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Retorica e poetiche del fototesto

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Retorica e poetiche del fototesto

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Uno dei fenomeni piÚ rappresentativi della letteratura contemporanea è la diffusione capillare di fototesti. Eppure la maggior parte degli studi sulla letteratura d'oggi prende poco in considerazione questo tipo di opere e la storia letteraria fa fatica a riconoscerne la diffusione e le specificità nel corso dell'Ottocento e del Novecento (la cui presenza è tutt'altro che occasionale). Storie a vista vuole supplire a questa duplice mancanza: da un lato, recuperando la lunga durata dell'evoluzione letteraria attraverso la ricostruzione di un panorama mai sistematizzato che riscopre autori poco noti o esperienze marginali e contemporaneamente guarda sotto una nuova luce autori canonici, ma di cui l'operazione fototestuale è spesso trascurata o del tutto ignorata; dall'altro lato proponendo una cartografia per orientarsi nelle multiformi esperienze del fototesto contemporaneo, suggerendo percorsi interpretativi, mappe e categorie. L'attenzione al dialogo fra il testo letterario e l'immagine fotografica permette anche di ripensare e ridiscutere alcuni assunti della storiografia letteraria e contribuisce ad aggiungere dei tasselli al dibattito sulla letteratura odierna.

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Media, letteratura, fotografia
1.1. Delimitazioni di campo
Secondo l’Oxford Dictionary la parola “media” ha iniziato a essere usata soltanto negli anni Venti del Novecento. Da allora la riflessione sul concetto di medium si è sviluppata e approfondita, definendo un campo di studi complesso e articolato, soprattutto a partire dagli anni Novanta con lo sviluppo della Medientheorie tedesca e dei media studies americani. Darne una definizione univoca risulta un tentativo di non facile sviluppo: le molteplici interpretazioni e studi condotti nel corso del Novecento offrono un panorama rizomatico e difficilmente sintetizzabile; basti pensare alle diverse definizioni che vengono date di “medium” nei Dizionari di settore e nelle Enciclopedie accademiche. Andrea Pinotti e Antonio Somaini (2016) ricordano che, in prima istanza, il medium può essere inteso come “un insieme di supporti materiali a cui si fa ricorso per visualizzare una determinata tipologia di immagini […], ma anche di tecniche che possono essere esercitate su tali supporti” (p. 154). Da questo punto di vista il medium della fotografia, per esempio, sarà costituito dall’insieme dei supporti fotosensibili (lastra di rame, carta preparata, celluloide, ma anche file digitali, i vari tipi di stampe) e dalle tecniche che su tali supporti possono essere utilizzate per produrre immagini. Marie-Laure Ryan (2006) ricorda la quantità di significati del termine “medium” forniti dall’undicesima edizione del Merriam Webster’s Collegiate Dictionary, soffermandosi su due in particolare: “(1) un canale o un sistema di comunicazione, informazione o intrattenimento; (2) mezzi materiali o tecnici di espressione artistica” (p. 17). Queste due definizioni pongono l’accento su caratteristiche differenti: la prima si concentra sull’aspetto trasmissivo, considerando i media come mezzi di comunicazione e trasmissione dell’informazione (non tralasciando, comunque, la componente dell’intrattenimento). La seconda, invece, vede i media come dei linguaggi. E dunque nel primo caso considereremo come media la televisione, la radio, Internet (che numerosi studiosi considerano un “supermedium” in quanto in grado di inglobare tutti gli altri), il telefono e quindi tutte quelle tecnologie e quei canali di comunicazione culturale come i libri o i giornali; nel secondo caso parleremo invece di lingua, di suono, di immagine, oppure di marmo (nella misura in cui è il medium di una statua) o del corpo umano (aspetto che vale la pena ricordare per il crescente peso delle performance artistiche basate sulla corporeità). La proposta di Ryan è interessante nella misura in cui, considerando i media al contempo come fenomeni semiotici, tecnologie e pratiche culturali, inserisce all’interno di questo panorama le forme di narrativa e i rapporti fra modi della narrazione e media, tenendo in considerazione anche la letteratura e ragionando sul rapporto fra specificità del medium e strutture rappresentazionali, e la possibilità che queste ultime hanno di trascendere, violare, forzare o riutilizzare il medium. Le varie caratteristiche del discorso di Ryan possono essere facilmente sussunte nella categoria, proposta da Arjun Appadurai (2012), di “mediorama”. I mediorami descrivono, da un lato, la distribuzione delle capacità