Come addestrare un elefante selvaggio e altre avventure nella mindfulness
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Come addestrare un elefante selvaggio e altre avventure nella mindfulness

Semplici pratiche quotidiane per vivere con pienezza e felicità

Jan Chozen Bays

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Come addestrare un elefante selvaggio e altre avventure nella mindfulness

Semplici pratiche quotidiane per vivere con pienezza e felicità

Jan Chozen Bays

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52 pratiche, una alla settimana, per esplorare i diversi ambiti della nostra esistenza con la gentilezza, la pazienza, il coraggio e la curiosità necessari a far sì che la mente impari l'arte del riposo e della concentrazione, e il cuore trovi la sua stabilità, in mezzo alle piccole e grandi turbolenze della vita. Non lasciare tracce. Aspettare. Solo tre respiri. Occhi amorevoli. Desideri infiniti. Sembrano versi di una poesia, i titoli degli esercizi di mindfulness (adatti anche ai principianti) che Jan Chozen Bays condivide in questo "classico", dopo averli esplorati per vent'anni insieme ai suoi allievi. L'autrice, oltre ad essere una maestra zen, è pediatra, moglie, madre e nonna. E sa quanto le nostre vite possono essere piene di impegni. La sua è una proposta che scardina il pregiudizio che la mindfulness sia una pratica da infilare in un'agenda già sin troppo piena, e la porta nelle nostre attività quotidiane. Iniziando da una piccola cosa, da un senso di scoperta nelle attività più semplici come alzarci dal letto ogni mattina, lavarci i denti, aprire una porta, rispondere al telefono, il lettore si troverà, senza troppo sforzo, a essere più presente alla propria vita.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820399276

1
USA LA MANO NON DOMINANTE

L’esercizio: usa la mano non dominante ogni giorno per svolgere alcune attività comuni. Per esempio, puoi lavarti i denti, pettinarti o mangiare almeno una parte di ogni pasto con la mano non dominante. Se ti piacciono le sfide, prova a usare la mano non dominante quando scrivi, oppure quando mangi con le bacchette.

Per ricordarti meglio

Per ricordarti di questo esercizio nel corso della giornata puoi provare a metterti un cerotto sulla mano dominante. Quando lo vedi, cambia mano e usa quella non dominante. Puoi anche attaccare un post-it allo specchio del bagno su cui avrai scritto “Mano sinistra” (se sei destrorso), oppure attaccare un foglietto allo specchio, al frigorifero o alla scrivania; insomma, in qualsiasi punto dove è facile che tu lo veda.
Un altro approccio è appiccicare qualcosa al manico dello spazzolino che ti ricordi di lavarti i denti con la mano non dominante.

Scoperte

Questo esperimento provoca invariabilmente ilarità. Ci permette di imparare che la mano non dominante è assai maldestra. Usarla ci riporta a quella che i maestri zen chiamano “mente del principiante”. La mano dominante magari ha anche quarant’anni, ma quella non dominante è molto più giovane: potrebbe averne solo due o tre. Dobbiamo imparare daccapo come tenere una forchetta e come portarla alla bocca senza infilzarci. Probabilmente, all’inizio, lavarci i denti con la mano non dominante sarà difficile e se non facciamo più che attenzione vedremo che la mano dominante tenderà a prendere il sopravvento su quella non dominante, portandole via la forchetta o lo spazzolino! È un po’ come una sorella maggiore arrogante che dice: “Ehi, imbranata, lascia stare che faccio io!”. Cercare di usare la mano non dominante può risvegliare la compassione per chi è maldestro o inesperto, per esempio per chi soffre di disabilità, per chi è infortunato, per chi ha avuto un ictus. Per qualche momento ci rendiamo conto di quanto diamo per scontati moltissimi gesti che per molte persone sono impossibili. Usare le bacchette con la mano non dominante è un’esperienza umiliante. Se vuoi metterci meno di un’ora per consumare un pasto, senza spandere cibo per ogni dove, devi prestare una grandissima attenzione.

