Come un Ministro per la cultura
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Come un Ministro per la cultura

Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro

Chiara Faggiolani

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Come un Ministro per la cultura

Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro

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Elegante, altero, fascinoso, geniale, litigioso, raffinato, capriccioso, superbo, temerario, non conformista. Giulio Einaudi è un ossimoro. Dall'imponente letteratura che ne ha approfondito la figura emerge come la sintesi di comportamenti divergenti e attitudini contrastanti. Lo stesso ossimoro si traduce nei tratti della sua casa editrice capace di integrare durata e attualità, tradizione e novità, scientificità e militanza. Il libro approfondisce uno degli aspetti meno trattati della straordinaria impresa di Giulio Einaudi a servizio della cultura: la sua attività a favore delle biblioteche pubbliche in Italia negli anni Sessanta, a partire dalla realizzazione della biblioteca civica di Dogliani, dedicata alla figura di suo padre, il Presidente Luigi Einaudi. Attraverso questa vicenda – ricostruita con una particolare attenzione alla storia orale – il libro propone una riflessione sul rapporto tra il modello biblioteconomico e il progetto culturale espresso da Einaudi in quegli stessi anni con un'intensa attività politica a sostegno della pubblica lettura.

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Capitolo 1
Il prototipo ibrido di Dogliani: la biblioteca civica “Luigi Einaudi” nel miracolo economico
Caro Zevi, torno adesso da Londra e mi accorgo di non averti ancora ringraziato per la tua rinuncia a essere compensato per il progetto di Dogliani. Lo faccio adesso, con la più affettuosa cordialità, perché vedo nel tuo gesto non solo un significato culturale e civile, ma una nuova prova d’amicizia.
Queste parole leggiamo in una lettera del 16 dicembre 1963 scritta da Giulio Einaudi a Bruno Zevi, conservata presso l’archivio dell’architetto.1 Poco prima, il 29 settembre dello stesso anno, aveva preso vita il ‘progetto di Dogliani’, una biblioteca intitolata a Luigi Einaudi, illustre economista e Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Il padre dell’Editore. E proprio per onorare la memoria del padre, all’indomani della sua morte, venendo meno ad ogni retorica celebrativa, l’Editore regalò alla comunità di Dogliani una biblioteca.
Ho scelto di farmi guidare dalle parole della lettera, di utilizzarla come espediente narrativo perché qui ritrovo alcuni degli elementi fondamentali per l’interpretazione di una storia affascinante, a tratti sorprendente. Una storia potente che merita di essere raccontata. Una storia per la cultura.
1. La biblioteca di Dogliani: isolato, il pezzo di un puzzle non significa niente
Il progetto, dice l’Editore rivolgendosi all’architetto. In considerazione del destinatario tale parola assume una connotazione assai specifica: il progetto architettonico. Ed è certo, è per il progetto architettonico che Bruno Zevi aveva rinunciato ad essere compensato. Prima di arrivare a parlare di questo è utile ricordare che ‘progetto’ è una parola ambigua, densa di significato, una chiave d’accesso a un tratto decisivo della personalità dell’Editore.2 L’ossimoro.
Da una parte ‘progetto’ è «una parola bandita dal vocabolario mentale» dell’Editore, vissuta come una
camicia di forza – dice Walter Barberis in relazione alla casa editrice – che avrebbe costretto in modalità predeterminate il lavoro editoriale. Il progetto, che costituiva il punto di forza di un partito politico; che poteva rappresentare l’obiettivo economico di un’impresa; che in qualche misura era preliminare a qualsiasi strategia organizzativa; era ai suoi occhi una grave limitazione alla fantasia creativa, alla spontaneità assoluta che difendeva in opposizione a qualunque dettato istituzionale.3
Dall’altra quella di Einaudi è una vocazione intima al progetto – che in casa editrice per Barberis non si chiama progetto ma programma editoriale4 – una abitudine a guardare al senso complessivo delle cose, a non vedere il singolo pezzo se non inserito in un disegno più grande: «Senza un progetto non si fa nulla, bisogna avere le idee di quello che si vuol fare. Il progetto, per noi, c’era ieri e c’è oggi. Se poi le situazioni mutevoli nella società ti obbligano a dei mutamenti, a delle fermate, a degli avanzamenti improvvisi in altre direzioni, è compito di chi amministra e di chi dirige una casa editrice rispettare sempre quell’idea di fondo».5 L’attitudine al progetto di Giulio Einaudi mi ricorda il passo di Georges Perec, dal quale ho preso in prestito il titolo del paragrafo:
[…] Isolato, il pezzo di un puzzle non significa niente; è semplicemente domanda impossibile, sfida opaca; ma se appena riesci, dopo molti minuti di errori e tentativi, o in un mezzo secondo prodigiosamente ispirato, a connetterlo con uno dei pezzi vicini, ecco che quello sparisce, cessa di esistere in quanto pezzo: l’intensa difficoltà che ha preceduto l’accostamento e che la parola puzzle – enigma – traduce così bene in inglese, non solo non ha più motivo di esistere, ma sembra non averne avuto mai, tanto si è fatta evidenza: i due pezzi miracolosamente riuniti sono diventati ormai uno, a sua volta fonte di errori, esitazioni, smarrimenti e attesa.6
