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SCONFINAMENTI
Blocchi di partenza: il fantastico
âBoundaries, borders and thresholds are always key concepts for any reading of the fantasticâ (Armitt 2000, p. 1). Lâapparente vaghezza di questa considerazione preliminare è il punto di partenza adatto a una riflessione sul fantastico nellâopera di Angela Carter, Jeanette Winterson e Bernardine Evaristo che intende radicarsi nella tradizione consolidata del lavoro critico di Tzvetan Todorov (1975) e Rosemary Jackson (1981), ma anche superare questa soglia per affacciarsi su un orizzonte che collega il discorso sul soggetto evanescente del postmodernismo con il materialismo dellâesperienza incarnata di alcune istanze femministe contemporanee (Alaimo e Hekman 2008).
Il fantastico inteso qui come âmodalitĂ â narrativa (Jackson 1981) è una âdisruptive presenceâ (Armitt 2000, p. 13) sia in ragione del suo carattere âperturbanteâ sia come forza dirompente e rivoluzionaria portatrice di cambiamento tanto negli ingranaggi del testo letterario in sĂŠ quanto nella portata politica della sua risonanza nella contemporaneitĂ del lettore. La chiave di lettura proposta intende dischiudere nuove prospettive analitiche e aprire a risvolti sociali inediti rispetto a testi eversivi ma ormai canonizzati appropriandosi della natura del fantastico, che âoscillates around a narrative site of uncertainty regarding the boundary-points surrounding the real and the imaginaryâ (Ibidem). Lâobiettivo principale è quello di promuovere, da parte del lettore, la capacitĂ di travalicare le classificazioni e le dicotomie tradizionali (una fra tutte, quella tra linguaggio e realtĂ promossa dal paradigma postmoderno â Hekman 2008, p. 86) e di conseguenza arrivare ad ammettere la possibilitĂ di un soggetto plurale, instabile, in divenire, radicato in un corpo a sua volta dai contorni sfumati, ma irrimediabilmente materiale (e materializzato). In altre parole, cosĂŹ come il fantastico incorpora la convivenza di istanze allâapparenza contraddittorie, il carattere (deliberatamente) metaforico, evocativo, eccentrico, eccessivo e stravagante dei romanzi presi in esame non impedisce il loro radicamento in una dimensione materiale che acquista una carica politica importante, non solo in relazione al contesto di produzione, ma anche e soprattutto nella contemporaneitĂ ipermoderna in cui essi rivivono. Per codificare un nuovo paradigma che consenta di rileggere questi testi in modo inedito e produttivo, allo sgretolarsi dei concetti di âsogliaâ, âconfineâ, âlimiteâ che dĂ il via libera alla circolazione, allâibridazione, alla contaminazione, deve aggiungersi quello di âlongingâ, ossia un desiderio inappagato che impone lo âspingersi oltreâ, rendendo la dissoluzione di bordi, margini, demarcazioni unâoperazione attiva, espressione di deliberazione, agency, e, in ultima analisi, atto di ribellione e liberazione realizzato proprio attraverso lâidentificazione con la marginalitĂ e lâambiguitĂ di corpi anomali.
Tutti e tre i romanzi oggetto dâanalisi (Nights at the Circus, 1984, The Passion 1987 e Blonde Roots 2009) presentano elementi (strutture, personaggi, atmosfere, effetti) tipici della modalitĂ del fantastico, e, come si vedrĂ , si sono in varia misura studiati secondo i parametri di questa cornice testuale. Allo stesso modo, e per unâaltra serie di caratteristiche narrative e discorsive tipiche e comuni, testi e autrici sono stati spesso avvicinati da una prospettiva postmoderna, che ha generalmente finito per qualificarli (soprattutto nel caso di Winterson) in maniera piuttosto distintiva. In questa sede, entrambe le istanze (fantastico e postmoderno) verranno prese in considerazione, in particolare alla luce della comune problematizzazione e manipolazione