L'uomo nell'era della tecnoscienza
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L'uomo nell'era della tecnoscienza

Dialogo tra un fisico e un filosofo

Gianpaolo Bellini, Evandro Agazzi

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L'uomo nell'era della tecnoscienza

Dialogo tra un fisico e un filosofo

Gianpaolo Bellini, Evandro Agazzi

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Il dialogo prende le mosse dagli atteggiamenti contraddittori di fronte a scienza e tecnica. Da un lato, la scienza permette di spiegare la materia e l'Universo, con leggi fisiche che incantano per la loro perfezione, e studia la genetica e il funzionamento del cervello dell'uomo. Eppure, non mancano atteggiamenti diffidenti o scettici proprio nei confronti delle conoscenze che forniscono le chiavi per interpretare la realtà. Dall'altro, la tecnica investe in forme sempre più importanti la vita quotidiana, con gli estremi di chi non sa farne a meno e di chi oppone un totale rifiuto. Indagando queste discrasie, il pensiero scientifico si concilia con filosofia, poesia e arte, con spunti di riflessione complementari che spingono ad appianare antiche dispute tra scienza e filosofia o tra scienza e religione. Con prefazione di Armando Massarenti.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820398743
Capitolo secondo
La scienza studia l’uomo
Le neuroscienze e la genetica aprono degli spiragli sull’uomo
(Gianpaolo Bellini)
Alcune conclusioni alle quali arriva la scienza sono certamente di interesse generale. Così nel primo capitolo abbiamo cercato di mettere l’accento sulla scoperta che tutta la materia è retta da una rete logica, che al concetto di spazio e tempo si sostituisce quello di spazio-tempo, che la struttura dell’Universo apre all’uomo abissi di spazio e di tempo, che il 95% della massa-energia presente nell’Universo è qualcosa di misterioso, la cui natura non è stata ancora individuata. Inoltre abbiamo cercato di chiarire il ruolo del “caso”, confrontandolo con il “determinismo” delle leggi.
Questo secondo capitolo si presta ancora di più a suscitare l’interesse di tutti in quanto si parla, con le neuroscienze, dell’uomo, del suo cervello e di come si procede per cercare di capire il suo funzionamento. La genetica, a sua volta, solleva interrogativi estremamente importanti, quali ad esempio la trasmissibilità tra genitori e figli, l’influsso del patrimonio genetico contenuto nel DNA sul nostro comportamento e sul nostro carattere, nonché sulle nostre malattie. Moltissime cose sono ancora da capire ma alcune altre sembrano abbastanza acquisite.
Di cosa si occupano le neuroscienze?
Dal mondo inanimato, cioè la materia e le sue caratteristiche, ora ci avventuriamo in una scienza che riguarda l’uomo e, in particolare, quel suo organo che, anche per il sen-so comune, lo caratterizza in modo eminente rispetto agli altri esseri viventi, ossia il cervello. Le neuroscienze sono quella parte delle scienze che si occupa del nostro cervello, anche se il loro oggetto di ricerca è di fatto tutto il sistema nervoso.
Le neuroscienze sono una disciplina scientifica in qualche modo agli albori sia perché quello che studiano è estremamente complicato, con alcune caratteristiche che forse sfuggono in toto alla scienza, sia perché lo sviluppo delle metodiche è un po’ all’inizio, anche se alcune cose sono state comprese. Il punto chiave della ricerca attuale è non tanto cosa faccia il cervello, perché la corrispondenza fra parti del cervello e azione/sentimento del soggetto è stata in parte compresa, ma con quali meccanismi e con quali mezzi il cervello funzioni, come, ad esempio, i neuroni comunichino e ancora di più che cosa trasmettano l’uno all’altro; e questa ricerca è ancora abbastanza all’inizio.
Un primo approccio di studio dell’attività del cervello riguarda la connessione fra alcune attività della persona e le aree del cervello che vengono sollecitate. L’operazione non è semplice perché, comunque, si registra (con vari metodi) un grande rumore di fondo dovuto ad altre attività che inconsciamente il soggetto compie, come ad esempio muovere gli occhi o muovere le dita; per riuscire ugualmente a proseguire in questo studio, il soggetto viene prima registrato a riposo e tale registrazione viene poi sottratta a quella effettuata per studiare le connessioni fra attività del cervello e azioni dell’individuo. Questo tipo di studio si può fare sul cervello umano perché non è invasivo.
