Bezonomia
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Come Amazon ha cambiato la nostra vita e cosa possiamo imparare dalle strategie di Jeff Bezos

Brian Dumaine

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Come Amazon ha cambiato la nostra vita e cosa possiamo imparare dalle strategie di Jeff Bezos

Brian Dumaine

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Frutto di un lavoro che ha coinvolto 150 fonti interne ed esterne ad Amazon, Bezonomia offre uno sguardo rivelatorio e libero da pregiudizi su uno dei colossi della tecnologia che nel giro di pochi anni è arrivato al vertice del business mondiale. Pensare oggi di poter ignorare Jeff Bezos equivale a dire che ieri si sarebbero potuti ignorare Henry Ford e Steve Jobs, due titani che hanno letteralmente ridefinito le regole del business su scala mondiale. Il fondatore di Amazon è il nuovo "disgregatore" attualmente sulla piazza. Colui che ha ideato l'algoritmo del 21° secolo, in grado di creare ricchezza su ricchezza. Un settore alla volta, i tentacoli di Amazon stanno stritolando e fagocitando tutto ciò che incontrano, cambiando contemporaneamente, e in profondità, il modo di intendere l'economia, il mondo del lavoro e, in generale, la società. Per questo motivo, i principi grazie ai quali Bezos ha raggiunto la sua posizione dominante - come ci racconta Dumaine nel libro - vengono imitati dai suoi concorrenti in tutto il mondo: l'ossessione per il cliente, la tensione costante verso l'innovazione e una visione a lungo termine non sono più un'esclusiva della sua azienda. La bezonomia ha tante facce: per alcuni è una miniera d'oro, per altri una minaccia, per altri ancora un elemento in grado di condizionare la vita. Per tutti un fenomeno da seguire per salvare il proprio business.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820399368

Capitolo 1

Bezonomia

AL MATTINO, APPENA SVEGLIA, Anna chiede ad Alexa di prepararle il caffè, controllare le previsioni del tempo e fare la spesa online, che le sarà recapitata direttamente a casa la sera stessa. Anna ha ventisei anni e quasi non si ricorda com’era il mondo prima di Amazon. Ha comprato online direttamente sul sito tutti i libri su cui ha studiato all’università, e che ha poi rivenduto subito dopo l’uso. Pur essendo iscritta ad Amazon Prime fin da quando aveva diciott’anni, sente ancora una scarica di endorfine quando, tornando a casa, trova sulla soglia un pacchettino sigillato con quel logo che ormai conosce bene.
Dopo la colazione, la giovane prende la metropolitana per andare in ufficio. Per lavoro, tra le altre cose, si occupa di ricerca e acquisto di tastiere Bluetooth; non c’è da stupirsi che su Amazon trovi sempre la scelta più completa al miglior prezzo. Con due semplici clic ha la tranquillità di sapere che il giorno dopo – o a volte addirittura il giorno stesso, se c’è molta urgenza – l’ordine verrà recapitato direttamente sulla sua scrivania. Anna salva i file aziendali più importanti sul cloud creato da Amazon Web Services, studia i prestiti alle piccole imprese offerti da Amazon Lending e riunisce i membri del suo team per parlare del prossimo passo importante della start up per cui lavora: lanciare un nuovo prodotto su Amazon Marketplace. Quella sera, nel tragitto verso casa, si ferma a prendere uno snack in un punto vendita Amazon Go, un supermercato senza cassa in cui, all’uscita, i sensori e le telecamere addebitano automaticamente l’importo della spesa sull’account Amazon di ciascun avventore. Rientrata a casa, si fa leggere da Alexa una ricetta per preparare la cena e, dopo mangiato, si rilassa chiedendo ad Alexa di riprodurre qualche puntata della serie TV – sempre di produzione Amazon – La fantastica signora Maisel. Infine, si addormenta dopo aver letto qualche pagina di un libro sul suo Kindle.