del discorso storico. Questâultimo diventa infatti centrale per Rosemary Jackson nella sua riformulazione dellâapproccio di Tzvetan Todorov al fantastico, soprattutto in ragione della necessitĂ di rendere conto della collocazione e delle ripercussioni storiche di quello che lo studioso considerava un âgenere letterarioâ (Jackson 1981, pp. 26-27). Allo stesso modo, Linda Hutcheon (1988) pone al centro della propria disamina della poetica postmoderna la strategia narrativa che chiama âhistoriographic metafictionâ, che ben si adatta a descrivere le scelte retoriche e stilistiche (seppur con le dovute distinzioni) delle autrici, che restituiscono la prerogativa della narrazione storica a personaggi marginali e trascurabili, e cosĂŹ facendo mettono in discussione e riscrivono la Storia nel senso in cui Lyotard la intendeva, ossia come âmeta-narrazioneâ (Lyotard 1979), costruzione discorsiva ufficiale ed egemonica. Proprio questâultimo aspetto consente di ricongiungere la dimensione poetica con quella politica: la restituzione della voce, dello sguardo e in generale del controllo della narrazione (ossia la selezione dei fatti, la prospettiva, il taglio e le modalitĂ espressive) a personaggi considerati di norma marginali è il punto di partenza per prefigurare e di riflesso auspicare unâaltra serie di cambiamenti e sconvolgimenti che passano attraverso la rappresentazione di corpi femminili âoltre la normaâ (De Zordo 2004). Lâoperazione messa in atto, con modalitĂ ed esiti in parte differenti, dalle tre autrici potrebbe dunque essere definita come una sorta di sintesi produttiva tra un discorso postmoderno che si avvale della, o addirittura si fonda sulla, poetica del fantastico per rivendicare ed esaltare la materialitĂ di corpi femminili trasgressivi e indocili, che con la loro presenza disturbante sfidano e minano consuetudini, stereotipi e pratiche oppressive consolidate. In questo modo, le storie, le esperienze, le voci, ma soprattutto i corpi di Fevvers, Villanelle e Doris superano la tendenza discorsiva postmoderna, che âfocusing exclusively on representation, ideology and discourse excludes lived experience, corporeal practice and biological substance from considerationâ (Alaimo e Hekman 2008, p. 4). Al contrario, essi riportano al centro la sostanza biologica (oltre che la portata simbolica) dei corpi e lâimpronta dellâesperienza vissuta sulla loro superficie visibile, e di riflesso su quella invisibile dellâidentitĂ . Decostruendo la contrapposizione tra âmaterialeâ e âdiscorsivoâ con una testualitĂ che cerca di rendere conto di entrambe le dimensioni e della loro interazione complessa, i romanzi di Carter, Winterson ed Evaristo riescono a ridefinire la materialitĂ dei corpi in termini discorsivi (Hekman 2008, p. 88).
Esitazione e straniamento
Il primo studioso a proporre una teoria organica del fantastico è Tzvetan Todorov (1975), che in linea con la propria impostazione strutturalista analizza e classifica nel dettaglio quello che qualifica come un âgenere letterarioâ. Secondo Todorov (1975, pp. 25-26)1, il fantastico si caratterizza per il senso di esitazione che sia il lettore sia il protagonista sperimentano di fronte a un evento misterioso, inspiegabile, spesso soprannaturale. Per rientrare nei parametri del fantastico, però, la reazione a questo avvenimento straniante deve ricondurre lâesperienza a uno scherzo dellâimmaginazione, un frutto dellâinstabilitĂ emotiva/psicologica del protagonista oppure deve, in alternativa, accettare il soprannaturale come parte della realtĂ , e quindi considerare lâevento come reale a tutti gli effetti. Lâelemento fantastico, inoltre, non deve essere interpretabile nĂŠ in termini poetici nĂŠ allegorici, in modo che la sensazione straniante che innesca rimanga irrisolta.