di produrre e diffondere informazioni, dall’altro, le immagini del mondo create da questi media. Tali immagini, secondo Appadurai, sono molteplici e complesse, a seconda della loro natura (informativa o di intrattenimento), della loro forma (elettronica o pre-elettronica), dei loro pubblici (locali, nazionali o transnazionali) e degli interessi dei proprietari che le controllano. Quel che è importante di questi mediorami, spiega Appadurai, “è che forniscono ai loro spettatori di tutto il mondo vasti e complicati repertori di immagini, narrazioni ed etnorami in cui si mescolano profondamente il mondo delle merci e quello delle notizie e della politica” (p. 49). Appadurai certamente non pensa alla letteratura, e insiste sulle immagini e la narrazione (non considerando altre forme di rappresentazione), il suo discorso è, infatti, incentrato sui mutamenti del mondo globalizzato. Ma, in ogni caso, molti degli elementi enunciati nella sua definizione possono essere adattabili anche alla letteratura. Si consideri la definizione di media proposta da Frederic Jameson in Postmodernismo. Per Jameson, la parola medium (in particolare quando declinata al plurale) unisce oggi tre segni relativamente distinti: 1) una modalità artistica o una specifica forma della produzione estetica; 2) una concreta tecnologia, organizzata (generalmente) intorno a un apparato o a una macchina centrale; 3) un’istituzione sociale. Queste tre aree di significato “non definiscono un medium, o i media, ma designano le dimensioni separate cui occorre rivolgersi per completare o costruire tale definizione” (2007, p. 82). Le tre caratteristiche evidenziate da Jameson possono, a ben vedere, adattarsi con facilità alla letteratura. Nel primo caso è quasi tautologico affermare che la letteratura è una modalità artistica o una specifica forma della produzione estetica. Più difficile, al contrario, considerare la letteratura come una tecnologia. Si può constatare, comunque, con Ong (1986), il rapporto fra letteratura e quelle che, nell’ormai classico Oralità e scrittura, vengono definite “tecnologie della parola”. Ong afferma che la scrittura è una tecnologia che “richiede l’uso di una serie di strumenti quali penne stilografiche, pennelli o biro, superfici predisposte come la carta, pelli di animale, tavolette di legno, e inoltre l’inchiostro, colori, e molte altre cose” (p. 123) a cui potremmo aggiungere, noi oggi, macchine da scrivere, computer e così via. Ong sottolinea in maniera efficace come questo insieme di tecnologie modifichi al tempo stesso il discorso e il pensiero e ne mostra i legami con la letteratura, che viene sempre considerata inscindibile da questi supporti1. Per quanto riguarda la terza accezione, il medium come istituzione sociale, è un aspetto entrato da tempo nella teoria della letteratura e che veniva bene messo in luce da Franco Brioschi ne La mappa dell’impero:
La letteratura è un’istituzione. Ovviamente, l’opera letteraria fa uso di strumenti e risponde a bisogni di rappresentazione fantastica intimamente radicati nella nostra civiltà e nella nostra costituzione antropologica. Ma questi bisogni e questi strumenti si qualificano come letterari o estetici solo in una relazione funzionale con alcuni comportamenti regolati, o “giuochi”: e ciò s’intende, là dove l’attività sociale si sia differenziata e articolata sino a distinguere istituzioni come arte, letteratura, generi e forme stilistiche. (1983, p. 171)
Come a dire che la letteratura è una forma istituzionalizzata di comunicazione e di simbolizzazione che circola all’interno di una comunità letteraria in cui si muovono vari soggetti, come autori, lettori, editori (e tutti i lavoratori della filiera editoriale), traduttori, librai, recensori, critici, accademie, giurati dei premi letterari ecc. (cfr. Bertoni 2018). Non sono soltanto i soggetti della comunicazione a permettere il riuso dei testi letterari2 e quindi a garantire a uno specifico oggetto la determinazione di letterario, ma anche i luoghi istituzionali in cui la letteratura viene “prodotta, diffusa, discussa e consacrata: case editrici, scuole, università, accademie, riviste, manuali, antologie, associazioni culturali, saloni del libro, premi e festival letterari, mezzi di comunicazione di massa” (ivi, p. 84). Dunque, la letteratura, è quasi superfluo ribadirlo, non va considerata solamente nella materialità nel testo, ma anche in virtù della situazione comunicativa entro cui viene istituzionalmente collocata. Non a caso, ad esempio, notava Ulrich Schulz-Buschhaus che c’è “un rapporto assai evidente fra il genere del romanzo, il medium della stampa, l’impresa dell’editoria e l’evoluzione di una società in cui borghesi e mercanti mirano a un ruolo egemonico” (1999, p. 52).