Un altro approccio (studio del meccanismo di funzionamento dei neuroni e delle loro connessioni) utilizza dei metodi più puntuali ma più invasivi e viene praticato soprattutto sugli animali, come topi, scimmie e solo in condizioni particolari (operazioni al cervello, epilessia) anche sull’uomo. Ci sono anche problemi di risoluzione spaziale e temporale, a causa della non buona risoluzione intrinseca dei metodi, e perché il campo elettrico registrato, prodotto dalla zona del cervello attivata, attraversa un mezzo non uniforme (il cervello e il cranio).
C’è poi un approccio bio-ingegneristico che cerca di capire con quali programmi il cervello ordini il movimento: cosa importante anche perché ci sono di mezzo la robotica e la protesica; in quest’ultimo caso lo scopo è che l’individuo con una protesi riesca a muoverla utilizzando proprio gli impulsi che provengono dal suo cervello.
Gran parte del nostro cervello è dedicata al movimento, ossia 50 miliardi di neuroni, mentre la corteccia ne contiene solo 30 milioni. Non è strano, perché per il mondo animale il movimento è fondamentale e anche per noi uomini, che abbiamo ereditato, nell’evoluzione, una particolare attenzione del cervello per il movimento, connesso con le funzioni necessarie per vivere, comprese quelle deputate alla sicurezza (reagire ai pericoli in vari modi: combattere, scappare, nascondersi).
LA STRUTTURA NERVOSA DEL CERVELLO
Tutti sanno che il nostro cervello funziona sulla base dei neuroni, ma credo che difficilmente coloro che non si interessano di neuroscienza sappiano qualcosa su come i neuroni operino. Questo è dovuto anche al fatto che gli stessi neuroscienziati hanno faticosamente raggiunto una certa conoscenza dell’argomento, che però è ancora molto incompleta.
I neuroni sono le cellule base del cervello, mentre ci sono anche cellule dette della glia che hanno il compito di proteggere il neurone, nutrirlo e isolarlo per aumentare la velocità di trasmissione dell’impulso nervoso. Il neurone riceve informazioni, le integra e produce una risposta, trasmette quest’ultima ad altre cellule nervose oppure mette in moto ghiandole e muscoli. Il corpo base del neurone è quello cellulare che riceve segnali elettrici dall’ambiente esterno e produce il cosiddetto potenziale d’azione che invia a uno dei suoi prolungamenti, cioè all’assone. L’assone in genere è uno solo per neurone ed è rivestito di un manicotto formato da più strati di mielina; questo manicotto si interrompe in più punti in modo che l’assone sia messo direttamente in contatto con l’ambiente circostante.
Il potenziale di azione viene trasmesso da un neurone a un altro oppure anche a degli organi quali i muscoli e le ghiandole, attraverso una giunzione che viene detta sinapsi.
Il potenziale di membrana, che normalmente ha valore negativo di -70 Millivolt, viene portato dal potenziale d’azione a +35 Millivolt; la sua azione dura 2 millisecondi, dopodiché il potenziale della membrana ritorna negativo, anzi un po’ sotto il valore normale, che però viene riassunto subito dopo. Ogni neurone scarica sempre lo stesso potenziale ma ciò che può variare è il numero dei potenziali e la loro frequenza o anche il numero di neuroni attivi, cioè quanti neuroni in quella zona scaricano. Le cellule eccitabili, che comprendono ovviamente i neuroni, sono anche le cellule muscolari, le cellule endocrine e alcune cellule vegetali.
CORRISPONDENZA FRA AZIONI E ATTIVAZIONE DEL CERVELLO
Molte attività umane, sia di movimento sia di sentimento, hanno una corrispondenza a livello cerebrale. Si ipotizza che questo sia vero in generale. Studiare le reazioni del cervello è un’infinita avventura per capire finemente come avviene questa attivazione cerebrale, il come e il dove.1 Lo studio delle reazioni del cervello avviene con vari metodi, non invasivi, come la risonanza magnetica funzionale, l’elettro-encefalografia e la magneto-encefalografia, la tomografia a emissione di positroni (meno utilizzata a questo scopo).
Secondo il neuroscienziato Vittorio Gallese2 bisogna però stare attenti a non considerare il cervello come un sistema avente solo una funzione computazionale. Gallese non parla più di cervello ma di brain-body perché il cervello è situato in un corpo che sta in un mondo con le nostre caratteristiche; il cervello non può essere considerato come qualcosa a sé, completamente avulso dall’organismo del quale fa parte.
Metodi per lo studio delle attivazioni del cervello
