La coscienza del paesaggio
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Armando Dillon e la tutela in Liguria

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La coscienza del paesaggio

Armando Dillon e la tutela in Liguria

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Per il paesaggio gli anni Cinquanta sono anni di attesa e di lotta. La legge 1497 del 1939 sulle bellezze naturali, offriva all'Italia repubblicana una concezione del paesaggio come nesso inscindibile di natura e storia, e introduceva l'idea della pianificazione paesaggistica. Ma nell'Italia della speculazione edilizia e della nascita del turismo di massa la tutela del paesaggio è tutt'altro che pacifica. In pochi anni l'assalto al territorio appare in tutta la sua evidenza. Solo pochi sembrano consapevoli di quello che sta accadendo: Armando Dillon è tra questi. Soprintendente ai Monumenti della Liguria dal 1955 al 1964, la sua storia racconta il tentativo di molti intellettuali italiani, impegnati per garantire un altro futuro al paesaggio italiano.

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Information

1.

LA LEGGE SULLA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI ALLA PROVA DEL MIRACOLO ECONOMICO

L’Italia repubblicana, appena uscita dalla guerra di liberazione con una nuova Costituzione, può contare sulla presenza del paesaggio tra i principi costituzionali fondamentali grazie al ben noto articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Può contare inoltre su una legge dedicata alla “Protezione delle bellezze naturali” ben strutturata e dotata persino di un regolamento di attuazione niente affatto scontato. La legge n.1497 del 29 giugno 1939 si presenta come il risultato di una riflessione che vede una sostanziale continuità di presupposti e principi con la legge di tutela precedente, la n. 778 del 1922 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, a sua volta debitrice dei dibattiti attorno alla legge n. 688 del 1912, voluta da Corrado Ricci allora direttore generale nel Ministero della Pubblica Istruzione, che aveva stabilito che le disposizioni della legge di tutela dei monumenti, la n. 364 del 1909, si applicassero anche alle ville, ai parchi e ai giardini che avessero interesse storico o artistico. Ancora non si parlava di un legame tra interesse pubblico e bellezza naturale. Il concetto si affaccia però nelle proposte di Giovanni Rosadi ripetutamente elaborate e presentate dal 1910 in avanti1. Il dibattito intorno ai suoi disegni di legge aveva stimolato e in qualche modo fatto venire alla luce un vasto movimento di opinione che si collegava a quanto stava avvenendo in quasi tutta l’Europa occidentale per la protezione del paesaggio o della natura2. Le sue parole rendono l’idea del sentimento che muoveva quegli intellettuali: “È possibile che il Parlamento rimanga insensibile e inerte, quasi non si accorga neppure che si sente e si agita anche in Italia, e più in Italia che dappertutto, una questione del paesaggio?”3 Assistiamo all’evoluzione e alla progressiva affermazione di una ben precisa sensibilità che merita di essere sottolineata: una presa di coscienza della natura storica e costruita del paesaggio, frutto del rapporto tra natura e cultura, che deve la sua sopravvivenza all’equilibrio tra interesse pubblico e proprietà privata. Il paesaggio insomma vi appare già con caratteri ben diversi dal semplice pittoresco legato alla visione di quadri naturali e vedute, che sono semplicemente il tramite della sua fruizione.
La relazione introduttiva presentata da Benedetto Croce al Senato il 25 settembre del 1920 per dare inizio all’iter parlamentare di approvazione di quella che sarà la legge n. 778 dell’11 giugno 1922, rappresenta il testo cardine di una svolta politica e il culmine di un lungo processo che aveva mobilitato associazioni, politici, giornali e opinione pubblica4. Croce parla di una legge che “ponga, finalmente, un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo” con l’idea di “mettere in valore” le bellezze naturali e artistiche, la qual cosa rispondeva ad “alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia”. L’idea di messa in valore è estremamente significativa e la ritroveremo successivamente in molti autori, a comprovare come la tutela non venisse affatto intesa come una statica conservazione dell’esistente e dei suoi caratteri esteriori.
Quella stessa sensibilità, unita alla sensazione di aver bisogno di strumenti legislativi più adeguati, emerge dagli atti del Convegno dei Soprintendenti del 1938. La relazione sul paesaggio, ad opera del soprintendente dell’Umbria Achille Bertini Calosso, evidenzia senza mezzi termini la necessità di una maggiore efficacia e di un maggior raccordo tra gli enti impegnati nella tutela5. Nella discussione che segue, Gustavo Giovannoni commenta severamente la richiesta di ridurre il potere dei soprintendenti avanzata dal rappresentante del sindacato dei proprietari. La tutela non significa affatto immobilità, semmai affermazione di un più grande interesse pubblico: quello di “mantenere il volto dell’Italia”. Devono essere poi i necessari piani regolatori paesistici a guidare la fabbricazione e ad impedire il danno che potrebbe derivare da architetture disegnate senza tenere conto del paesaggio, da casoni, alte torri o “villini regolarmente ripartiti come dadi”6.
Giovannoni sarà designato da Bottai a capo della commissione legislativa incaricata di scrivere la nuova legge e il ministro riprenderà largamente nella propria relazione introduttiva le idee emerse dagli studi di quella commissione, insistendo sulle imperfezioni della legge del 1922, troppo sommaria nella definizione dell’oggetto di tutela, con procedure non ben definite e soprattutto priva di un coordinamento in tema di piani regolatori tra il Ministero dell’Educazione Nazionale e quello dei Lavori Pubblici. Lo scopo della nuova legge espressamente dichiarato è allargare il campo della protezione delle bellezze naturali stabilendo norme più efficaci per il contemperamento delle esigenze private con gli interessi pubblici, che nella concezione fascista del diritto di proprietà sono prioritari, mentre la legge precedente rifletteva ancora la preoccupazione di non urtare troppo gli interessi privati.

