L'illusione di osservare
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L'illusione di osservare

Riflessioni psicoanalitiche sull'incidenza del soggetto nel processo conoscitivo

Franco Borgogno

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L'illusione di osservare

Riflessioni psicoanalitiche sull'incidenza del soggetto nel processo conoscitivo

Franco Borgogno

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«La concezione del mondo nei Greci, nel Rinascimento e nella fisica classica fino ai tempi più recenti è dunque quella di una natura statica e costante.... siffatta concezione del mondo subisce un radicale mutamento con Freud e Einstein. Colconcetto di "inconscio" e quello di "relatività" la realtà diviene fondamentalmente mutevole e soggetta a trasformazione, sì che non la si può cogliere mai interamente e completamente. L'oggetto di conoscenza, di converso, non è più considerato come indipendente dal soggetto che lo conosce, bensì come il prodotto di un' intima relazione tra lo scienziato è il fatto osservato....»

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Information

Year
2020
ISBN
9788878858398

IL SÉ E L’OGGETTO
ALL’INTERNO DEL PENSIERO SCIENTIFICO

Il soggetto dimenticato dalla scienza

Le problematiche attuali connesse al campo dell’osservazione introducono sempre più la realtà del limite nella pretesa scientifica, svelando al contempo la matrice creativa di ogni conoscenza.
Il compimento di tale trasformazione epistemologica risale alla rivoluzione scientifica del xx secolo, la sua genesi all’evoluzione conoscitiva dell’uomo.
Già con Bacone, ad esempio, l’osservazione perdeva il suo carattere passivo per farsi attiva insieme all’esperimento. Non si “classificava” più l’oggetto di conoscenza, ma gli si “ponevano domande”. La concezione della realtà sottostante era statica, non diversamente dai tempi di Aristotele: vale a dire che lo scienziato sperimentava sull’oggetto di studio, ma questo era considerato immutabile ed eterno. L’attività era così ristretta e limitata all’esperimento, in quanto nulla in fin dei conti veniva creato ma tutto scoperto. Nelle parole di Hutten (1962, tr. it. 1972) la realtà era la “roccia”, su cui la scienza appoggiava le sue fondamenta, una roccia con aspetti nascosti ma sempre passibili d’essere rinvenuti e studiati. Il metodo era induttivo, contrariamente a quello in­tui­tivo dimostrativo prescelto da Aristotele nel versante scientifico, ma la natura era in entrambi i periodi storici supposta contenere ogni cosa per cui compito dell’osservatore era ritenuto il mero descriverla o il rinvenirne e il dedurne le regolarità e le leggi. Il dilemma epistemologico oscillava tutt’al più fra “una mente vuota nel suo interno e una legge e un ordine al di fuori dell’uomo o una mente piena di idee ed il caos nella natura” (Hutten 1962, tr. it. 1972). Non v’era alternativa nel processo di conoscenza se non nel senso di un predominio del Sé sull’oggetto o viceversa.
Il mondo di Bacone e quello rinascimentale differivano precipuamente dal mondo greco per un aumento di complessità concesso all’oggetto reale e per il tentativo maggiormente attivo da parte dell’uomo nello sviscerare le profondità della natura. Nel postulato baconiano maior est vis instantiae negativae la differenza acquisiva infatti importanza accanto alla simiglianza, ma nonostante la maggiore articolazione concessa alla realtà quest’ultima rimaneva statica e invariata e quindi conoscibile, per come essa è e si manifesta, tramite regole e norme precise. Se per Bacone l’induzione permetteva la determinazione della “forma della cosa naturale”, per Aristotele era il sillogismo a permettere all’uomo di cogliere la “sostanza”. La “forma” di Bacone non era però altro che la “sostanza” di Aristotele.
Con Galileo e Newton, fautori del primo grande mutamento scientifico, l’osservazione diviene sempre più un esperimento alla cui base stanno le ipotesi e la loro verifica.
L’ideale scientifico del tempo non si discosta comunque molto da quello della filosofia greca, pur essendo eluso il ricorso a una Causa Prima.