Lezioni profonde

Questo esercizio dimostra quanto siano radicate le nostre abitudini e quanto sia difficile cambiarle senza consapevolezza e determinazione. L’esercizio ci aiuta a usare la mente del principiante in qualsiasi attività – per esempio mangiare – che svolgiamo sì più volte al giorno, ma con una consapevolezza solo parziale.
Usare la mano non dominante rivela quanto siamo impazienti. Può aiutarci a diventare più flessibili e a scoprire che non siamo troppo vecchi per imparare nuove cose. Se pratichiamo spesso l’esercizio della mano non dominante, nel tempo vedremo quanto si può sviluppare questa abilità. Io ho continuato a usare la mano sinistra per molti anni e ora mi sono dimenticata di quale sia la mano “giusta” da usare. Vi possono essere anche dei vantaggi pratici. Se dovessi perdere l’uso della mano dominante, come è capitato a molte mie conoscenze dopo un ictus, non sarei priva di risorse. Quando sviluppiamo una nuova competenza, capiamo che dentro di noi vi sono numerose altre abilità, che restano dormienti. Questa consapevolezza può darci fiducia che, con la pratica, riusciremo a trasformarci in molti modi diversi, diventando più flessibili e godendo, nella vita, di una maggiore libertà. Se compiamo questo sforzo volentieri, nel tempo possiamo risvegliare le capacità che nascono dalla naturale saggezza che ci portiamo dentro e possiamo metterle all’opera nella nostra vita quotidiana.
Il maestro zen Suzuki Roshi ha detto: “Nella mente del principiante vi sono innumerevoli possibilità, mentre in quella dell’esperto ve ne sono meno”. La mindfulness ci consente di ritornare alle possibilità illimitate che sempre emergono da quell’immenso luogo di nascita che è il momento presente.
Conclusione: per aprire la vita a nuove possibilità, dispiega la mente del principiante in ogni occasione.

2
NON LASCIARE TRACCE

L’esercizio: scegli una stanza della casa e, per una settimana, cerca di non lasciare tracce del fatto che l’hai usata. Per la maggior parte delle persone, le stanze migliori sono il bagno e la cucina. Se hai svolto delle attività in una di queste stanze, per esempio vi hai preparato la cena o hai fatto la doccia, ripulisci in modo da non lasciare alcun segno di esserci passato, a parte, nel caso, il profumo del cibo o la fragranza del sapone.

Per ricordarti meglio

Nella stanza che hai scelto, attacca un post-it con la scritta “Non lasciare tracce”.
Nei dipinti zen, la pratica di non lasciare tracce è simboleggiata dalla tartaruga, che, quando si muove strisciando sulla sabbia, spazza via con la coda le proprie tracce. Invece di parole scritte, come promemoria puoi usare anche delle piccole immagini di tartarughe.

Scoperte

Spesso, quando usciamo da una stanza lasciamo più disordine di quando vi entriamo. Pensiamo: “Rimetto a posto più tardi”. Il più tardi, poi, non arriva mai, finché il disordine non diventa insopportabile e ci ritroviamo a essere talmente irritati da costringerci a fare una pulizia profonda, oppure ci arrabbiamo con qualcun altro perché non ha fatto la propria parte di lavori domestici. Sarebbe molto più facile se ci occupassimo immediatamente di quello che c’è da fare: allora non dovremmo sentirci sempre più a disagio perché il disordine sta prendendo il sopravvento.
Questa attività ci aiuta a diventare consapevoli della tendenza a evitare di fare certe cose, anche piccole, di cui potremmo prenderci cura nel corso della giornata ma che, per qualche motivo, non abbiamo la spinta giusta a portare a termine. Potremmo per esempio prendere su il sacchetto della spazzatura quando usciamo di casa, oppure la pallina di carta che, quando l’abbiamo lanciata, non ha centrato il cestino. Potremmo sprimacciare i cuscini del divano dopo esserci alzati, oppure sciacquare la tazzina del caffè invece di metterla semplicemente nel lavandino, e potremmo metter via gli attrezzi anche se li dobbiamo usare di nuovo domani.
Qualcuno ha osservato che il fatto di usare la mindfulness per non lasciare tracce in una stanza piano piano si allarga anche ad altre aree. Lavare i piatti subito dopo mangiato l’ha spinto a rifare il letto subito dopo essersi alzato e poi a togliere i capelli dallo scarico dopo la doccia. Dobbiamo solo contattare l’energia iniziale, la quale, poi, sembra generarne altra.