1.1 La cultura della tutela e la protezione delle bellezze naturali

La sensibilità e gli obiettivi che guidavano quelle riflessioni li ritroviamo nel testo che un giovane soprintendente napoletano, Armando Dillon, darà alle stampe nel 1942, ancora nel pieno del dibattito che aveva portato al varo della legge del 1939.
Quando pubblica La tutela delle bellezze naturali Dillon ha appena sostituito Piero Gazzola nella carica di Soprintendente ai Monumenti per la Sicilia orientale, ha 36 anni ed è entrato nei ruoli del Ministero dell’Educazione Nazionale solo cinque anni prima7. Prima di lui sono in pochi quelli che affrontano il tema, quasi tutti esponenti dell’amministrazione delle Belle Arti: Luigi Parpagliolo, Gustavo Giovannoni, Marino Lazzari che scrive un lungo e dettagliato articolo di spiegazione della nuova legge su “Le arti”, il bollettino della Direzione generale che presiedeva, Piero Gazzola, Gino Bacchetti e infine Michele De Tomasso8.
Il testo viene presentato come un opuscolo destinato a contenere indicazioni dall’esclusivo valore pratico e manualistico sui contenuti della legge e del suo regolamento di attuazione, ad uso delle commissioni provinciali per il paesaggio e degli uffici pubblici, ma il saggio di apertura, a cui Dillon dà il significativo titolo di “Invito al lavoro”, è un vero e proprio “invito all’azione di tutela di cui la legge è un’arma”. Si apre con un sintetico racconto di quanto accaduto negli anni e con le leggi precedenti e di come queste abbiano aperto la strada alla legge attuale. Il saggio diviene presto occasione per una presa di posizione e una indicazione di metodo, che ci permette di gettare uno sguardo sul contesto culturale in cui si stava cercando di applicare la nuova tutela.
Fin dai primi anni del secolo – ricorda Dillon – artisti, studiosi, patrioti e alte personalità della politica invocavano l’ausilio delle leggi in difesa delle bellezze d’Italia contro l’insensibilità, la speculazione, gli interessi privati minacciati e il concetto di proprietà, ma anche contro il “vuoto parlamentarismo delle Camere” e la scarsa conoscenza delle disposizioni legislative già emanate9. La legge del 1922 era stata un passo in avanti fondamentale, anche se:
Mancavano in essa norme procedurali per il riconoscimento delle bellezze da proteggere, come mancava la possibilità di difendere i punti di vista o di belvedere donde poteva essere goduto lo spettacolo delle bellezze panoramiche; mancava la possibilità di un’intesa con gli uffici competenti nell’elaborazione dei piani regolatori e di ampliamento.10
La legge voluta da Bottai cercava di risolvere questi problemi, sostanziali per l’applicazione dei principi di tutela, ma si inseriva anche in una visione culturale nuova11.
Sono particolarmente interessanti le parole dell’allora direttore generale delle Antichità e Belle Arti, Marino Lazzari. In Il ‘nostro’ paesaggio12 Lazzari scrive che il paesaggio va tutelato non perché susciti facili inconcludenti commozioni o rappresenti un’attrattiva turistica, bensì perché è un dato essenziale di una civiltà, che nasce modellato dalla storia e non è un risultato fortuito o divino. Lazzari esclude in un sol colpo una serie di caratteri che vengono attribuiti al paesaggio dalla visione più tradizionalista e nostalgica. La tutela nella sua visione non può