La camera di Henriette
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La camera di Henriette

Schizzi, mappe e disegni di paesaggi identitari

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La camera di Henriette

Schizzi, mappe e disegni di paesaggi identitari

About this book

"La camera di Henriette" è la dicitura a penna con cui Stendhal, nell'autobiografia Vita di Henri Brulard, correda lo schizzo della camera della madre. In questo disegno, lo scrittore stesso compare, bambino, mentre un'invisibile madre "agile come una cerbiatta" vola sopra di lui per raggiungere il proprio letto. I disegni dei luoghi dell'infanzia, siano essi fatti da un grande scrittore o da persone comuni, come quelli che abbiamo raccolto in anni di ricerca, restituiscono qualcosa che non ha eguali, una sorta di luogo-madre, analogo alla lingua madre, destinato a fissarsi, come in sovraimpressione, su tutti i paesaggi che attraverseremo nel resto della nostra vita. Anzi, forse non faremo che rimanervi, nell'illusoria credenza di abbandonarlo.

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Capitolo primo
I luoghi dell’infanzia negli schizzi di Stendhal
Nella celebre ed estremamente dettagliata ricognizione degli anni infantili che troviamo ne La lingua salvata. Storia di una giovinezza di Elias Canetti (1977), il narratore dice:
Il piacere dello schizzo topografico al quale Stendhal si abbandona con mano leggera nel suo Henri Brulard è un dono che non mi è stato concesso, e con mio grande rammarico sono sempre stato un pessimo disegnatore. Così non mi resta altro che descrivere brevemente in qual modo erano sistemate le case all’interno del nostro cortile a giardino a Rustschuk. (p. 23 della tr. it.)
“Non mi resta altro” suggerisce una sorta di incompiutezza della descrizione verbale. La letteratura, arte fatta per eccellenza di solo linguaggio verbale, dimostra qui un anelito verso altri linguaggi, alla ricerca di nuove risorse, e nella fattispecie un’invidia verso la rappresentazione visiva, sia pure sotto forma di schizzo. Il disegno appare a Canetti più potente e adeguato a rendere non tanto i dettagli di una scena infantile quanto la sua topografia. La spazializzazione, come procedura costituiva del discorso narrativo, si può appoggiare o meno a diversi dispositivi di raffigurazione visiva. Canetti rinuncia a questa risorsa e procede con una descrizione verbale della sua casa d’infanzia, ancorché fortemente dettagliata e incentrata sulle dimensioni e sulle relazioni spaziali fra i vari elementi. Quando la leggiamo, abbiamo infatti la sensazione di guardare una foto o addirittura una mappa:
Entrando per il grande cancello che dalla strada immetteva nel cortile, subito a destra c’era la casa del nonno Canetti. Aveva un aspetto più imponente delle altre ed era anche più alta. Ma non saprei dire ora se avesse un piano superiore, contrariamente alle altre case, che erano a un solo piano. Comunque dava l’impressione di essere più alta, perché per arrivarci c’erano dei gradini. Era anche più luminosa di tutte le altre, forse era intonacata di un colore più chiaro.
Di fronte, a sinistra del cancello di ingresso, c’era la casa in cui abitava la sorella maggiore di mio padre, la zia Sophia, con il marito Nathan […]. Accanto a questa casa, sulla stessa linea, sempre sul lato sinistro del cortile, c’era la nostra, uguale nell’aspetto a quella dello zio. A entrambe si arrivava salendo alcuni gradini che in alto finivano in una specie di piattaforma larga quanto ognuna delle case.
