Il lamento della natura. De planctu naturae
Alano di Lilla, Giancarlo Giuliani, Giancarlo Giuliani
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Il lamento della natura. De planctu naturae
Alano di Lilla, Giancarlo Giuliani, Giancarlo Giuliani
About This Book
Questa edizione e traduzione italiana del "De planctu naturæ", la prima contemporanea, ha il duplice pregio di colmare una lacuna negli studi di settore e di ricostruire la genesi della posizione ufficiale della Chiesa sul tema dell'omosessualità. Inquadrata nel contesto del pensiero di Alano di Lilla, "Doctor universalis", l'opera, di carattere allegorico, si apre con il lamento della Natura che si dice oltraggiata dagli atti illeciti compiuti contro di lei. L'omosessualità assurge così a errore a diversi livelli, non solo sessuale ma anche linguistico-grammaticale, etico, cosmico: crea disordine, scompaginando il progetto concepito da Dio stesso. La scelta della resa in traduzione in versi liberi, insieme all'estrema cura semantica, permette di apprezzare in modo particolare il monologo della Natura che si alterna al racconto in prosa secondo il topos letterario tipico del genere. A cura di Giancarlo Giuliani. Testo italiano/latino.150 pagine, 380.000 caratteri, 55.000 parole.
Frequently asked questions
Information
plauso in lamento, allegria in lacrime.
Sono inascoltati i decreti della Natura
e tanti naufragano e periscono
per un mostruoso amore sensuale. Venere
contro Venere combatte, rende femmine
i maschi, con magico artificio priva
l’uomo della virilità. Non la finzione
o il falso pianto ingannatore, non il dolo,
ma il dolore stesso porta in seno
e genera la mestizia. La Musa chiede,
il dolore impone, la natura invoca
che, piangendo, doni loro un lamentoso
canto. Ahi, dov’è mai la grazia della natura?
Dove la bellezza dei costumi, la norma
della pudicizia, l’amore per il pudore?
La natura piange, le buone usanze tacciono,
ogni pudore è svenduto, orfano
dell’antica nobiltà. Il sesso
attivo inorridisce con vergogna
per il suo degenerare in passivo[1].
L’uomo è reso donna, macchia l’onore
del suo sesso, l’artificio della magica
Venere lo rende ermafrodito[2].
Egli è insieme predicato e soggetto,
diviene termine con duplice funzione,
spinge troppo oltre le leggi della grammatica.
Barbaro ormai in quest’Arte,
nega l’umanità datagli dalla Natura.
Non ama l’Arte[3], piuttosto il tropo.
Tale trasposizione[4] non può essere detta
tropo, una figura simile cade
piuttosto nell’ambito del vizio[5].
Usa troppo la logica colui per il quale
una semplice alterazione dell’Arte
fa perire i diritti della natura.
Batte un’incudine che nulla produce,
il maglio stesso ne ha vergogna.
La forma della sua matrice non imprime
il proprio segno su alcuna materia,
piuttosto il vomere ara una terra
sterile. Uso al piede dattilico
di Venere[6], male adopera il giambo,
in cui alla lunga non può seguire la breve.
Sebbene ogni bellezza dell’uomo
sia supplice di fronte alla bellezza
femminile, inferiore sempre alla gloria
di lei, sebbene la bellezza sia al servizio
di Elena e, sconfitto, il fascino
di Adone e Narciso la adori,
tuttavia essa è disprezzata, sebbene
parli come la bellezza stessa
e la divinità dell’aspetto affermi
il suo essere dea. Per lei
il fulmine nella destra di Giove
languirebbe inerte e ogni corda
di Apollo sarebbe indolente e inattiva.
Per lei l’uomo libero diventerebbe
schiavo e per godere del suo amore
Ippolito venderebbe il proprio pudore.
Perché tanti baci riposano
sulle labbra della Vergine e nessuno
vuole farne raccolto? Se una volta
ricevessi i suoi baci, sarebbe dolce
il loro succo, e divenuto miele
formerebbe un favo nella mia bocca.
Il respiro si volgerebbe ai baci,
tutto dedito alla bocca, e giocherebbe
con se stesso sulle labbra,
sí che, purché io muoia cosí,
finito il mio corso di vita,
come un altro me stesso in quei baci
io goda di una vita felice.
Non piú il Frigio adultero
cerca la figlia di Tindaro,
Paride con Paride compie atti
mostruosi e indicibili. Non piú
Piramo attraverso le fessure cerca
i baci di Tisbe, a lui nessuna fessura
di Venere dà diletto. Non piú il Pelide
finge il portamento di una giovinetta
per provare alle fanciulle il suo essere uomo,
ma vende il suo sesso per amore
di guadagno e male ricambia il dono
della natura. Quanti negano a Genio[7]
decime e diritti, meritano
una scomunica dal tempio del Genio.