essere passiva conservazione, perché “è impossibile pensare un paesaggio che non abbia lentamente subito l’azione dell’operosità umana […] non è dunque il paesaggio in astratto, scenario immobile del dramma umano perennemente vario, che noi ci proponiamo di tutelare, ma il paesaggio del nostro tempo”, che fa i conti con il lavoro umano e soprattutto con la contemporanea economia industriale. Perciò - continua - “il paesaggio da tutelare non è solo quello che ci offre la natura indomita e vergine […] ma tutto il paesaggio d’Italia, con i segni del lavoro umano, con le sue reti di strade, con i suoi paesi, le sue opere di bonifica e di sfruttamento agricolo o industriale”. Scriverà in “Interpretazione e difesa del paesaggio”, che introduce il testo di commento alla nuova legge scritto da Michele De Tomasso nel 1940, che “nessuno può ragionevolmente proporsi di conservare inalterato l’aspetto del paesaggio italiano, d’interrompere ad un tratto quel processo di modificazione che dura da secoli, né di ristabilire un determinato momento di quello sviluppo ed assumerlo come definitivo per l’eternità”13.
Lazzari sostiene inoltre l’idea che governare il processo di modificazione di un paesaggio così inteso necessiti della relazione che deve esistere tra tutela paesistica e urbanistica, dove “il rapporto tra una sistemazione urbanistica e il paesaggio è analogo, in forza della correlazione esistente tra il singolo edificio il complesso urbano, al rapporto esistente tra un monumento e lo spazio paesistico che lo circonda”. Da questa concezione della tutela nascono i piani regolatori paesistici della nuova legge “che devono essere posti all’insegna di una tutela non più statica e conservativa, ma affiancata al naturale processo di mutamento e sviluppo del paesaggio”14. Quello della pianificazione è senza dubbio il punto più importante e innovativo, mosso dall’idea che la tutela di aree vaste non possa essere la loro invariabilità, scopo che appariva non solo non raggiungibile, ma anche non desiderabile15.
Il regolamento di attuazione della legge n. 1497 del 1939, emanato con Regio Decreto 3 giugno 1940 n. 1357, spesso dimenticato da vari commentatori, è fondamentale per capire le logiche della legge e deve essere letto insieme con questa. Parlando di concordanza e fusione tra l’espressione della natura e quella del lavoro umano16 chiarisce ad esempio, senza alcun dubbio, l’esistenza di una concezione del paesaggio come nesso inscindibile di natura e opera dell’uomo17.
Il regolamento rende inoltre evidente la coincidenza tra le previsioni dei piani regolatori urbanistici e dei piani territoriali paesistici, perché a questi è demandato di stabilire zone di rispetto intorno alle aree vincolate, il rapporto tra aree libere e aree fabbricabili, le norme per i diversi tipi di costruzione, la distribuzione e l’a...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Circa L’autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. Prefazione
  7. 1. La legge sulla protezione delle bellezze naturali alla prova del miracolo economico
  8. 2. La Liguria tra turismo e speculazione
  9. 3. Tutela del paesaggio e pianificazione nella Liguria di Armando Dillon
  10. Bibliografia cronologica
  11. Elenco delle immagini
  12. Indice dei nomi e dei luoghi
  13. Ringraziamenti
  14. Sustainable Heritage