Il cortile a giardino che si estendeva tra le tre costruzioni era molto grande, e di fronte a noi, non proprio nel mezzo, ma un po’ di lato, c’era il pozzo per attingere l’acqua […]. Dietro il pozzo, separato dal cortile per mezzo di una siepe, c’era il frutteto. […] Solo il lato più breve della nostra casa si affacciava sul cortile a giardino; la costruzione però si estendeva parecchio verso il dietro, e sebbene non avesse che il pianterreno, la ricordo come una casa molto spaziosa. Partendo dall’estremità del cortile, si poteva fare il giro della casa seguendone il lato più lungo e allora si capitava dietro, in un cortiletto più piccolo, sul quale si affacciava la cucina.1
Il soggetto dell’enunciazione suddivide inoltre questo spazio primigenio in un dentro e in un fuori, inserendo nella descrizione un limite ben preciso costituito fisicamente da un cancello e narrativamente da un divieto:
La strada davanti al cancello grande del nostro cortile era polverosa e sonnolenta. Quando pioveva forte si trasformava in un pantano in cui le carrozze lasciavano solchi profondi. Non avevo il permesso di giocare sulla strada, nel cortile c’era spazio in abbondanza e si era al sicuro. (op. cit., p. 19 tr. it.)
Oltre questo cancello avvenivano cose che non potevano appartenere alla vita della famiglia, come la gazzarra dei monelli o il cencioso corteo settimanale degli zingari che facevano la questua tra le case dei più abbienti. Che la norma fosse introiettata è sottolineato dal discorso indiretto libero in cui l’io del narratore si rende indistinto da quello delle autorità parentali che spiegano le ragioni del divieto di uscire dal cancello (“nel cortile c’era spazio in abbondanza e si era al sicuro”). Trattandosi di epoche infantili, le figura d’autorità hanno sempre molta importanza, spesso “regnano”, per così dire, in questi spazi, a volte anche solo come sguardo di sorveglianza inscritto nel disegno. Lo vedremo anche in Stendhal verso il quale, come si è detto, Canetti prova una forma di invidia nonostante gli schizzi dello scrittore francese siano piuttosto frettolosi nel citato Vie de Henri Brulard. La descrizione di Canetti del proprio luogo d’origine si sforza di essere una “mappa a parole”: non c’è nessuna ragione narrativa che porti a specificare, per esempio, “di fronte a noi, non proprio nel mezzo, ma un po’ di lato, c’era il pozzo per attingere l’acqua”. È evidente che la precisione rimemorativa trova in sé il suo valore, che è quello di una presentificazione affettiva, così importante in molte delle mappe dei luoghi dell’infanzia che vedremo nel corso di tutto questo libro.
In fondo non è così diverso da quel “mettere ordine”, tramite ancoraggi spaziali, a cui fa riferimento il narratore di Sylvie di Gérard de Nerval2 quando, in carrozza nottetempo verso il Valois della sua infanzia, dice:
Passato Louvres c’è una strada costeggiata di meli, di cui molte volte ho visto i fiori sbocciare nella notte come stelle della terra: era la via più breve per raggiungere i villaggi. – Mentre la carrozza sale per le pendici, ricomponiamo i ricordi del tempo in cui vi venivo così sovente.3
Questo racconto è stato oggetto di varie analisi semiotiche a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Umberto Eco ad esempio vi è tornato a più riprese4 sentendo l’esigenza, alla fine degli anni Novanta, di farne una propria traduzione italiana. In tutte queste letture, quello che è emerso costantemente è un “effetto nebbia” prodotto dal racconto, e in particolare Eco ha messo bene in luce come non siano solo le collocazioni temporali ma anche i luoghi e gli itinerari, veri o presunti, del protagonista, a essere abbastanza confusi. A ogni viaggio, “Jerard”, come Eco chiama il narratore-protagonista di Sylvie, “non fa altro che girare in tondo (come...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. Capitolo primo I luoghi dell’infanzia negli schizzi di Stendhal
  3. Capitolo secondo Isole, arcipelaghi, migrazioni
  4. Capitolo terzo Utopie e distopie dei luoghi identitari
  5. Capitolo quarto Monumenti e catastrofi
  6. Capitolo quinto In forma di conclusioni: le passioni dei luoghi d’origine