La vita inedita
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La vita inedita

Diario Antologia 1933-1993

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La vita inedita

Diario Antologia 1933-1993

About this book

Interrogando incessantemente la realtà geografica, umana, culturale, sociale e politica del Portogallo e del mondo senza mai piegarsi ad alcun compromesso in grado di mettere a rischio la sua libertà, Miguel Torga ha tenuto per sessant'anni, dal 1933 al 1993, un diario che ha pochi eguali per estensione e profondità. Oppositore assoluto, visse da esule in patria le lunghe decadi della dittatura di Salazar, poi la «rivoluzione dei garofani» del 1974 e infine il brusco passaggio del suo paese alla modernizzazione di cui, negli ultimi anni, non smise di descrivere vizi e distorsioni. Sempre in rivolta, indignato da tutto ciò che oltraggia la figura umana e affligge l'autenticità delle sue relazioni, Torga non cadde mai nella trappola della gratificazione o della compiaciuta realizzazione di sé. La parola che ci consegna nelle pagine di questa antologia, con un rigore e una forza agonica così rari da suonare inattuali, è un vero e proprio «atto ontologico », lontano da ogni linguaggio criptico e gergo sapienziale, strumenti che, secondo lo scrittore, rafforzano la presunzione e inaridiscono l'anima di chi li utilizza. L'opera diaristica di Torga, che certamente merita di stare tra i grandi libri morali del XX secolo, è, al di là di tutte le sue diagnosi tanto lucide quanto lungimiranti, un ostinato invito a «non abituarsi alla vita», un vademecum di disperata speranza a viverla cercando di non consentire ai nostri sensi e alla nostra mente di banalizzarla. Allo scopo di poter rinascere ogni mattino, inediti.