Uno dei metodi utilizzati per lo studio delle attivazioni del cervello è la risonanza magnetica funzionale (fMRI-functional magnetic resonance imaging) che misura il metabolismo3 delle cellule neuronali attraverso una rilevazione del flusso sanguigno. L’aumento del flusso sanguigno è connesso con l’apporto di sostanze nutrienti necessarie al metabolismo e quindi è un segnale della maggiore attività delle cellule neuronali corrispondenti. Questo metodo ha il vantaggio di avere una buona risoluzione spaziale (2-4 millimetri), ma lo svantaggio di una non buona risoluzione temporale (1-4 secondi).4
Un altro metodo è l’elettro-encefalogramma (EEG), che utilizza elettrodi fissati sullo scalpo, mentre per lo studio di zone anche abbastanza lontane dagli elettrodi si utilizza la magneto-encefalografia (MEG).5 Ambedue questi metodi hanno una risoluzione temporale molto buona (millisecondi), mentre quella spaziale è decisamente cattiva (qualche centimetro).
Infine abbiamo la tomografia a emissione di positroni (PET) che segnala zone ad alto metabolismo e quindi con maggiore afflusso di sangue.6
Cosa si impara?
Il lavoro con le tecniche ora descritte ha prodotto la possibilità di fare una mappatura del cervello indicando le aree deputate alle varie attività dell’uomo, sentimenti compresi. Quindi, non solo sappiamo che tutte le nostre azioni passano attraverso il cervello, ma riusciamo anche a sapere quali parti di esso si attivano.
Esempio: sappiamo che l’area coinvolta nel caso del linguaggio è situata nel lobo frontale sinistro e si chiama zona di Broca dal medico che l’ha individuata.7 Un altro esempio riguarda il comportamento sociale conseguente al riconoscimento dei sentimenti espressi dal volto di un’altra persona, per il quale si attivano le cellule neuronali soprattutto dell’emisfero destro.
Va però detto che le varie parti del cervello non si occupano esclusivamente di una delle attività o dei sentimenti; non c’è una corrispondenza uno a uno fra tutte le attività e sentimenti delle persone e una zona del cervello, perché in generale il sistema è multimodale, per cui ad esempio l’area di Broca, adibita all’attività linguistica, si attiva anche per altre cose. Analogamente, le parti neo-corticali che sono adibite al moto hanno anche il compito di notare il movimento di altre persone che vengono viste dall’individuo. Ugualmente ci sono aree che hanno funzioni più antiche che vengono mantenute, ma che nel frattempo si attivano anche per altre ragioni.
Questa attività di mappatura è ed è stata molto utile per capire molte cose sul funzionamento del cervello. Le conclusioni che si possono trarre da tutte le misure fatte è che, a quanto sembra, qualunque cosa noi facciamo o sentiamo o pensiamo passa attraverso il cervello. In più possiamo avere un’idea anche di quale parte del cervello sia coinvolta e queste informazioni ci permettono di fare ricerche su alcune capacità dell’uomo, come quella di utilizzare un linguaggio.
Naturalmente queste misure sperimentali non hanno nessuna influenza sul concetto che possiamo avere della personalità dell’uomo in quanto non hanno alcun collegamento con la coscienza e coloro che pretendono di andare oltre fanno delle considerazioni che non hanno nessuna valenza scientifica.
Esperimenti diretti sui neuroni
Un altro approccio utilizzato dalle neuroscienze è uno studio puntuale dei neuroni e del loro comportamento; fino a qualche anno fa questo tipo di esperimenti non era possibile perché le tecniche non permettevano di registrare più di una singola cellula. L’importante novità sta nel poter registrare il comportamento in vivo di molti neuroni (da qualche decina a qualche migliaio, a seconda della particolare tecnica) simultaneamente e con risoluzione temporale inferiore a 100 millisecondi (nel caso di registrazioni con elettrodi anche di qualche frazione di millisecondo). Una seconda novità è l’optogenetica, ovvero la tecnica che permette di eccitare o inibire singoli neuroni (o singole classi di neuroni) utilizzando luce laser. Queste tecniche sono applicate principalmente ad animali; più recentemente si è potuto registrare attraverso elettrodi il segnale di singoli neuroni anche in pazienti epilettici.
