però è in buona parte simile alla pronuncia che invalse a partire dalla tarda antichità e dal medioevo. La pronuncia moderna (detta anche bizantina) era usata ovunque nella lettura del greco antico, anche in Europa occidentale. Fu solo con Erasmo da Rotterdam (†1536) che si fece strada in Occidente l’abitudine di pronunciare il greco antico secondo la pronuncia verosimilmente in uso nei tempi antichi. Per cui ancor oggi nelle scuole dell’Europa occidentale è adottata la pronuncia erasmiana. Secondo quest’ultima, la parola αμοιβή, ad esempio, è pronunciata [amoibè], mentre secondo la pronuncia bizantina e moderna si pronuncia [amivì].
Esaminiamo qui di seguito la pronuncia del greco moderno.
α
► [a]. Come la “a” italiana.
αι
► [e]. Si pronuncia “e”, come la lettera ɛ (vedi).
In epoca classica si pronunciava [ai], ma già in epoca ellenistica [e].2
αυ
► [af]. In fine di parola o davanti a consonante dura (θ,κ,ξ,π,σ,τ,χ,ψ) si pronuncia [af]: es. αυτός [aftòs], άνɛυ [ànef].
► [av]. Dinanzi a vocale o a consonante morbida (γ,δ,ζ,λ,μ,ν,ρ), si pronuncia [av]: es. ναυαγώ [navaɣò], μαύρος [màvros].
Anticamente la pronuncia era [au], ma già in epoca ellenistica era comune la pronuncia [av].
β
► [v]. Come la “v” italiana.
Il passaggio da [b] a [v] avvenne già in epoca ellenistica. Abbiamo ad esempio una testimonianza del I sec. a.C. in cui la parola ράβδος (bastone) viene erroneamente scritta ραῦδος, mostrando con ciò chiaramente che il β si pronunciava [v], come pure il dittongo αυ si pronunciava [av].
γ
► [ɣ]. Ha il suono di una “g” aspirata, in cui però il suono “g” è molto sbiadito e quasi scompare di fronte all’aspirazione: es. γάτα [ɣàta], πɛταγμένος [petaɣmènos].
► [ʝ]. Se seguito dal suono [e] (ɛ, αι) o [i] (η, ι, ɛι, υ), il γ assume un suono palatalizzato, simile alla “i” di “chiedo”: es. γη [ʝi], γιατρός [ʝatròs], γυαλί [ʝalì].
Il passaggio dal suono [g] al suono [ɣ] risale già all’epoca ellenistica.
γγ, γκ
► [ŋg] [g]. All’interno di parola, se si trova prima di un γ o un κ, il γ assume suono nasale [ŋ], come la “n” nell’italiano “ancora”, e il γ / κ che lo segue assume suono gutturale duro [g]: es. αγκώνας [aŋgònas], βογγώ [voŋgò], Αγγλία [aŋglìa]. Il suono nasale [ŋ], tuttavia, tende a scomparire nel parlato più colloquiale, specialmente nel parlato dei giovani o delle persone meno istruite, per cui αγκώνας [aŋgònas] diventa [agònas]. Quanto più la parola è di origine e stile colto, tanto più la nasalizzazione tende a rimanere, quanto più invece la parola è di origine e stile colloquiale, tanto più tende a sparire. La nasalizzazione dipende quindi sia da un aspetto soggettivo (il tipo di parlante), sia da uno oggettivo (il tipo di parola). Ad esempio in una parola di origine colta come σάλπιγγα (tromba), la nasalizzazione è obbligatoria: [sàlpiŋga] e non [sàlpiga]; mentre in una parola di uso comune e popolare come αγγούρι (cetriolo), si può dire sia [aŋgùri] che, più colloquialmente, [agùri].
Il gruppo γκ (ma non γγ) può trovarsi anche all’inizio di parola o dopo consonante: in questi due casi non c’è mai nasalizzazione: es. γκαράζ [garàz], αργκό [argò].
► [ŋk]. Quando γκ è seguito da τ o da σ (γξ): es. ɛλɛγκτής [eleŋktìs], σάλπιγξ [sàlpiŋks]. Ugualmente si ha il suono [ŋk] in nomi di origine straniera in cui la parola d’origine ha il suono [ŋk]: es. φραγκϕούρτη (Francoforte) [frankfùrti].
► [ŋgʝ] [gʝ]. I gruppi γγ e γκ, se seguiti dal suono [e] o [i], si palatalizzano: es. ɛγγύηση [eŋgʝìisi], ɛγκέϕαλος [eŋgʝèfalos]. All’inizio di parola si può trovare γκ e in tal caso non vi è mai nasalizzazione: es. γκέτο [gʝèto].
► [ŋɣ]. Nelle parole composte dai prefissi συν- o ɛν- (e pochi altri) e da parola iniziante per γ, la ν di συν- e di ɛν- si scrive γ (con valore nasale): es. συν+γραϕέας > συγγραϕέας (scrittore). In questo caso la pronuncia corretta del composto γγ è [ŋɣ] con nasalizzazione del primo γ e aspirazione del secondo γ: quindi [siŋɣrafèas]. Ugualmente συγγνώμη [siŋɣnòmi], έγγαμος [èŋɣamos]. Nell’uso comune però si tende a pronunciare [siŋgrafèas] e [èŋgamos], o addirittura, colloquialmente: [sigrafèas] e [ègamos]. In parole come συγγνώμη, comunemente la pronuncia viene semplificata in [siɣnòmi] e allora la si semplifica anche nella scrittura: συγνώμη.
► [ŋʝ]. Se ɛν- e συν- sono seguiti da γɛ, allora la pronuncia diventa [ŋʝ]: ɛν+γɛγραμμένος > ɛγγɛγραμμένος [eŋʝeɣramènos], ɛν+γɛνής > ɛγγɛνής [eŋʝenìs]. Tuttavia anche in questo caso, se la parola è di uso più comune e colloquiale, la pronuncia sarà [ŋg]: così, mentre la parola dotta ɛγγɛνής si pronuncia [eŋʝenìs], la parola di uso comune συγγɛνής si pronuncia [siŋgʝenìs].
La pronuncia nasalizzata di γ davanti ad altra gutturale è già di epoca classica.
γχ
► [ŋχ]....