Anna è un personaggio di fantasia, ma il mondo in cui vive è del tutto reale: sappiamo bene, ormai, che nell’ecosistema Amazon esistono persone esattamente come lei. I membri Amazon Prime in America pagano 119 dollari l’anno per poter avere il privilegio di esserne invischiati in tutto e per tutto; in diciassette Paesi, è possibile ricevere una gamma di milioni di prodotti entro due giorni dall’ordine – o anche meno. Non tutti i clienti Amazon sono iscritti a Prime, ma circa 200 milioni di acquirenti online in tutto il mondo hanno, consapevolmente o meno, aderito al sistema operativo di Bezos per la vita. E siamo solo all’inizio, perché Bezos ha appena cominciato a insinuarsi nel mercato mondiale. L’azienda sta allungando i suoi tentacoli in Europa, India, Africa, Sud America e Giappone. Soltanto la Cina, con i suoi giganti digitali autoctoni Alibaba e Tencent, è riuscita a mettere un freno all’avanzata di Amazon.
Per il classico uomo della strada, Amazon è un sito internet che consegna oggetti di tutti i tipi all’interno di piccole scatole marroni. Basta fare una passeggiata in una strada qualsiasi di Los Angeles, Londra o Mumbai per vedere, ogni pomeriggio, scatole e scatole contraddistinte dal logo di Amazon impilate nei portoni o lasciate davanti all’uscio di ciascun acquirente. Un ex dirigente che ha ricoperto posizioni di alto profilo per circa dieci anni mi ha confidato che l’azienda sta creando un nuovo sistema operativo che sarà ancora più vasto e pervasivo dell’iOS di Apple e di Google Android. “Tutto quello che facevamo in Amazon,” ha detto, “era volto a rendere l’azienda un elemento sempre più strettamente interconnesso al tessuto sociale e alla vita delle persone. Abbiamo iniziato con il sito e ora abbiamo Amazon Echo con Alexa, che ci informa sulle previsioni del tempo, riproduce la musica che le chiediamo, controlla le luci e la temperatura di casa e, ovviamente, ci permette di fare acquisti online. Stiamo arrivando a un’integrazione sempre più massiccia: Amazon sta diventando il sistema operativo delle nostre vite”.
È difficile comprendere appieno quanto Amazon sia diventata popolare e in grado di trascinare gli utenti nel suo mondo in maniera quasi totalizzante. Per le festività del 2017, tre americani su quattro tra quelli che effettuano acquisti online hanno dichiarato che avrebbero sfruttato al massimo i prodotti che avevano comprato su Amazon. Il concorrente diretto più vicino era Walmart.com, con un 8 percento di intervistati che ha dichiarato di fare lì la maggior parte dei propri acquisti. Nelle periferie delle città, i furgoni postali sono costretti a effettuare corse extra per smaltire il flusso incessante di pacchetti Amazon e, in determinate zone, i postini e i corrieri iniziano il turno alle 4 del mattino per tenersi al passo con le consegne. A Fire Island, una piccola isola nei sobborghi di New York, il battello locale impiegava così tanto tempo la mattina per scaricare i colli di Amazon che alcuni pendolari sono stati costretti ad anticipare la partenza per non rischiare di perdere il treno per il centro città.
In un’era in cui la fiducia delle persone nelle istituzioni è sempre più blanda, Amazon è riuscita a guadagnarsi un profondo rispetto. Nel 2018, il Baker Center della Georgetown University ha chiesto agli americani in quale istituzione credessero di più: i democratici hanno scelto Amazon su tutte le altre, una risposta davvero sorprendente considerati i sempre più frequenti attacchi da parte della sinistra, che non mancava mai di criticare le dure condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i dipendenti dei magazzini, gli enormi benefici fiscali di cui l’azienda gode da tempo grazie alle concessioni di molte amministrazioni locali e il fatto che non ha quasi pagato tasse federali sul reddito nel 2017 e 2018. I repubblicani, invece, hanno messo Amazon al terzo posto dopo – e questa non è una sorpresa – l’esercito e la polizia locale. Democratici o repubblicani che fossero, gli intervistati hanno mostrato di avere più rispetto per Amazon che per FBI, università, Congresso, stampa, tribunali e religione. Questi dati possono forse spiegare perché il 51 percento delle famiglie americane frequenta luoghi di culto e il 52 percento ha un account Amazon Prime.
