Marzo
Non più freddo
L’inverno sta diventando un ricordo.
Non c’è più gelo nell’aria. Il sole torna a farsi sentire sulla pelle. Fino a ieri, quando c’era, lo potevi guardare, ma non te lo sentivi nel corpo. Ora il calore invece mi si cuce addosso come un vestito. Lo sento su di me, lo sento dentro me.
Ero sola in casa. Le solite cose del sabato mattina: riordinare, sistemare tutto ciò che è rimasto in sospeso nel corso della settimana. Poi un raggio di sole si è infilato tra le tende della cucina e, attraversando il cristallo di un bicchiere, ha disegnato un arcobaleno nell’aria. Mi sono fermata a guardarlo e mi è venuta in mente l’immagine di me bambina, incantata per la visione dell’arcobaleno al termine di un temporale. Ero solita chiamare tutta la famiglia. «Venite a vedere: è nato un arcobaleno». Dicevo proprio così: «È nato un arcobaleno». E la parola «nascita» da allora è rimasta dentro di me piena di colori.
Da mesi, rifletto su questa parola. Mi interrogo su cosa ne sarebbe della mia vita se diventassi madre. In che cosa mi trasformerei io, con il mio bambino appoggiato sul cuore?
Venite a vedere: è nato un arcobaleno. Dicevo proprio così: è nato un arcobaleno. E la parola «nascita» da allora è rimasta dentro di me piena di colori.
Quando ci penso, mi viene da ridere di me stessa. Mi vedo grassa come una balena, con una pancia gonfia di vita che mi sta davanti e mi precede in ogni mio passo. Mi vedo spettinata, con i capelli in disordine, con i ricci che si muovono in ogni direzione. Chi penserebbe più alla propria testa, con un corpo di tre chili attaccato a un seno, da nutrire e massaggiare, da proteggere e amare?
Sono uscita. La casa era diventata troppo piccola per i miei grandi pensieri. Avevo bisogno di aria pura e di guardare il cielo. Così, ora eccomi qui. A farmi toccare dal calore del sole, a muovermi nell’aria che aspetta il profumo della primavera, a immaginare che la voglia di vita sciolga il ghiacciaio dell’attesa che si trova dentro di me. E solo oggi mi accorgo che quel ghiacciaio ha voglia di liquefarsi, di diventare goccia su goccia.
Vedo, mentre cammino, le tracce della fine dell’inverno e le prime gemme che la primavera deposita sugli alberi che si risvegliano. Vedo il ciclo della natura che si compie sotto i miei occhi. Non avevo mai fatto caso ai particolari. Oggi invece non c’è un particolare che mi sfugge. Tutto attira la mia attenzione. Ci sono suoni e profumi che ascolto e odoro per la prima volta.
Mi sento immersa in ciò che vedo e ciò che vedo diventa ciò che vivo. Vivere.
Vita.
Concepire la vita
Il tuo abbraccio stasera è vigoroso e tenero. Ti tengo forte su di me e poi lascio che sia tu a stringermi e mi sembra di galleggiare leggera dentro e fuori dal tuo corpo.
C’è amore nel modo in cui mi tocchi e ti restituisco quell’amore immergendo il mio sguardo nel tuo. Con i miei occhi ti tengo incollato a me e divento l’oceano in cui tu ti muovi, saltando fuori e dentro le onde di un piacere che non è quello solito.
Io dentro di te mi perdo e mi ritrovo.
Ti avevo parlato dei miei pensieri di stamattina. Avevamo riso pensando a me tutta spettinata con un bimbo attaccato al seno. E poi avevamo immaginato la casa piena di pannolini e biberon, immersa in un disordine generale.
Quindi hai cominciato a elencare tutti i problemi che un neonato in casa avrebbe portato nella tua vita: i risvegli notturni, io che rimango in vestaglia tutto il giorno, le vacanze da pensionati sotto l’ombrellone per non far prendere troppo sole alla sua pelle fragile e delicata.