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DIARIO XIV

Coimbra, 25 Maggio 1982
A dispetto dell’età, non abituarsi alla vita. Viverla fino all’ultimo respiro sui carboni ardenti. Sempre per la prima volta con lo stesso appetito, la stessa sorpresa, la stessa afflizione. Non consentire ai miei sensi e alla mia mente di banalizzarla… Dimenticare a ogni tramonto quello del giorno precedente. Godere i frutti della vita quotidiana senza conservarne il sapore nella memoria. Nascere ogni mattino.
Coimbra, 6 Luglio 1982
Nessun dubbio: il nostro tempo appartiene alla critica. Non si sono mai visti così tanti esegeti. Nelle epoche senza immaginazione creatrice è così: i talenti analitici abbondano. Quelli di oggi, con la loro sufficienza accademica, sono quasi tutti strutturalisti. Si accaniscono in tal modo a smontare le opere, grazie alle quali si legittimano, che sembrano gli adepti illuminati di una setta di iconoclasti dell’arte.
Coimbra, 13 Luglio 1982
Programma televisivo che mostra la genesi dell’immagine fotografica. L’immagine fotografica ha rappresentato l’inizio della perdizione umana. Si è imposta in tal modo sugli altri mezzi di percezione e di apprendimento – un’immagine, si dice, vale mille parole – che nessuno sa più leggere, ascoltare, parlare. Non si fa che guardare. E guardare di sfuggita, istantaneamente, senza nutrire gli occhi, senza sosta, senza contemplazione. Resta da sapere a quale durevole profondità un’immagine riesca a penetrarci alla stregua di un concetto. Ora, i concetti sono opera della parola.
Albufeira, 30 Luglio 1982
Fuori è una splendida giornata e io me ne sto inchiodato alla macchina da scrivere, costringendo diligentemente i miei neuroni a lavorare. Perché? Per rendere duratura un’esistenza tormentata che si rifiuta di cedere all’impero delle circostanze. Siamo fatti così. Sappiamo che nulla è eterno, che tutto ha una fine, ma insistiamo nel celebrarci nella solidità della pietra o nella fragilità della carta. Anche coloro che credono in un’altra vita cercano, a ogni buon conto, di perpetuarsi in questa, fosse anche a colpi di coltello sulla corteccia di un olmo. Anche costoro sfidano l’oblio assoluto come possono. Non ci rassegniamo alla nostra precarietà terrestre e vogliamo che la nostra memoria sia conservata nel ricordo dei posteri. Il popolo, nella sua grande saggezza, lo ha ben compreso e lo afferma in modo laconico: “L’uomo muore ma la fama resta”.
Coimbra, 20 Gennaio 1983
L’ho guarito da un’otite vent’anni fa. Allora era un contadino come tanti altri, ignorante e rassegnato alla sua condizione. Ma un giorno è uscito dalla sua letargia ed è partito. Oggi è venuto a trovarmi e l’ho ascoltato per diverse ore a bocca aperta. Ha raccontato le sue avventure, conversato di politica nazionale e internazionale, parlato profeticamente del futuro. Ascoltandolo, non smettevo di pensare. Per quale maledetta ragione valiamo qualcosa solo a condizione di andarcene da qui? Cambiamo paese, cambiamo anima. Non emigriamo, trasmigriamo.
Coimbra, 9 Febbraio 1983
L’Iberia. È stata oggetto di conversazione questa notte. Un’Iberia che, come ho detto con convinzione ai miei interlocutori, è un vero continente per la specificità della sua morfologia fisica, etnica, idiomatica, culturale, economica e politica. Più che un conglomerato di regioni, un insieme di nazioni. Nazioni che la Castiglia, malgrado la sua passione centripeta, non ha potuto soffocare, né integrare alla sua identità. Nazioni unite dalla stessa fatalità geografica e da una rete di incroci storici, ma così fondamentalmente originali, che le frontiere di ciascuna di esse, più che sulle mappe, sono tracciate nell’anima di ogni suo figlio. Il Portogallo ne è la prova.
Coimbra, 20 Febbraio 1983
Massacro in India. L’odio razziale e religioso si è scatenato. Budda, Cristo e Gandhi possono predicare, ma l’essere umano è fino al midollo un animale. Da quando il mondo è mondo lo sforzo è sempre stato lo stesso: superare tale condizione, domare in ciascuno di noi la bestia che siamo quando cade la maschera. Riuscirci una volta per tutte, educare la natura come si educa il carattere sarebbe una grande vittoria, ma anche una grande mutilazione. Molti eventi gloriosi della nostra umanità sono dovuti alle forze irrazionali che ci abitano. Popolato di esseri ragionevoli, lucidi, dimentichi dei loro istinti, l’universo sarebbe ridotto a un monotono paradiso di personalità schematiche, programmate, intercambiabili, immunizzate contro i rischi dell’imprevedibilità e del perturbamento dei sensi, ma prive del fertile accecamento delle passioni.
Coimbra, 26 Febbraio 1983