Lâaspetto cruciale nellâeconomia di questa analisi è proprio lâidentificazione del fantastico con una reazione di straniamento ed esitazione irrisolti e in quanto tali in grado di mettere in discussione ciò che viene comunemente considerato ânormaleâ o ânaturaleâ (Todorov 1975, p. 166). Il fantastico, cioè, consente di affrontare temi e questioni altrimenti tabĂš, inaccettabili e irrappresentabili nel contesto socio-culturale in cui vengono proposti: âThe fantastic permits us to cross certain frontiers that are inaccessible so long as we have no recourse to it. [âŚ] take, for example, the âthemes of the otherâ: incest, homosexuality, love for several persons at once, necrophilia, excessive sensuality [âŚ].â (Ivi, p. 158)
Rosemary Jackson, che emenda e amplia la concezione di Todorov, sottolinea ancor piĂš esplicitamente le implicazioni delle figurazioni del fantastico sulla realtĂ politica e sociale (Jackson 1981, p. 6): âThe modern fantastic [âŚ] is a subversive literature. It exists alongside the ârealâ, on either side of the dominant cultural axis, as a muted presence, a silenced imaginary other. Structurally and semantically, the fantastic aims at dissolution of an order experienced as oppressive and insufficientâ (Ivi, p. 180). Tra i meriti della riconfigurazione del fantastico realizzata da Jackson si annoverano specialmente lâapertura alla psicanalisi, la sua ridefinizione in quanto âmodalitĂ â piuttosto che âgenereâ, nonchĂŠ la sua storicizzazione. Jackson collega lâesitazione generata dal fantastico con quello che Freud chiama âDas Unheimlichâ, qualificando la letteratura fantastica come manifestazione dellâimpossibilitĂ di esprimere la lotta inconscia tra il desiderio e la brama generata dal suo mancato appagamento. Il fantastico, inoltre, svelerebbe lâincapacitĂ del linguaggio di esprimere il perturbante inteso come â[the] objectification of the subjectâs anxieties, read into shapes external to himselfâ (Ivi, p. 67). Il senso di esitazione e lo straniamento del lettore/personaggio corrisponderebbero dunque al vuoto lasciato dal linguaggio, che deve fare appello a situazioni ed elementi soprannaturali per cercare di spiegare ciò che altrimenti sarebbe impossibile rappresentare perchĂŠ non appartiene alla realtĂ discorsivamente costruita, politicamente naturalizzata e quindi conosciuta/conoscibile. Secondo Jackson (Ivi, p. 6), lâinconscio è il luogo in cui le strutture e le norme sociali vengono riprodotte e si consolidano, dunque considerare il fantastico da una prospettiva psicanalitica consente non solo di rivalutare la centralitĂ del desiderio, ma anche e soprattutto di rendere conto delle implicazioni politiche e sociali della letteratura, risvolti che invece Todorov aveva trascurato limitando la sua analisi alla poetica (Ibidem). Lâapertura del fantastico cosĂŹ riconfigurato alla dimensione politica è confermata dalle precisazioni fornite da Jackson sulla differenza tra âgenereâ e âmodalitĂ â (âmodeâ). Il fantastico come modalitĂ , infatti, si apre alla storicizzazione perchĂŠ la sua relazione con il genere narrativo è paragonabile a quella tra âlangueâ e âparoleâ codificata da Saussure. Il fantastico, in altri termini, è un insieme di caratteristiche strutturali (langue) da cui possono emergere svariati generi (parole) in diversi contesti storico-sociali.
Questa contestualizzazione del fantastico, le cui espressioni non possono prescindere dalla propria collocazione storica, conduce a un posizionamento delle autrici e dei testi presi in esame allâinterno di coordinate culturali, politiche e poetiche comuni (nonostante le inevitabili peculiaritĂ ), a partire dalla scelta di porsi criticamente rispetto alla Storia (singolare maiuscola) contrapponendo alla ragione immateriale dellâimpostazione patriarcale una presenza corporea vistosa, che non può passare inosservata a causa della sua evidente differenza e che ha il potere di mettere a soqquadro lâordine discorsivo con la sua anomalia ibrida.
Prospettive eccentriche
La combinazione tra figurazioni del fantastico radicate in un chiaro posizionamento socio-storico e strategie testuali postmoderne dai risvolti politici consapevolmente provocatori per rappresentare corpi magici eccezionali, anomali e sconvolgenti è connaturata a entrambe le modalitĂ narrative, cosĂŹ come alla natura ibrida, che tede a sconfinare, dei corpi delle protagoniste dei romanzi. Il primo, evidente, punto di contatto tra la modalitĂ fantastica ridefinita da Rosemary Jackson e la retorica postmoderna secondo gli studi di Linda Hutcheon è la natura sfumata, spuria, difficile da circoscrivere del postmoderno, che si potrebbe considerare come âthe nexus of boundaries that traverse each otherâ, se non addirittura come la sede del crollo dei confini (Hutcheon 1988, p. 110). Questa corrispondenza si rivela particolarmente produttiva