Il sentimento di venerazione per Amazon è particolarmente sentito tra i millennial e la generazione zeta. Da uno studio della Max Borges Agency che ha coinvolto 1108 persone tra i 18 e i 34 anni che avevano acquistato prodotti tecnologici su Amazon nell’ultimo anno è emerso che, sorprendentemente, il 44 percento degli intervistati preferirebbe rinunciare al sesso piuttosto che ad Amazon per un anno intero, mentre il 77 percento sarebbe pronto a fare a meno delle bevande alcoliche pur di mantenere attivo e poter utilizzare il proprio account. Tutto ciò la dice lunga sullo stile di vita e le abitudini sessuali di queste generazioni e sul fascino che Amazon esercita su di loro.
Questa reputazione così positiva tra i consumatori si traduce, naturalmente, in fiumi di denaro. A metà del 2019 Kantar, società che si occupa di ricerche di mercato e parte del colosso pubblicitario WPP, per la prima volta ha messo Amazon al primo posto nella classifica dei marchi di maggior valore al mondo. Secondo le stime di Kantar, il brand Amazon vale 315 miliardi di dollari, con una crescita di oltre 108 miliardi rispetto all’anno precedente. Ha superato Apple e Google nella corsa al gradino più alto del podio e più che doppiato sia Alibaba, sia Tencent.
Amazon ha creato una dipendenza tale che, oggi, il popolo americano le riserva ogni mese una fetta significativa dello stipendio: stiamo parlando di circa il 2,1 percento della spesa complessiva di una famiglia media – vale a dire, circa 1320 dollari per un nucleo familiare da 63.000 dollari l’anno. Il motivo principale per cui i consumatori aprono così volentieri il proprio portafoglio ad Amazon è il risparmio di tempo, fatica e costi legati al raggiungere personalmente un negozio per acquistare beni di uso quotidiano come pannolini per neonati o batterie per gli elettrodomestici. Un esempio su tutti: quando Charlotte Mayerson, redattrice editoriale in pensione che viveva nell’Upper West Side di Manhattan, ha avuto bisogno delle pile di ricambio per il suo vecchio telefono fisso, è andata a comprarle in autobus nel negozio di elettronica più vicino. Lì, il solerte commesso le ha detto: “Noi non abbiamo questo tipo di batterie, ma la aiuto volentieri”. In pochi clic, dal suo computer, ha ordinato le pile per la signora. Direttamente su Amazon.
Persino chi dice di detestare Amazon, a volte non può proprio farne a meno. In un editoriale per il New York Times, la scrittrice Nona Willis Aronowitz ha spiegato che il suo odio per Amazon era una questione di principio, per via di quanto aveva letto in merito alle condizioni di lavoro dei dipendenti nei magazzini. Quando però suo padre, con un passato da sindacalista, a ottantacinque anni è stato vittima di un infarto debilitante, Aronowitz si è trovata a dipendere da Amazon per avere la massima tranquillità che l’uomo, costretto a casa, potesse avere a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno, dalle palline per la fisioterapia alle proteine in polvere a buon prezzo. Aronowitz ha ammesso di essersi sentita un po’ come se avesse fatto “un patto col diavolo”, ma di suo padre ha detto: “Non può più andare a fare la spesa da solo, e la persona che lo segue non ha tempo di passare continuamente da una farmacia all’altra a ritirare tutte le medicine e i dispositivi di cui ha bisogno. E così, Amazon Prime è diventato la sua ancora di salvezza”.
Nessuno dispone di dati oggettivi sull’argomento, ma raccogliendo pareri e aneddoti appare evidente che molti clienti sviluppano una dipendenza psicologica da Amazon. Un quarantenne di Saco, nel Maine, a un certo punto si è visto sospendere l’account per aver restituito troppi smartphone: l’algoritmo di Amazon decide, in gran segreto, chi sia un buon cliente e chi no. L’uomo ha passato mesi a cercare di rimettersi in buona luce, e dopo infinite suppliche a un impiegato del customer service è finalmente riuscito a farsi sbloccare l’account. Come ha dichiarato al Wall Street Journal, “ero frastornato, disorientato. Non ti rendi neanche conto di quanto un’azienda faccia parte del tuo quotidiano fino a che il rapporto non si interrompe all’improvviso”.