Dire no. È quel che faccio con più costanza nella vita. Non per piacere, ma per necessità. In questo paese nulla di ciò che ci è dato o richiesto è esente da intenzioni nascoste. Ci domandano qualcosa ed è sempre per trarne profitto. Allora dico no. Il telefono mi serve quasi solo a questo. Quando squilla e prendo la cornetta, prima ancora di mettermi all’ascolto conosco già la risposta che darò. Sebbene addolcita il più possibile, significa sempre questo: grazie mille di aver pensato a me, ma purtroppo sono un impiastro. Sono solo in grado di essere libero.
Coimbra, 27 Febbraio 1983
Gli ho detto:
– Non si preoccupi e continui a scrivere senza pensare al successo. Il genio ha l’abitudine di essere lento. È il talento che è sempre di corsa…
Aveiro, 26 Giugno 1983
Nessun dubbio. Nel mezzo di una festa ho la sensazione di stare in un vespaio. Non riesco a parlare, a sorridere, a essere indifferente. Lascio affiorare la noia, la stanchezza, la contrazione che può provare una creatura violentata. Alle conversazioni banali, ai discorsi fastidiosi, agli scoppi di risa complici, oppongo il silenzio ostile del giudice severo. La cosa peggiore è che soffro di essere fatto così. So che sto reagendo in modo giusto, ma so anche di comportarmi male. Di reagire bene come poeta e di comportarmi male come uomo. L’uno fatalmente solitario, l’altro naturalmente socievole. La loro conciliazione è stato il grande problema della mia vita. Non ci sono mai riuscito. Il poeta ha sempre vinto. E fortunatamente, malgrado i brutti momenti che mi ha fatto passare. A causa della sua intransigenza inflessibile in tutte le situazioni, mi ha evitato di accondiscendere e di compromettermi inutilmente.
Ericeira, 5 Luglio 1983
L’inanità della Storia! Un’epoca della nostra vita collettiva si è conclusa nel 1910 con la partenza della famiglia reale per l’esilio. Soltanto una pietra lo ricorda timidamente sul timido frontone di una piccola e timida cappella. Ho cercato di ricreare, leggendo l’iscrizione, il dramma di quel momento, gli addii smarriti di una monarchia multisecolare. Il sole dorava di una luce astrale il borgo, le onde del mare si infrangevano monotone sulle rocce, la gente andava e veniva. La vita continuava ostinatamente. Non ci sono dubbi: l’oblio è il solo spazio dove gli eventi diventano eterni. La memoria è la facoltà più fragile che abbiamo. Eppure è in essa che il passato si gioca il suo futuro.
Vila de Feira, 30 Novembre 1983
Inaugurazione di un monumento a Fernando Pessoa. Dopo la cerimonia, a cui ho partecipato, mi hanno offerto la bandiera nazionale che lo ricopriva. La conserverò per due ragioni. Perché è il simbolo della patria e perché ha avvolto la gloria del poeta. Gloria pura che, come poche altre, meritava la grazia di questo calore materno postumo. Nessuno prima di lui aveva realizzato il miracolo di creare dal nulla la poesia del Portogallo.
Coimbra, 11 Dicembre 1983
Lunga conversazione sulla Spagna con alcuni spagnoli. Mi piace parlarne, quasi quanto del Portogallo. Non mi sono mai rassegnato a trattenere il cuore e la mente alle soglie della frontiera. Con lo slancio che metto in tutti i miei vagabondaggi, l’ho superata e i miei occhi e la mia anima ne gioiscono. Oggi l’ho fatto ancora una volta. Sono entrato attraverso non so quale posto di blocco sguarnito e non mi sono fermato fino a quando i miei interlocutori non hanno smesso. A un certo punto non riuscivano più a seguirmi. Esiste un donchisciottismo portoghese ancora più allucinato di quello spagnolo: il re Dom Pedro gli ha fornito una grandezza tragica dopo l’assassinio di Dona Inês de Castro; Dom Sebastião lo ha funestamente dimostrato durante la battaglia di Alcazarquivir e Camilo Castelo Branco lo ha sublimato nel suo romanzo Amor di perdizione. Un donchisciottismo che si rifugia ostinatamente nella follia e che non ne esce per nessuna ragione. Il mio amore cocciuto per la Penisola è della stessa natura. Essa è per me una Dulcinea dai molti volti e dai molti sentimenti. Non è una passione che entra in conflitto con ciò che provo per la mia patria. Si tratta di qualcosa di affettivo che, senza tradire il mio senso civico, sposta le frontiere al di là dei limiti culturali stabiliti e situa la sua pienezza in un contesto più ampio.
Città del Messico, 12 Marzo 1984
L’essere umano è fino al midollo un animale da conchiglia. Perduto in una metropoli come questa, straniero in ogni luogo, finisce istintivamente per recarsi nello stesso ristorante, per prendere il caffè nello stesso bar ed è con segreta soddisfazione che si rifugia nella camera di hotel dove alloggia. Trova non so quale rassicurazione nel vedere gli stessi camerieri, nel gustare i condimenti della stessa cucina, nell’abitare tra i mobili dello stesso cubicolo che ha popolato di rari oggetti famigliari. Si inventa una casa dove non c’è. Un fragile focolare che gli procura una possibilità di pace, se non dell’anima, almeno dei sensi. Ed è questa la più importante. L’altra, quando la si raggiunge, è sempre qualcosa in più.
Teotihuacán, Messico, 13 Marzo 1984