Lezioni profonde

Questo esercizio pone in evidenza la nostra tendenza alla pigrizia. La parola “pigrizia” è semplicemente descrittiva, non una critica: se viviamo meno che pienamente, spesso lasciamo che siano gli altri a rimettere a posto il nostro disordine. È davvero facile lavare i piatti, ma non rimetterli nella credenza. È davvero facile saltare una meditazione o una preghiera quando la nostra vita si fa eccessivamente confusa.
Questo esercizio richiama la nostra consapevolezza anche verso le molte piccole cose che utilizziamo per vivere e lavorare: i cucchiai e le forchette con cui ci nutriamo, i vestiti che ci tengono al caldo, le stanze in cui troviamo rifugio. Quando laviamo, asciughiamo, spazziamo, pieghiamo e mettiamo via i nostri oggetti quotidiani con consapevolezza, ciò che facciamo diventa un’espressione di gratitudine nei confronti del loro silenzioso servirci.
Il maestro zen Dōgen scrisse delle istruzioni specifiche per i cuochi del monastero: “Lavate le bacchette, i mestoli e tutti gli altri utensili; maneggiateli con cura e consapevolezza, mettendo via ogni cosa nel posto che le è più appropriato”. C’è una grande soddisfazione nel lavare ciò che è sporco e nel mettere in ordine ogni cosa, nonché nel trattare con cura tutto ciò che ci è utile, che si tratti di piatti di plastica o di delicata porcellana. Dopo aver fatto pulizia nello spazio e fra le cose che ci circondano, la mente stessa sembra più “pulita” e la vita meno complicata. Un amico mi ha raccontato di aver gettato mucchi di vecchi vestiti, medicinali scaduti e spazzatura di vario genere dalla casa di una vecchia zia. Poi mi ha detto: “All’inizio sembrava preoccupata, poi si è rilassata e, a ogni sacco che portavamo via, pareva ringiovanire di un anno”. Il senso di soddisfazione che viene dal non lasciare tracce potrebbe essere un riflesso del nostro desiderio profondo di lasciare il mondo almeno non peggiore di come l’abbiamo trovato e, possibilmente, di lasciarlo almeno un po’ migliore. Idealmente, le sole tracce che dovremmo lasciarci dietro dovrebbero essere quelle del modo in cui abbiamo amato, ispirato, insegnato o servito gli altri. In questo modo, in futuro avremo sulle persone l’effetto più positivo.
Conclusione: inizia esercitandoti nel non lasciare tracce, poi prosegui esercitandoti nel lasciare le cose in uno stato migliore di quello in cui le hai trovate.

3
INTERCALARI

L’esercizio: impara a riconoscere l’uso degli intercalari, che si tratti di semplici parole o di intere frasi, e cerca di eliminarli dal tuo vocabolario. Gli intercalari sono parole che non aggiungono alcun significato a ciò che stai dicendo, come “ehm”, “ah”, “be’”, “cioè”, “tipo”, “dunque”, “allora”, “diciamo” eccetera. Di tanto in tanto, nel vocabolario trovano posto anche nuovi intercalari; per esempio, alcune di queste parole sono “assolutamente” o “a proposito”.
Oltre a eliminare gli intercalari, cerca di capire quando li utilizzi maggiormente: in quali situazioni? E a quale scopo?

Per ricordarti meglio

All'inizio sarà molto frustrante cercare di notare quando usi gli intercalari. Probabilmente, la cosa migliore sarà farti dare una mano da qualche amico o familiare. I bambini adorano scoprire quando i loro genitori usano degli intercalari, per poterli correggere. Chiedi loro di alzare una mano quando ti sentono usare un intercalare. Dapprincipio, le mani continueranno ad alzarsi con una frequenza sconcertante; d’altro canto, si tratta di un’abitudine talmente radicata che potresti trovarti addirittura a chiedere quale intercalare hai appena usato!
Un altro modo per accorgerti di quando usi un intercalare e con quale frequenza consiste nel farti registrare mentre parli. Chiedi al tuo compagno di stanza, al coniuge o a uno dei tuoi figli di usare il cellulare o una videocamera per registrarti mentre stai chiacchierando o parlando al telefono, quindi riguardati il video e segna quali intercalari usi e con quale frequenza.