La relazione tra la parte e il tutto – il ‘sistema’ e non le singole parti di esso – sta per Giulio Einaudi forse proprio in quel «momento prodigiosamente ispirato»: non si tratta cioè di una progettazione in cui vengono previsti e coordinati tutti gli elementi possibili in modo scientifico e rigido, si tratta piuttosto di una approssimazione realizzatrice, dove tra il fine da raggiungere e la sua realizzazione non viene individuato necessariamente un percorso univoco da seguire, ma tutte le parti sono fortemente interconnesse. Basti pensare alla centralità del catalogo in Casa Einaudi, il principio cardine del lavoro editoriale.7 Lo sottolinea Roberto Calasso nel suo L’impronta dell’editore: «[…] la forma di una casa editrice si osserva anche nel modo in cui i suoi vari libri stanno insieme (sia i testi sia i volumi nel loro aspetto fisico) così come stanno insieme il capitolo ventitré e il capitolo ottanta di uno sterminato romanzo di Dumas o anche il terzo e il nono distico di un’elegia di Properzio».8
Questa tensione verso il progetto che ha guidato la casa editrice è la stessa che ha animato la realizzazione della biblioteca di Dogliani che, nell’idea di Giulio Einaudi, doveva essere anche un modo per verificare se fosse vero o meno il principio che aveva ispirato nel 1933 la nascita della sua impresa più grande: che l’editoria è tale solo nella misura in cui pensa se stessa come un servizio pubblico. La storia della biblioteca civica “Luigi Einaudi” di Dogliani ha un senso solo se letta in questa chiave.9
Nella letteratura biblioteconomica la storia di questa biblioteca è considerata «una realizzazione per allora importante, che si poneva, d’altra parte, nel solco di un mecenatismo culturale che tanti esempi illustri aveva già avuto proprio nel campo bibliotecario, in Italia e all’estero».10
Sono soprattutto due gli aspetti che della biblioteca sono stati approfonditi: l’incisività del progetto architettonico e il modo speciale in cui è stato realizzato il suo catalogo, che avrebbe portato nel 1969 alla realizzazione della nota Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata,11 che suscitò non poche polemiche e che uscì in una seconda edizione nel 1981.12
In realtà gli elementi fondanti non erano due ma tre: il locale, la dotazione libraria e discografica e la gestione. Quest’ultimo è stato un aspetto abbastanza trascurato. Eppure lo diceva in modo esplicito Paolo Terni nel saggio L’esperienza di Dogliani all’interno della prima edizione della Guida, la principale fonte di riferimento per la ricostruzione di questa storia. La ‘narrazione ufficiale’, la voglio chiamare, ciò che del progetto di Dogliani l’Editore ha voluto rimanesse.
Paolo Terni (1932-2015), raffinatissimo musicologo e figura centrale di questa vicenda, è l’uomo che per conto dell’Editore seguì da vicino la realizzazione del progetto di Dogliani. Nato ad Alessandria d’Egitto, aveva frequentato il liceo francese e sarebbe stato sicuramente destinato a studi di filosofia se il padre non lo avesse indirizzato allo studio della giurisprudenza a Roma. Paolo Terni arrivò a Dogliani ad occuparsi del progetto di Giulio Einaudi nel 1962 quasi per caso, dopo aver letto su «Il Messaggero» un annuncio economico della casa editrice in cerca di collaboratori per un progetto dedicato alla pubblica lettura.13 Come vedremo, Paolo Terni fu scelto da Giulio Einaudi per il bagaglio di esperienze che aveva maturato tra il 1958 e il 1962 nell’ambito del cosiddetto Progetto Sardegna, una delle radici del progetto di Dogliani, il know how – diremmo oggi – che egli mise a disposizione della visione dell’Editore. Una esperienza senza prezzo per ciò che Giulio Einaudi aveva in mente, della quale si parlerà più diffusamente nel quarto capitolo.
Tornando alle specificità – locale, dotazione libraria e discografica e gestione – sono stati ricordati negli anni successivi, per esempio in Primo: non leggere, da Giulia Barone e Armando Petrucci:
Tale proposta poggiava sostanzialmente su tre elementi – scrivevano gli Autori nel 1976 – tutti relativamente nuovi e tutti potenzialmente suscettibili di sviluppi positivi: la gestione affidata non più al solo bibliotecario o al solo Ente locale proprietario, ma a un comitato composito; il locale, progettato da Bruno Zevi e costruito ex novo secondo un modulo di funzionamento ‘aperto’ e modificabile; la scelta potenzialmente ‘non oggettiva’ del patrimonio librario, ma politicamente indirizzata in senso democratico ed antifascista.14
Nel saggio L’esperienza di Dogliani Paolo Terni per prima cosa spiega i presupposti del progetto, le caratteristiche del contesto che ne avevano determinato i tratti caratterizzanti. È molto ...

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