Capitolo 1
“Quando i fatti cambiano, io cambio idea. E lei, sir?”
Il profitto degli azionisti
come retaggio del passato
Il vero problema dell’umanità è questo: abbiamo emozioni del paleolitico,
istituzioni del medioevo e tecnologia degna degli dèi.
E.O. Wilson
Che cos’è il capitalismo? Una delle più grandi invenzioni dell’umanità e la più grande fonte di benessere mai esistita? Una minaccia che rischia di distruggere il paese e destabilizzare la società? Oppure una combinazione delle due cose, che oggi dobbiamo in qualche modo ripensare?
Ci serve un modo sistematico per riflettere su tali quesiti.
Il miglior punto di partenza sono i tre grandi interrogativi della nostra epoca, problemi che ogni giorno diventano più importanti: l’enorme inquinamento ambientale, le diseguaglianze economiche e il collasso delle istituzioni.
Il mondo brucia. L’utilizzo di combustibili fossili – la forza motrice dell’industrializzazione moderna – sta uccidendo centinaia di migliaia di persone, e allo stesso tempo sta destabilizzando il clima, rendendo acidi gli oceani e alzando il livello dei mari. Gran parte del suolo terrestre è deteriorato, e la domanda di acqua supera l’offerta. Senza intervenire, i cambiamenti climatici ridurranno il Pil, porteranno all’inondazione delle grandi città costiere, e costringeranno milioni di persone a emigrare in cerca di cibo. Intere specie di insetti si stanno estinguendo e nessuno sa perché o con quali conseguenze. Corriamo il rischio di distruggere la vivibilità degli ecosistemi dai quali dipendiamo.
La ricchezza si accumula ai vertici. Le cinquanta persone più ricche del mondo possiedono più della metà più povera dell’umanità, e più di sei miliardi di persone vivono con meno di 16 dollari al giorno. Miliardi di persone non possono accedere a un’istruzione adeguata, a cure mediche e alla possibilità di trovare un lavoro dignitoso, mentre i progressi della robotica e dell’intelligenza artificiale (AI) minacciano di condannare milioni di lavoratori alla disoccupazione.
Le istituzioni che hanno storicamente tenuto in equilibrio il mercato – famiglie, grandi comunità, la fiducia nelle tradizioni, i governi e perfino la convinzione di far parte della grande comunità degli esseri umani – stanno crollando, e vengono addirittura ridicolizzate. In molti paesi si diffonde la convinzione che il futuro dei nostri figli sarà peggiore del nostro, scatenando ondate di violenza contro le minoranze e gli immigrati che minacciano di destabilizzare i governi di tutto il mondo. Non c’è posto dove le istituzioni non siano sotto pressione. Una nuova generazione di politici autoritari sta sfruttando questa miscela tossica di rabbia e alienazione per rafforzare il proprio potere.
Vi chiederete che cosa c’entri tutto questo col capitalismo. Il Pil mondiale non è forse quintuplicato negli ultimi cinquant’anni, mentre la popolazione raddoppiava? Il Pil pro capite non è forse attualmente oltre i 10.000 dollari, abbastanza per fornire cibo, riparo, elettricità e istruzione a ogni singola persona sul pianeta?
E anche nel caso riteniate che le imprese debbano avere un ruolo attivo nel tentativo di affrontare questi problemi, non vi sembra comunque che si tratti intuitivamente di un’idea poco plausibile?
Nelle sale conferenze e nei corsi di MBA, viene ribadito che lo scopo primario di un’azienda è massimizzare i profitti: una verità che non ha bisogno nemmeno di essere dimostrata. Secondo molti manager, porsi obiettivi diversi vuol dire non solo rischiare di venir meno ai propri doveri di fiduciari, ma anche di perdere il lavoro. Temi come il cambiamento climatico, le diseguaglianze e il collasso delle istituzioni vengono visti come “esternalità” da affidare a governo e società civile. Di conseguenza, abbiamo creato un sistema nel quale gran parte delle aziende credono di avere il dovere morale di non fare nulla per il bene pubblico.
È una modalità di pensiero che però sta cambiando. E lo sta facendo molto in fretta.