Poi però ti sei fermato e mi hai detto: «Io ti amo. Tu sei la mia vita».
Vita. Di nuovo questa parola, che pronunciata da te mi ha colpita come una freccia, che si è conficcata al centro del cuore.
Con quella freccia nel cuore ti ho desiderato come mai mi era successo prima. Ancora più della nostra prima volta, dove la tenerezza faceva a pugni con l’imbarazzo ed eravamo rimasti poi lì sdraiati con la mia testa sul tuo cuore, a sorridere di noi, del nostro maldestro tentativo di diventare ciò che ora siamo. Nel desiderio che oggi mi si è acceso dentro, c’era tutto: c’ero io, c’eri tu, c’erano aria, acqua, fuoco, vento, sabbia. C’erano il deserto e l’arsura, il mare e la pioggia, l’alba e il tramonto, la rugiada e la neve.
Tutto.
Vita.
In quel tutto e in quella vita, i nostri corpi hanno cominciato a muoversi, seguendo il ritmo di una danza universale, dove io sono te e tu sei me, dove tu e io diventiamo noi. Quel noi ora non basta più perché deve espandersi in qualcos’altro… In qualcun altro.
Come rugiada, le tue gocce di amore hanno bagnato il mio ventre desideroso di essere coltivato di vita. Tu, io, il nostro giardino in cui attendere la vita di cui avremo cura.
Ora che la danza è terminata, ora che ti sto di nuovo appoggiata sul cuore, proprio come il giorno della nostra prima volta, chiudo gli occhi e immagino tutto di nuovo. Vorrei che ciò che vedo in questo sogno a occhi aperti non rimanesse solo un bel film, una serie d’immagini su cui fantasticare, ma diventasse concretamente la nostra vita.
Vita, appunto.
Aprile
Risvegli: accorgersi che c’è vita
La primavera è dappertutto: è nei prati che si sono riempiti di margherite, nel cielo che tutte le mattine mi risveglia con quella luminosità che durante l’inverno avevo imparato a dimenticare. È nel volo delle rondini che sono tornate, nelle farfalle che trasportano il polline da corolla a corolla.
È nel volto della gente che mi viene incontro con un viso più fresco, più disteso. Forse il primo caldo fa venire a tutti voglia di vacanza. Si comincia a parlare dei programmi della prossima estate. Dove andrai in vacanza? Mare o montagna? Si ha voglia di andare altrove, di entrare in spazi desueti, di muoversi verso un tempo «altro» rispetto a quello normale dove tutto è già definito. Eppure, se penso a me stessa, in questa compiutezza, in questa definizione di tutto ciò che conosco bene, io mi sento al sicuro.
Perché la gente pensa che la parte migliore della propria vita debba sempre essere da un’altra parte? Sono davvero tanti quelli che vivono un anno intero sognando le due settimane che trascorreranno fuori dal loro mondo consueto, dalla loro vita di tutti i giorni. Per quei quindici giorni di evasione, piegano il capo tutto l’anno e attendono in silenzio.
La primavera è dappertutto. È nei prati che si sono riempiti di margherite, è nel cielo che tutte le mattine mi risveglia con quella luminosità che durante l’inverno avevo imparato a dimenticare. È nel volo delle rondini che sono tornate.
Io, invece, sento che in questo momento la mia vita non si realizza in un posto lontano da quello in cui mi trovo. Non sogno un altro spazio, un altro paesaggio, un altro clima. Non voglio altri volti intorno a me, desidero esattamente tutto quello che già ho, ciò cui sono abituata. È qui che ho messo le mie radici, è in queste abitudini che ho costruito il senso di ciò che sono. Sento che tutto questo mi fa bene, mi rende migliore. È vero: anch’io poi parto per le vacanze, cerco di esplorare altri territori, ma quando lo faccio, non è mai per un bisogno di fuga. Anzi, più mi allontano e più cerco di riportare nel punto di partenza ciò che vedo e ciò che imparo quando sono da un’altra parte. Non è l’andare via che mi fa stare bene, bensì l’esatto contrario: tornare dopo che sono andata via.
