Le radici, le storie infinite
Questo libro non è solo per chi ha una passione (parola assai abusata in questi anni) piccola o grande, incerta o consolidata, per le serie tv: il mio intento è trasformare la passione in competenza, conoscenza, gusto, cultura critica. È molto probabile, quasi certo, che l’attrazione da parte di molti (giovani e no) verso le serie tv non corrisponda a un reale interesse per la televisione lineare in generale, per i programmi televisivi veri e propri, ma ad altri due fattori paralleli e complementari, non per forza dipendenti uno dall’altro:
- Il radicale cambiamento dei canali della distribuzione e quindi della fruizione dei prodotti mediali seriali, in particolare l’affermazione dei siti di streaming video, che hanno permesso e permettono la visione dei prodotti seriali in tempi sganciati dalla normale programmazione televisiva e su una vasta gamma di supporti, che permettono la fruizione sostanzialmente sempre e ovunque. In altre parole: la nuova golden age delle serie televisive è uno degli effetti mediatici più eclatanti della rivoluzione digitale, che in qualche misura si è affermata nel nuovo millennio.
- Il La crescita esponenziale della qualità (e anche della quantità) della serialità televisiva negli ultimi vent’anni anni, la cosiddetta “trasformazione cinematografica” delle serie, anche se questo può risultare riduttivo perché è ormai sul terreno della serialità che più si sperimenta e si osa, in termini sia di ibridazioni di generi e stili sia di complessità narrativa, complessità che è possibile solo nel racconto lungo delle serie.
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Il punto è proprio questo: la generazione degli iGen (dei Post-Millennial, Centennial, Zoomer) segue e si appassiona a “programmi televisivi” che non sente e non vive come tali e a ragione, perché, in fondo, l’origine propriamente televisiva si sta perdendo, non solo per il quasi completo sganciamento dai palinsesti, ma anche per il cambiamento della programmazione delle televisione lineare. Da anni, ormai, guardare una serie televisiva non vuol dire accendere la televisione. Per questo è necessario focalizzare l’attenzione su questa nuova età dell’oro – o come altro la si voglia chiamare – per non subirla soltanto, ma per entrarci dentro con la complicata consapevolezza che una materia così articolata richiede.
Che si stia vivendo una vera golden age non ci sono dubbi: molti la considerano la terza della breve vita della tv, quando si consideri che la prima era stata l’esplosione di creatività agli esordi del medium (grosso modo i ’50), quando il pubblico era ristretto, più selezionato e più colto (anche per motivi di classe) e la seconda un breve periodo di eccellenza dei network statunitensi verificatosi durante gli anni Ottanta.
Come dice Brett Martin, aver già avuto ben tre età dell’oro è: … un ottimo risultato per un medium considerato, in termini qualitativi, leggermente inferiore alle strisce a fumetti sui quotidiani e appena superiore agli opuscoli religiosi.
Bisogna innanzitutto precisare quanto segue: il mondo delle serie televisive ha una lunghissima storia, che precede la televisione stessa; ma solo negli ultimi anni ha raggiunto un alto grado di qualità produttiva e di sperimentazione narrativa, passando da oggetto di studio massmediatico di secondo livello, legato per molti versi dagli studi sulla televisione (i cosiddetti media studies), a snodo cruciale di ogni ricerca e approfondimento sui temi della narratività (storytelling), delle comunicazioni di massa e della transmedialità, accostandosi quindi allo storico e consolidato campo di studi cinematografici.
Semplificando: la nascita e la diffusione di internet, del digitale e dei new media hanno trasformato le modalità di fruizione di tutta la comunicazione di massa e della relativa cultura di massa in cui la narratività (lo storytelling) e il racconto seriale televisivo sono pilastri fondanti.
Come suggerisce Alessandro Baricco nel suo The Game (2015), possiamo collocare l’inizio di questa nuova era il 22 settembre 2004 (lo stesso anno in cui nasce Facebook) quando in USA va in onda sulla rete statunitense generalista ABC la prima puntata di Lost. La vedono quasi venti milioni di statunitensi. Perché Lost? Perché probabilmente rappresenta il momento in cui la “forma narrativa” proposta nella serie appare e poi non scompare più. Le serie televisive si rivelano un caso interessante di matrimonio tra un vecchio medium, la televisione, e un nuovo medium, i computer, la rete.
Baricco: Il loro accecante successo planetario non si spiega se non ricorrendo al codice genetico dell’insurrezione digitale, di cui le serie sono la più riuscita espressione artistica.
Il passaggio dal cinema alle serie tv è l’esempio più chiaro di una transizione generazionale: le serie tv sono una sorta di cinema nativo digitale, un animale nuovo, geneticamente compatibile con l...