In parte sta cambiando perché i millennial fanno pressioni affinché le aziende per le quali lavorano perseguano sostenibilità e inclusione. Quando ho lanciato il corso in MBA che sarebbe diventato “Ripensare il capitalismo”, avevo ventotto studenti. Ora sono quasi trecento, un po’ meno di un terzo del corso della Harvard Business School. Migliaia di aziende si sono impegnate a perseguire obiettivi che vadano oltre il profitto, e quasi un terzo degli asset finanziari del mondo viene gestito secondo un criterio di sostenibilità. Anche chi è in cima alla piramide sta iniziando a spingere per un cambiamento. Nel gennaio del 2018, ad esempio, Larry Fink, Ceo di Black Rock, il più grande asset manager del mondo, ha inviato una lettera ai parigrado di tutte le aziende del proprio portfolio, spiegando: “La società chiede che le aziende pubbliche e private perseguano uno scopo sociale. Per garantirsi una prosperità duratura, ogni azienda non deve limitarsi a offrire una performance finanziaria, ma anche dimostrare quale contributo positivo dà alla società. Le aziende devono portare benefici a tutti: agli azionisti, agli impiegati, ai clienti e alle comunità nelle quali operano”.
BlackRock gestisce asset per quasi 7000 miliardi di dollari, ed è pertanto tra le più grandi shareholder nelle principali aziende quotate pubblicamente di tutto il mondo. Possiede il 4,6 per cento di Exxon, il 4,3 per cento di Apple e quasi il 7 per cento di JP Morgan Chase, la seconda banca più grande del mondo. Potremmo paragonare Fink che propone alle aziende di “perseguire uno scopo sociale” a Martin Lutero che inchioda le sue novantacinque tesi al portone della chiesa del castello di Wittenberg. La settimana dopo la pubblicazione della sua lettera, un mio amico Ceo mi ha chiesto se dicesse sul serio. Era scioccato. Aveva costruito i successi della sua lunga carriera procedendo a testa bassa e pensando a massimizzare il valore per gli azionisti. La proposta di Fink gli sembrava ridicola. Non riusciva a immaginare di staccare lo sguardo dai profitti in un mondo competitivo come il nostro.
Nell’agosto del 2019, la Business Roundtable – un’organizzazione costituita dai Ceo di alcune delle più grandi e potenti corporation americane – ha pubblicato un comunicato che ridefiniva lo scopo dell’impresa: “Promuovere un’economia al servizio di tutti gli americani”.
Centoottantuno Ceo si sono impegnati a guidare le loro aziende “per il bene di tutti gli stakeholder: clienti, impiegati, fornitori, comunità e azionisti”. The Council of Institutional Investors (CII), un’organizzazione di proprietari o erogatori di asset che comprende più di 135 fondi pensionistici pubblici e fondi di altro genere con 4000 miliardi di dollari in asset gestiti complessivamente, non ha apprezzato, e ha risposto con una dichiarazione che tra l’altro asseriva:
CII ritiene che consigli d’amministrazione e manager debbano concentrarsi sul valore a lungo termine per gli azionisti. Per farlo, è necessario rispettare gli stakeholder, ma anche fare in modo che la responsabilità delle scelte ricada senza dubbio sui proprietari dell’azienda. Se tutti sono chiamati a rispondere, nessuno deve farlo davvero. La BRT (Business Roundtable) ha proposto di mettere l’accento sulla governance degli stakeholder […] (1) diminuendo però i diritti degli azionisti; e (2) non proponendo alcun sistema per rendere consigli e management responsabili nei confronti di ogni altro gruppo di stakeholder.
Uno dei più importanti financial manager in circolazione sottolinea che “il mondo ha bisogno della vostra leadership” e alcuni dei più potenti Ceo si proclamano al servizio dello “stakeholder management”, mentre numerosi imprenditori – come il mio amico Ceo (persona di enorme successo) e altri grandi investitori – pensano che stiano chiedendo l’impossibile.
Chi ha ragione? L’impresa può davvero – e sottolineo davvero – salvare un mondo che brucia?
Ho passato gli ultimi quindici anni della mia vita collaborando con aziende che cercano di risolvere i problemi ambientali e sociali su larga scala – in primo luogo per garantirsi la sopravvivenza – e mi sono convinta che l’impresa non solo ha forza e responsabilità sufficienti per contribuire a cambiare il mondo, ma anche forti incentivi economici per farlo. Il mondo sta cambiando. Le aziende che cambieranno con lui saranno abbondantemente ripagate: se non ripensiamo il capitalismo, saremo tutti molto più poveri.
Ho intrapreso questo viaggio con il giusto scetticismo britannico, ma ora sono sorprendentemente ottimista, e per ottimismo intendo: “lavorando sodo, potremmo farcela”.
Abbiamo la tecnologia e le risorse per costruire un mondo giusto e sostenibile. Farlo è nell’interesse del settore privato. Sarà difficile arricchirsi se le più g...