Per essere precisi una maggiore mobilità è concessa all’oggetto di conoscenza: ad essa corrisponde tuttavia un rigido determinismo. Il mondo esterno continua a essere ritenuto sostanzialmente immobile e permanente, completamente determinato nei suoi processi e totalmente costituito nella sua interezza indipendentemente dall’uomo. Gli eventi si succedono con ferrea necessità nello spazio e nel tempo e all’uomo non resta che la fatica di conoscerli. La rigida causalità, sottostante alla concezione del mondo quale perfetto meccanismo o preciso orologio, se limita per certi versi la libertà dell’uomo, lo protegge e lo rassicura al contempo sulle sue possibilità epistemofiliche. La realtà è totalmente fuori dall’uomo e ne prescinde. Ciò nonostante la rigidità delle sue regole e delle sue leggi ne permette la previsione e il controllo. L’induzione, che da perfetta era divenuta con Bacone incompleta, tale rimane e con il passare dei secoli si trasforma sempre più in probabilistica. La matematica, il numero rassicurano però l’uomo nel suo intento conoscitivo, in quanto con la loro “certezza” possono cambiare l’ignoranza in verità. Con Galileo, Keplero e Newton la conoscenza diviene pertanto certa e oggettiva, come mai prima era stata, ed il mondo un “universo di particelle indistruttibili che si muovono secondo una legge inesorabile che determina un futuro calcolabile con precisione illimitata” (Hutten 1976, tr. it. 1976).
La concezione del mondo nei Greci, nel Rinascimento e nella fisica classica fino ai tempi più recenti è dunque quella di una “natura statica e costante”. Vale a dire che se con l’evoluzione scientifica la realtà cambia di complessità, essa permane perenne e immodificabile. L’atto dello scienziato non è più nella fisica classica, come nei tempi precedenti, descrittivo e classificatorio ma neppure si trasforma in creativo e immaginativo, se non nell’accezione di essere “scoperta di fatti, già presenti in natura”, ed essenzialmente attività nel “laboratorio sperimentale”. I dogmi sempre più vengono sostituiti dai controlli e dalle verifiche, nulla è però riconosciuto come immesso dall’uomo nella realtà. La conoscenza diviene maggiormente astratta e non più legata al senso comune e all’“evidenza degli occhi”. All’astrazione si fa comunque corrispondere la struttura naturale dell’oggetto. Le peculiarità, fissate nel flusso sempre mutevole dei fenomeni, divengono con il progresso della fisica la permanenza, la solidità, la forma e la ripetizione della struttura. Il processo scientifico sfocia così in un’idealizzazione che garantisce all’uomo la certezza delle sue conoscenze. L’atomismo degli Ionici si ripete pertanto nelle teorie fisiche classiche nella fede di poter disporre di tutto l’universo in “solidi pezzi isolati di materia” prevedibili e controllabili. Ciò che tuttavia venne dimenticato in questa evoluzione fu l’uomo. Scrive Hutten (Hutten 1976, tr. it. 1976): “Dai cieli più remoti fino al centro della terra, ogni cosa obbediva alle leggi di Newton: ogni movimento, sia dei pianeti o delle maree o della mela cadente, fu ridotto a quello di un invisibile punto materiale. Fu la vittoria della fredda astrazione sulla calda pienezza dell’esperienza…”.

Il recupero del soggetto: l’inconscio e la relatività

Siffatta concezione del mondo subisce un radicale mutamento con Freud ed Einstein. Col concetto di “inconscio” e quello di “relatività” la realtà diviene fondamentalmente mutevole e soggetta a trasformazione, sì che non la si può cogliere mai interamente e completamente. L’oggetto di conoscenza, di converso, non è più considerato come indipendente dal soggetto che lo conosce, bensì come prodotto di un’intima relazione fra lo scienziato e il fatto osservato. La scienza inizia così a contemplare al suo interno la trasformazione, come suo precipuo paradigma, e l’interazione come sua caratteristica vicenda genetica. Ne consegue che l’osservazione non può più essere rite...

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