Gli dei muoiono come noi, altrimenti non sarebbero nostre creature. Sono morti quelli della Grecia, quelli di qui e moriranno tutti quelli con cui in futuro popoleremo i cieli vuoti. Quale lezione di scetticismo meditare sulla sorte di un santuario come questo! Prima la distruzione dei templi sacri, poi l’oblio; quindi la scoperta casuale delle rovine e una ricostruzione incompleta; infine la profanazione totale grazie ai negozi, al commercio, agli spettacoli di intrattenimento per i turisti. Oggi salire i gradini di una piramide è un pretesto per fare dell’alpinismo, un’avventura muscolare e cardiaca, priva di ogni altro significato. Nessuno crede più ai poteri sovrannaturali del serpente impiumato. Si fotografano le sue fauci aperte e terrificanti solo per attestarne l’inoffensiva vacuità.
Città del Messico, 15 Marzo 1984
Orozco, Tamayo, Rivera, Siqueiros, i quattro evangelisti della pittura messicana. L’ultimo è quello che mi è piaciuto di più. C’è in lui una forza che nessuna ragione sociologica spiega, che viene dalla natura stessa dell’artista, grande nella concezione e nella realizzazione. Le rivoluzioni hanno i loro momenti di passione esplosiva. Poi si normalizzano. L’arte, al contrario, se è degna del suo nome, resiste contro tutto e contro tutti. Anche quando testimonia, celebra o esemplifica. Il 2 e 3 Maggio 1808 di Goya e Guernica di Picasso lo provano. La retorica in quei dipinti ha celato il suo volto. Mentre è di una retorica a volto scoperto che mi sembra inficiata la miglior pittura messicana. Mostra, declamando, quel che il più perfetto silenzio sa dire.
Città del Messico, 16 Marzo 1984
Ancora pittura. Sono artisti che ritraggono un popolo. Chi non può attraversare un intero paese e auscultare le intime pulsazioni del suo cuore, ricorre alla lettura dei suoi poeti, ammira le tele dei suoi maestri o i marmi dei suoi scultori. Si può non essere sensibili alla qualità estetica di certe realizzazioni. Ma resta la verità flagrante della testimonianza e la lezione di quel che denuncia. L’anima messicana è stata traumatizzata fino ai limiti del possibile. Non c’è penna, scalpello o pennello che possano sottrarsi a tale evidenza. L’indio, un tempo sottomesso, è oggi glorificato in tutte le gallerie e in tutte le strade. Cosa giusta e incoraggiante. Per quanto povero e umiliato appaia, è ancora lui, in questo paese, l’uomo dell’avvenire. Per la semplice ragione che è stato l’uomo del passato.
Città del Messico, 17 Marzo 1984
Lascio il Messico con pena e sollievo. Mi fa male sapere che non vedrò mai più le meraviglie che ho appena visto e mi consolo all’idea che ben presto sintonizzerò i miei sensi e la mia ragione alle frequenze domestiche. Ci sono qui tre dimensioni che violentano la mia natura lusitana. La dimensione degli indios, con la loro schiavitù religiosa; la dimensione spagnola, con la sua schiavitù storica; la dimensione americana, con la sua schiavitù economica. Per comprenderle tutte, devo sforzarmi. Non accetto la crudeltà della prima, non giustifico il settarismo della seconda e maledico il vampirismo della terza. Sarà difficile per questo paese trovare un equilibrio. Le radici, il tronco e i rami dell’albero sembrano non avere legami tra loro e essere nutriti da linfe differenti, scaturite da civiltà difficilmente compatibili che si affrontano nella carne dello stesso corpo sociale.
Coimbra, 13 Aprile 1984
Lunga conversazione con alcuni giovani. Sono venuti da lontano a parlarmi dei loro problemi. È sempre dei loro problemi che i giovani vengono a parlarmi. Di quelli dei loro genitori, dei loro nonni, di quelli dei più anziani, non ne vogliono sapere. Se una timida parola degli esclusi li sfiora, evitano immediatamente l’argomento. Superata la soglia dei vent’anni, l’umanità e i suoi drammi non li interessa più. Con stoicismo, il cuore aperto e la mente attenta, ho sopportato il loro egoismo cieco e sordo di cui non avevano neppure coscienza. Del resto, è questa crudeltà innocente priva di cattiveria, questa indifferenza priva di rimorsi che contraddistingue la generazione presente. La nostra si batteva con passione contro i genitori. Era ancora un modo di onorarli. Quella attuale ci ignora, semplicemente. Si tratta, infatti, di una rottura totale e tragica di cui noi siamo certamente i principali responsabili, anche se ci costa riconoscerlo. Questa generazione l’abbiamo fatta nascere in un mondo senza speranza. Non possiamo chiederle oggi di...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Circa l’autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Sommario
  6. L’arte di Miguel Torga
  7. Diario I
  8. Diario II
  9. Diario III
  10. Diario IV
  11. Diario V
  12. Diario VI
  13. Diario VII
  14. Diario VIII
  15. Diario IX
  16. Diario X
  17. Diario XI
  18. Diario XII
  19. Diario XIII
  20. Diario XIV
  21. Diario XVI