Scoperte

Al monastero abbiamo scoperto che questo è uno degli esercizi di mindfulness più difficili da praticare. È assai arduo e frustrante cercare di ascoltarsi quando si usano degli intercalari e accorgersene prima di pronunciarli, a meno che tu non sia assai abile con le parole. Nei gruppi Toastmasters, in cui viene insegnato a parlare in pubblico, vi sono persone a cui è affidato il compito di segnalare gli intercalari e così aiutano gli altri a imparare a parlare con più efficacia. Quando inizierai ad accorgerti degli intercalari, li potrai udire ovunque: alla radio, alla TV e nelle conversazioni quotidiane. Il teenager tipico usa gli intercalari al ritmo di circa duecentomila volte l’anno! Riuscirai inoltre a notare chi li usa e chi no e ti accorgerai che la loro assenza rende molto più efficace e potente qualsiasi discorso. Per esempio, prova ad ascoltare i discorsi di Martin Luther King, del Dalai Lama o del presidente Barack Obama prestando attenzione agli intercalari.
Gli intercalari sembrano servire a diverse funzioni: sono come dei segnaposto, che comunicano all’ascoltatore che stai per iniziare a parlare o che non hai ancora finito. “Dunque… gli ho detto che cosa pensavo della sua idea e allora, ehm, gli ho detto, tipo, be’, lo sai…”. Gli intercalari servono inoltre, a volte, ad ammorbidire ciò che stiamo dicendo, rendendolo meno apodittico o assertivo. “Dunque, a proposito, io, per dire, penso che dovremmo, in pratica, tipo, portare avanti il progetto”. Abbiamo paura di provocare una reazione o di sbagliarci? Non ci piacerebbe che il presidente o un medico ci parlassero in modo così sfuggente. Gli intercalari possono diventare un ostacolo per il pubblico che ci ascolta, nel momento in cui diluiscono il messaggio che vorremmo veicolare fino a renderlo ridicolo. “Gesù allora be’, in pratica, disse: ‘Ama il tuo, per dire, prossimo, come, be’, insomma, cioè, tipo come te stesso’”.

Lezioni profonde

Gli intercalari sono divenuti molto comuni negli ultimi cinquant’anni. Qual è il motivo? Forse perché nelle scuole si dà minore importanza al parlare in maniera precisa, all’elocuzione, all’abilità nei dibattiti? Oppure, nel mondo di oggi postmoderno e multiculturale, in cui spesso la verità viene considerata relativa, abbiamo volutamente scelto di parlare in maniera meno conclusiva? Abbiamo paura di dire qualcosa che potrebbe suonare politicamente scorretto o di provocare una reazione da parte di chi ci ascolta? Stiamo affondando nel relativismo morale? Se questo trend dovesse continuare, ci troveremo a dire: “Rubare è, per così dire, in un certo senso, relativamente opinabile”.
Quando la mente è chiara, possiamo parlare in maniera diretta, con precisione, pur senza insultare nessuno.
Questo strumento di mindfulness mostra quanto siano radicati in noi i comportamenti inconsci e quanto siano difficili da cambiare. Le abitudini inconsce come l’uso degli intercalari sono appunto questo: inconsce; e finché tali rimangono, è impossibile cambiarle. Solo quando gettiamo la luce della consapevolezza su uno schema comportamentale possiamo iniziare a tenere da parte lo spazio necessario a modificarlo. E anche allora, è molto difficile cambiare un’abitudine radicata. Non appena smettiamo di lavorare attivamente per cambiare un’abitudine indesiderata, questa torna rapidamente alla carica. Se vogliamo cambiare noi stessi, se vogliamo realizzare il nostro potenziale, abbiamo bisogno di gentilezza, determinazione, ma soprattutto di una pratica costante e attiva.
Conclusione: “Penso che siate tutti illuminati, finché non aprite bocca.” – Maestro zen Suzuki Roshi

4
APPREZZA LE TUE MANI

L’esercizio: diverse volte al giorno, quando le tue mani sono impegnate in una qualche attività, osservale come se appartenessero a un estraneo. Osservale anche quando sono ferme.

Per ricordarti meglio

Scrivi la parola “Guardami” sul dorso delle mani.
Se per questioni di lavoro tu non potessi, indossa un anello che normalmente non adoperi. (Se non puoi nemmeno indos...

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