Nel passaggio dall’inverno alla primavera, quest’anno ho sentito che non era solo ciò che stava fuori di me a trasformarsi, era anche il mio mondo interiore a definirsi in un modo nuovo. È come se il sole che sta invadendo tutto stia sciogliendo anche una corazza di ghiaccio, all’interno della quale stava nascosta un’altra me stessa. Una mia identità che da sempre ha convissuto con me, senza mostrarsi mai in modo pieno, facendo capolino di tanto in tanto.
All’improvviso, quest’anno, per la prima volta, io riesco a vedere quella parte di me alla quale non avevo ancora avuto accesso. La trovo mentre mi guardo allo specchio, mentre compilo il diario di queste settimane e racconto in queste righe chi sono e cosa desidero oggi per la mia vita. È davvero strano: perché fino a oggi avevo tenuto in silenzio questa parte di me. Non le avevo dato parola. L’avevo percepita molte volte, desiderosa di emergere e di risalire in superficie da una profondità nascosta, ma poi la ributtavo giù. Gli impegni di lavoro, la fretta, l’amore per il mio uomo così solido, così rassicurante, così potente. Cos’altro avrei potuto desiderare dalla vita? Bloccavo ogni risposta che non andava nella direzione del già noto.
Lavoro, amore, impegni… in estate vacanze e relax. Tutto questo mi bastava. Ma ora sento che tutto questo fa parte di un lungo inverno che ha tenuto in letargo una parte di me che ora emerge con forza e che ha bisogno di aria, di sole, di fiori. Di quegli odori, profumi, suoni e colori che ogni pomeriggio vado a cercare quando cammino nella natura, quando chiedo al sole di sciogliere le zone di ghiaccio da cui sento a volte partire stilettate colme di domande e di dubbio. Chi sono davvero io? Che cosa voglio? Qual è quella zona della mia vita che ancora non conosco e di cui sono alla ricerca?
Come ogni anno, anche adesso la primavera fa germogliare tutto. Vedo e sento nelle persone che ho intorno desideri ed emozioni che erano rimasti nascosti sotto il peso del ghiaccio, dentro la cortina del freddo. E vedo e sento dentro di me un desiderio che è fatto di una sola immagine: un figlio che abiti il mio corpo e la mia vita. D’ora in poi. Per sempre.
Il momento del test
Sono giorni che ci penso. Penso alla possibilità che in quel pomeriggio di marzo il nostro amore possa aver concepito un figlio. Me ne ero accorta mentre ti stringevo e lasciavo che il mio corpo diventasse oceano in cui tu facevi rollare la nave del tuo desiderio. Mi ero accorta che in quel momento non stavamo solo facendo l’amore. Noi stavamo letteralmente creando l’amore, generando qualcosa che andava al di là del mio e del tuo corpo, del mio e del tuo piacere. Quel giorno ho sentito che stava succedendo tutto.
Ma nel silenzio che è seguito a quegli istanti impregnati di eternità, non ho avuto il coraggio di dirti ciò che sentivo. Forse avevo paura di parlare di nuovo con te di un figlio. Forse avevo paura di parlarne a me stessa, prima ancora che con te. Però da quel giorno io ho sentito la vita entrare nel mio corpo, espandersi dappertutto. Mi svegliavo al mattino con questa idea al centro della mente e del cuore. Sentivo che io ero vita che conteneva vita. Vita, vita, vita: una parola così corta, fatta di sole quattro lettere che al loro interno nascondono tutto il mistero del nostro esistere. Se c’è una cosa che ho imparato con la maturità, è che nel piccolissimo si nasconde la traccia di un immenso di cui noi tutti siamo alla ricerca.
Per esempio: in questo momento ho in mano un test di gravidanza. L’ho acquistato senza dirti null...