Per dare un’idea più precisa di cosa stiamo parlando, la cosa migliore è descrivere, come esempio, esperimenti sui topi. Si apre una piccola finestra nel cranio8 per arrivare al cervello; in tal modo è possibile attivare o disattivare neuroni eccitatori del movimento, inducendo il topo a eseguire delle azioni o, viceversa, impedendoglielo. Se il topo sta correndo, inviando impulsi laser e attivando i neuroni inibitori della corteccia motoria, il topo si ferma di colpo; o viceversa si può indurre il topo a muovere un arto attivando, sempre attraverso impulsi laser, alcune popolazioni di neuroni eccitatori della corteccia motoria. Utilizzando questa tecnica laser è possibile manipolare anche i circuiti responsabili della memoria. Un esempio di esperimento è il seguente: si procede a un condizionamento del topo per indurlo ad abbeverarsi a una sorgente posta alla sua sinistra oppure alla sua destra a seconda che venga raggiunto da un tipo o un altro di segnale; utilizzando vari metodi si può arrivare a una percentuale di risposte corrette anche del 95 per cento. Ora, se inviamo un impulso laser nella regione antero-frontale della corteccia, è possibile degradare di molto, fino a eliminarla, la memoria dello stimolo che induce il topo ad abbeverarsi a destra o a sinistra. In questo modo si è modificata la memoria a corto termine. Se poi il laser viene disattivato il topo ricomincia a essere condizionato come prima: così a essere modificata non è la memoria ma solo le connessioni fra la memoria e i neuroni.
Per studiare la biofisica di un neurone un metodo è quello di inserire nel cervello del topo un elettrodo e inviare con esso delle scariche elettriche attraverso la membrana del neurone, per osservare come reagisce. Quello che normalmente viene attivato o disattivato è un insieme di neuroni: si va da una decina di neuroni fino a registrare la reazione di 200 neuroni. È possibile anche agire sul singolo neurone, ma il processo è più complicato (il nucleo del neurone varia da 5 a 50 micron). Per capire il ruolo di una certa area del cervello si deve agire però su gruppi di neuroni perché lavorando su uno solo generalmente non si riescono a osservare delle variazioni significative, anche se recenti esperimenti hanno mostrato che si può operare anche su gruppi estremamente piccoli di neuroni.
Un altro mezzo utilizzato per poter capire meglio come avvengono le connessioni si basa sull’osservazione del cervello con un microscopio elettronico mediante il quale si possono osservare scambi di proteine luminescenti fra neuroni: questa è la cosiddetta calcium imaging, perché gli indicatori contengono calcio che si sa essere connesso con i segnali elettronici; si può così osservare come avviene la trasmissibilità delle informazioni fra l’uno e l’altro neurone. È interessante l’esperimento che si può fare con il pesce zebra, che è trasparente e quindi permette di osservare i segnali luminosi emessi dai neuroni che vengono attivati a seconda dei movimenti del pesce stesso: alla fine si ottiene una specie di mappa dei neuroni connessi con i movimenti.
TEMPI DI REAZIONE DEI NEURONI
Ci si chiede se il cervello faccia in tempo a intervenire in tutte le nostre azioni, anche quelle quasi istintive, come ad esempio sterzare quando troviamo un ostacolo davanti all’auto che stiamo guidando. Generalmente il tempo necessario perché un individuo diventi cosciente di qualcosa è di 200-300 millisecondi, cioè il tempo in cui i segnali arrivino alla corteccia. Ma, ad esempio nelle situazioni pericolose, la reazione arriva prima che il sentimento raggiunga la coscienza, per mezzo di vie più brevi. Nelle reazioni a situazioni di pericolo che coinvolgono i muscoli, l’attivazione avviene attraverso neuroni presenti direttamente in essi. Ma qual è la velocità di reazione del cervello in confronto al tempo di risposta del neurone e al tempo di apertura di una sinapsi? Facciamo l’esempio della vista: i nostri recettori ottici trasmettono impulsi al nostro cervello in modo che la formazione dell’immagine avvenga attraverso sei o sette stadi, in un primo stadio per esempio vengono ricostruiti i contorni di un oggetto, in un secondo si comincia a osservarne il contenuto e così via; i colori vengono presi in considerazione per ultimi. Tutto il processo che avviene fra il momento in cui i nostri recettori ottici osservano un oggetto e il momento in cui lo realizziamo è rapido, più o meno un decimo di secondo; questa scala di tempi è equivalente a quella di un singolo neurone. Ci si chiede come la risposta del cervello possa essere così rapida, dovendo l’informazione passare da diverse aree cerebrali prima di essere ricostruita ed essere percepita correttamente.
La conclusio...

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