Un modello etico-pratico:
la cooperazione sussidiaria
allo sviluppo
Conoscendo di più il fenomeno dei minori non accompagnati e avendone approfondito alcuni ambiti, possiamo proporre un modello che suggerisca l’azione: esso vuole essere etico-pratico in quanto ispirato ad alcuni principi etici universalmente riconosciuti e condivisi e, nello stesso tempo, finalizzato a un’azione reale e positiva per la protezione dei MSNA in Italia.
Infatti, in un primo momento andremo ad analizzare i princìpi etici a cui vogliamo riferirci: il primato e la dignità della persona umana, la sussidiarietà e la cooperazione – quest’ultima intesa come un principio per l’agire etico e pratico degli attori. Tali princìpi apparterranno a una sorta di parentesi “teorica” che apriremo: anche se potrà sembrare che il discorso sui minori non accompagnati passi in secondo piano, in realtà tale breve digressione sarà utile affinché il modello che proporremo (la cooperazione sussidiaria allo sviluppo) sia il più possibile avvicinabile anche in termini pratici.
In modo graduale presenteremo alcuni dati raccolti sul campo, che ci aiuteranno a definire la cooperazione sussidiaria e a evidenziarne alcuni ostacoli e i facilitatori.
7.1. Princìpi etici e prassi alla base della cooperazione sussidiaria
All’interno di questa parte vogliamo definire i fondamenti della cooperazione sussidiaria e accennare al cammino che storicamente si è vissuto nella definizione dei principi fondamentali. La filosofia, il diritto positivo e la Dottrina sociale della Chiesa possono dirci molto sui tre princìpi su cui vogliamo discorrere e aiutarci a considerare in maniera oggettiva i frutti attuali del processo storico attraverso il quale in Italia ci possiamo considerare legati a soluzioni multi-stakeholder nell’ambito della cura alla persona, specie se vulnerabile.
Il primato della persona umana e la sua dignità
Uno dei motivi per cui vogliamo fare ricorso a tale principio risiede nel suo essere antecedente a ogni discorso pratico. Si potrebbe dire che tutte le problematiche che riguardano l’essere umano, dal suo essere singolo al suo vivere in comunità, dovrebbero avere come base comune di discussione il principio del primato della persona e della sua dignità, affinché sia possibile progredire verso soluzioni sostenibili e durevoli.
Osservando una buona parte della letteratura scientifica, si incontrano molte difficoltà nel definire il concetto di dignità umana; dunque, è bene procedere per gradi.
Il Vocabolario della lingua italiana Treccani definisce in primo luogo la dignità come la “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a se stesso” (s.v. “Dignità”). Da questa prima definizione è possibile distinguere alcuni elementi fondamentali:
1. La nobiltà morale della persona proviene dal grado che essa ricopre, ma anche dalla propria natura.
2. La natura umana è talmente “particolare” da essere dignitosa e da richiedere un certo livello di superiorità rispetto agli altri esseri viventi.
3. Il rispetto che la persona deve a se stessa e agli altri.
Si potrebbe proseguire tenendo presenti queste tre basi.
Rinie Steinmann, che successivamente ci ricondurrà al discorso kantiano sulla dignità umana, afferma che quest’ultima rappresenta l’essenza del significato dell’essere umani e che tale concetto non può essere sottoposto a manipolazioni ideologiche di nessun tipo.
Infatti, il concetto di dignità umana nella storia ha effettuato un cammino che ha avuto il suo inizio nell’antica Roma, si è sviluppato trasversalmente e ha attraversato il cristianesimo per giungere fino alla filosofia moderna, che con Kant ha tentato di offrire un contributo “laico” alla definizione.
Nell’antica Roma il termine dignitas era riferito generalmente alla gerarchia, dunque al “grado” o allo status sociale delle persone, e apparteneva a coloro che ricoprivano determinate posizioni nella società, collegando tale status a dei privilegi; tuttavia vi sono filosofi di quell’epoca, come Cicerone, che definiscono la dignità anche come naturale nell’essere umano: “E se vorremo considerare quale sia nella natura umana la superiorità della dignità, comprenderemo quanto sia turpe che ecceda il lusso […], e quanto onesto (sia invece vivere) con frugalità, con sincerità, con austerità, con sobrietà”.
Tra i filosofi più influenti dell’Illuminismo, Kant ha un ruolo fondamentale nella definizione della dignità umana considerata un valore innato all’essere umano, in grado di ragionare e decidere autonomamente obbedendo alla legge morale nonché non “sfruttabile” come mezzo o cosa per obiettivi altrui. Dunque, a definire tale prerogativa è il sussistere della dignità alla luce “dell’essere umano” di ogni persona e non a conseguenza di una circostanza esterna: si tratta di un richiamo ontologico, per cui gli esseri umani hanno per se stessi un valore comune, in virtù del quale sorge l’imperativo per cui nessuna persona può essere considerata come un semplice fine. Da ciò può essere dedotto un dovere delle autorità e di ogni essere umano di riconoscere tale valore intrinseco della persona.
Possiamo fare riferimento anche ai contributi dei filosofi cattolici contemporanei, come Jacques Maritain e Romano Guardini nonché al magistero sociale cattolico, che pone come primo dei suoi pilastri proprio il principio della dignità dell’essere umano.
Jacques Maritain afferma che l’essere umano distingue in se stesso l’individuo e la persona: vi è il polo materiale, riferito all’individualità, e un polo spirituale “che concerne la personalità vera e propria”: secondo Maritain, la radice ontologica dell’individualità è la materia mentre per la personalità il discorso è diverso: l’origine va cercata nella relazione e – afferma – la radice della personalità è lo spirito. Ciò non significa che l’individualità sia negativa perché ha radice nella materia: secondo Maritain, essa è buona in quanto è ordinata dalla personalità; la negatività risiede nel dare priorità all’individualità rispetto alla personalità, cioè a ciò che è materiale a scapito dello spirito. Dunque, individualità e personalità non sono due cose separate, ma “è lo stesso essere intero che in un senso è individuo e nell’altro senso è persona”.
In più – dice Maritain – essendo un essere in relazione e in virtù della sua dignità, la persona umana chiede “di essere membro d’una società”: “per pervenire a un certo grado di elevazione nella conoscenza come di perfezione nella vita morale, l’uomo ha bisogno d’una educazione, e del soccorso dei suoi simili”. Da qui, il passaggio verso l’importanza dell’impegno di tutti e ciascuno per il bene comune che, secondo Maritain, è “la buona vita umana della moltitudine, di una moltitudine di persone; è la loro comunione nel vivere bene; è dunque comune al tutto e alle parti […]. [Esso] implica ed esige il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone”.
La definizione d...