Considerare la letteratura come un medium porta dei vantaggi nell’analizzare sia l’evoluzione letteraria stessa che il rapporto fra letteratura e altre arti e letteratura e altri mezzi di comunicazione e rappresentazione. Permette, infatti, di non ragionare semplicemente con nozioni quali intertestualità, somiglianze, fonti, trasposizioni, ma di riflettere su un piano di più largo respiro che tenga conto del campo mediatico, delle sue strutturazioni interne, degli assetti e delle modificazioni che avvengono nel rapporto fra i singoli media che fanno parte di suddetto campo. È certamente vero, come nota Jameson, che non tutti i concetti estetici tradizionali esigono una simultanea attenzione alle molteplici dimensioni del materiale, del sociale e dell’estetico: i rapporti fra il medium-letteratura e gli altri media sono stati caratterizzati, nel corso della storia, da fasi di maggior o minore influenza. Eppure se si sfoglia l’informatissima Storia sociale dei media di Briggs e Burke (2002) si può notare bene come lo sviluppo dei media, almeno dall’invenzione della stampa in poi, sia entrato in una relazione dialogica (seppur spesso antagonistica) con tutte le forme e situazioni comunicative e rappresentazionali3. Non a caso è nel Novecento che la critica si è maggiormente interrogata sull’influenza dei media nella letteratura: ovvero nel momento in cui i media audio-visivi di massa hanno iniziato a contenderle il primato rappresentazionale e la posizione di prestigio di cui ha sempre goduto. Una simile prospettiva, inoltre, aiuta a non cadere in facili determinismi tecnologici. A partire dai lavori degli anni Cinquanta dello storico canadese dell’economia H. A. Innis, fondatore della scuola di Toronto, il determinismo tecnologico si è andato affermando come quella corrente di pensiero che vede nei media di comunicazione di massa e nella tecnologia il motore principale del cambiamento sociale (cfr. McQuail 2001) e in grado di influenzare tutte le altre modalità discorsive e rappresentazionali. Ragionare, invece, all’interno di una prospettiva di campo mediatico permette di tenere conto delle relazioni vicendevoli e multidirezionali dei vari media e, considerati come proposto da Jameson (2007), dei fattori dipendenti dagli agenti sociali implicati nel campo, dalle forze economiche, e dalle estetiche interne e dai sistemi di pensiero delle varie epoche storiche.
Una prospettiva del genere aiuta anche a riconsiderare alcuni concetti e a ragionare sulla longue durée dei rapporti fra visualità e letteratura: la critica letteraria degli ultimi decenni ha insistito a più riprese sulla colonizzazione da parte dell’immagine sulla parola letteraria, la cultura postmoderna a dominante visuale è diventato ormai, e a ragione, un topos della critica e della teoria non solo della letteratura. E non a caso: Mitchell (2017) parla di pictorial turn non tanto per constatare la massiccia diffusione delle immagini, ma piuttosto per sottolineare uno stato di generalizzata preoccupazione:
Non intendevo sostenere che l’età moderna fosse un unicum, senza precedenti nella sua ossessione per la visione e la rappresentazione visiva. Il mio scopo era prendere atto della consapevolezza di una svolta verso il visuale o verso l’immagine intesa come luo...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. 1 Media, letteratura, fotografia
  3. 2 Che cos’è un fototesto
  4. 3 Fototesti: una storia possibile
  5. 4 Foto e feticci
  6. 5 Album di famiglia
  7. 6 Fotografia e memoria
  8. 7 La fotografia e la realtĂ 
  9. 8 Mentire con la fotografia
  10. Conclusioni. Il fototesto come ecosistema
  11. ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI
  12. Bibliografia