per unâindagine sulla materialitĂ di corpi che eccedono le potenzialitĂ codificate del linguaggio. Il postmoderno, infatti, si caratterizza per una permeabilitĂ che, come il fantastico e come il corpo ibrido, âpartakes a logic of âboth/andâ, not one of âeither/orâ (Ivi, p. 47), e non può prescindere da una dimensione storicizzata che ha conseguenze tangibili sulla realtĂ sociale. La retorica postmoderna, tuttavia, non è semplicemente radicata nella dimensione storica, ma spesso la mette in discussione, confutandone la legittimitĂ . Il postmoderno, in altri termini, espone la parzialitĂ del punto di vista ufficiale, egemone, che cerca di diffondere una versione naturalizzata della Storia per renderla il piĂš possibile condivisa e conforme al mantenimento dellâordine discorsivo vigente. I romanzi di Carter, Winterson ed Evaristo qui analizzati sono accomunati dalla mescolanza consapevole tra fatti storici e finzione letteraria e dalla rimanipolazione piĂš o meno ironica e provocatoria dei primi. Questa strategia, che Hutcheon chiama âhistoriographic metafictionâ, ha il duplice esito di smascherare la costruzione discorsiva (o meglio âlinguisticaâ, Ivi, p. 107) della narrazione storica accomunandola con quella letteraria, poichĂŠ âboth forms of narrative are signifying systems in our culture. Both are [âŚ] modes of âmediating the world for the purpose of introducing meaningââ (Ivi, p. 112). In quanto tali, storia e letteratura sono sistemi semiotici culturalmente contestuali, malgrado il rispettivo fondamento ideologico conferisca a entrambe lâillusione di essere autonome e indipendenti (Ibidem). Questa illusione genera una contraddizione parodica sfruttata dalla postmoderna historiographic metafiction per cui âthe intertexts of history and fiction take on parallel status in the parodic reworking of the intertextual past of both the âworldâ and âliteratureââ (Ivi, p. 124).
Una simile rielaborazione, che intreccia e confonde la narrazione storica con quella letteraria con finalitĂ polemiche, finisce per mettere in discussione, tra lâaltro, una serie di questioni centrali che si collocano allâintersezione strategica tra tradizione poetica letteraria e conservazione delle formazioni discorsive da essa sostenute, come la natura dellâidentitĂ e della soggettivitĂ rispetto alla narrazione, la natura intertestuale del passato e le implicazioni ideologiche della scelta di adottare una prospettiva storica scrivendo unâopera di finzione (Ivi, p. 117). La narrazione storica, secondo Hutcheon, deriva il proprio preteso status superiore di âveritĂ â dalla modalitĂ stilistica che sopprime ogni riferimento al contesto di produzione dei propri enunciati (il soggetto che racconta, il destinatario atteso a cui si rivolge, il contesto dellâenunciazione e il suo intento discorsivo), in modo da dare lâimpressione che i fatti si narrino da soli (Ivi, pp. 92-93). Lâautorevolezza del resoconto storico, cioè, si fonda sullâassunto secondo cui gli eventi si raccontino da sĂŠ perchĂŠ sono realmente accaduti, tralasciando il fatto che invece si tratti del prodotto di pratiche discorsive situate, realizzate da soggetti con un disegno politico riconoscibile, se ci si impegna a cercarlo. Equiparare la narrazione letteraria a quella storica, dunque, diventa un atto eversivo e paradossale perchĂŠ da un lato conferisce alla finzione letteraria lo stesso status autorevole di quella storica, e dallâaltro riconfigura la storia come una delle tante possibili versioni dei fatti affidandone la trasmissione a un punto di vista eccentrico e inaspettato, non tanto per sostituire una veritĂ nuova alla vecchia, quanto per âquestion whose truth gets toldâ (Ivi, p. 123).
Tra gli obiettivi di Carter, Winterson ed Evaristo di certo non manca il tentativo di sfidare tanto i vincoli e i limiti di un canone letterario maschile (e patriarcale) quanto una prospettiva sulla narrazione storica che esclude gli attori âsecondariâ, o meglio mette a tacere e confina ai margini i personaggi scomodi, che non avallano il punto di vista ufficiale unificante. Inoltre, e soprattutto, le autrici sembrano rivendicare unâassenza paradossale, data la sua natura visibile, tangibile e âpesanteâ: il corpo femminile, esposto o nascosto, ma comunque strumentalizzato dalla tradizione letteraria canonizzata (corpo inesistente dellâamata idealizzata, corpo stigmatizzato della meretrice che ammalia e poi distrugge, o corpo del reato esposto post-mortem allo sguardo come un taglio di carne sul bancone del macellaio â cfr. Carter 1979). E per questo rimettono al centro la corporeitĂ scomoda e incredibile delle loro protagoniste, che attraversano la storia lasciando unâimpronta indelebile. E raccontandola a modo loro, da un punto di vista eccentrico, riescono, se non a cambiarla, a reindirizzare lo sguardo del lettore in direzioni inedi...