I ricercatori sanno già da qualche tempo che l’uso di social media come Facebook, Twitter e Instagram può creare dipendenza. Ogni volta che sullo smartphone arrivano notifiche che ci segnalano nuovi like o commenti ai nostri post, il cervello rilascia una scarica di dopamina, un neurotrasmettitore che, tra le altre cose, dà una sensazione di benessere. Gli utenti si abituano a questi piccole scosse e iniziano a consultare l’app sempre più frequentemente per vedere se qualcuno ha interagito con loro. Sean Parker, presidente fondatore di Facebook – dimessosi nel 2005 – in un’occasione ha spiegato che, per agganciare gli utenti, l’azienda sfrutta “la vulnerabilità della psiche umana. Ogni volta che qualcuno mette un like a una foto o commenta un tuo post, noi… ti diamo in cambio un po’ di dopamina”.
La dipendenza da internet può colpire bambini e adulti, ma il fenomeno è particolarmente evidente nei più piccoli, che rimangono incollati allo schermo in un momento della propria vita in cui dovrebbero invece privilegiare la lettura e le interazioni sociali. Il problema, però, è così concreto che alcuni dei personaggi più in vista della Silicon Valley non permettono l’uso di smartphone e tablet ai propri figli, o comunque lo limitano molto. Chris Anderson, ex direttore di Wired USA e oggi direttore esecutivo di un’azienda di robotica e droni – ben lontano, quindi, dall’essere un luddista – in un’intervista per il New York Times ha espresso il suo parere sul rapporto che i bambini hanno con gli smartphone: “In un’ipotetica scala di dipendenza che va dalle caramelle alla cocaina, siamo più vicini alla cocaina. Gli ingegneri e i tecnici che hanno dato vita a questi prodotti, così come gli scrittori e i giornalisti che ne hanno osservato l’evoluzione, sono stati ingenui. Si pensava di poter controllare queste tecnologie, e invece si è capito che sono al di là del nostro controllo. Perché toccano direttamente i centri del piacere di un cervello ancora in piena crescita”.
Mentre i social media come Facebook, Instagram e Twitter possono causare disturbi sociali e psicologici, Amazon è responsabile di acuire un fenomeno altrettanto serio: la dipendenza da shopping. Il suo appeal è tale che alcune persone vengono colte da una sorta di abitudine all’acquisto compulsivo, con conseguenze economiche devastanti. Il pulsante “Compra ora con 1-Click” è l’equivalente amazoniano della notifica proveniente da Facebook o Instagram. Ma, al posto di un like da un amico, il piacere è dato dalla consapevolezza che, con un solo clic, presto arriverà un premio – un pacchetto che verrà consegnato direttamente a casa in un giorno o due, con dentro l’oggetto desiderato. Un po’ come ricevere un regalo di Natale o di compleanno, ma in giornate qualunque. Quindi, doppia scarica di dopamina: una al momento del clic, e l’altra quando suona il campanello e il corriere consegna il pacco.
Molte persone hanno pagato questa tendenza all’acquisto compulsivo con gravi conseguenze a livello economico. April Benson è una psicologa di New York specializzata in dipendenza da shopping. Grazie alle sue ricerche ha scoperto alcuni seri casi di dipendenza dallo shopping online, tra cui quello di una donna di mezza età di Long Island, che chiameremo Constance, che qualche tempo prima aveva dichiarato bancarotta dopo aver accumulato 150.000 dollari di debiti. Come lei stessa ha ammesso a Benson, “non so come sia essere tossicodipendenti, ma lo shopping è la mia droga… Lavoro sette giorni su sette per pagarmi questo vizio… Non posso più andare avanti così”.
Il fenomeno della dipendenza da shopping non è del tutto nuovo, ma internet ha ampliato il bacino di utenza per via della comodità legata allo shopping online. Il sondaggio su millennial e generazione zeta della Max Borges Agency ha rilevato che il 47 percento degli intervistati ha fatto acquisti online anche in bagno, il 57 percento al lavoro, il 23 percento mentre era bloccato nel traffico e il 19 percento quando era ubriaco (anche se, per quest’ultima categoria, ci si potrebbe aspettare una percentuale più alta). Una donna che lavora come insegnante alle scuole superiori ha ammesso che, di tanto in tanto, si mette a letto, ubriaca, fa ordini su Amazon e la mattina dopo non ricorda neppure cosa ha acquistato.
La comodità di fare acquisti premendo un pulsante o dando un comando vocale ad Alexa crea dipendenza, e può portare facilmente tanti clienti a comprare molto più di quanto avrebbero realmente bisogno. Qualche giorno fa mi sono trovato a ordinare su Amazon un barattolo per il caffè in acciaio inox con uno sfiato per l’anidride carbonica utile a conservare al meglio il prodotto. Chi mai avrebbe detto che un po’ di CO2 potesse nuocere tanto al caffè, e soprattutto perché dovrei preoccuparmene? Eppure, l’ho comprato lo stesso. Più sappiamo di poter comprare, più compriamo. Lo shopping online, inoltre, è un’ottima strategia di procrastinazione quando siamo al lavoro. Non ne puoi più di compilare tabelle o scrivere resoconti? In un modo o nell’altro, il tuo cervello riuscirà a ricordarti che hai assolutamente bisogno di un nuovo paio di infradito per il prossimo weekend al mare, e tutto a un tratto ti ritrovi sul sito di Amazon.
Uno dei motivi per cui gli acquirenti rimangono così legati ad Amazon è che possono trovarvi praticamente qualsiasi cosa. In effetti, nel 2018, Amazon e i milioni venditori di terze parti che vendono tramite il suo sito mettevano a disposizione un totale stimato di circa 600 milioni di articoli in tutto il mondo. Stiamo parlando di otto volte il numero di prodotti offerti da Walmart, il più grande rivenditore “tradizionale” del mondo, che offre 120.000 prodotti nei suoi supermercati e circa 70 milioni online.
Scandagliando ancora più a fondo questa fossa delle Marianne digitale, dal sito di Amazon emergono, per cifre intorno ai dieci dollari, articoli decisamente curiosi: una lampada notturna per WC a 16 colori e con sensore di movimento; una fede nuziale in silicone nero da uomo (in confezione da 4) per gli sposi più pessimisti e attenti al budget; un balsamo senza risciacquo per domare le barbe più lunghe; una coppia di blatte fischianti del Madagascar (Gromphadorhina portentosa), purtroppo non più in vendita da qualche tempo; infine, il mio oggetto preferito: una federa con la foto di Nicolas Cage a torso nudo, che si è guadagnata 239 recensioni nel momento in cui scrivo e una valutazione media di 4 stelle. Kara, acquirente soddisfatta, ha dichiarato: “Mi sento davvero al sicuro con Nicolas qui nel letto insieme a me”.
Ma non c’è solo della strana oggettistica: è addirittura possibile ordinare un tornio elettrico da tre tonnellate e mezza, in pratica più pesante di molte automobili, usufruendo anche della spedizione gratuita. Bisogna solo farsi trovare a casa al momento della consegna. Disponibili anche con consegna gratuita un motore da oltre trecento chili della General Motors, già montato, un set di pesi per bilanciere per un totale di 135 chili e una cassaforte per armi da fuoco da 250 chili. Un cliente nelle recensioni ha fatto notare, non senza un certo disappunto, che la consegna gratuita non include il trasporto di questa pesante cassaforte su per una rampa di scale.
Poiché Amazon ha accesso a incredibili quantità di dati riguardanti le categorie più vendute, non fa altro che posizionare per primi i propri prodotti. Quando dai dati emerge che una determinata categoria, come i maglioni di cashmere blu o i forni a microonde, è particolarmente ricercata, Amazon si rivolge direttamente a un produttore per creare una sua linea riportante il proprio marchio. L’esempio più classico sono le batterie AmazonBasics, dirette concorrenti di Duracell e altri brand noti e spesso più convenienti a livello di prezzo. Nel 2016 l’azienda contava una ventina di marchi di sua proprietà, tra i quali appunto AmazonBasics, la linea di moda femminile Lark & Ro e i vestiti per bambini Scout + Ro. Nel 2018 quei marchi sono diventati più di 140, tra cui Rivet per i mobili classici e Happy Belly per cibi e bevande. I marchi di prodotti per la casa hanno tutte le potenzialità di diventare, per Amazon, un business enorme. Secondo gli analisti di SunTrust Robinson Humprey Inc., nel 2018 le vendite dei marchi di proprietà Amazon hanno sfiorato i sette miliardi e mezzo di dollari e, stando alle previsioni, arriveranno a 25 miliardi entro il 2022.
Anche se i sondaggi evidenziano che Amazon è gradito alla ma...

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