Intervista con la New Media Art
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Intervista con la New Media Art

L'osservatorio Digicult tra arte, design e cultura digitale

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Intervista con la New Media Art

L'osservatorio Digicult tra arte, design e cultura digitale

About this book

Il libro Intervista con la New Media Art. L'osservatorio Digicult tra arte, design e cultura digitale si basa sull'esperienza di una delle più importanti piattaforme internazionali indipendenti in rete, fondata dal critico e curatore Marco Mancuso, che nel corso degli ultimi quindici anni ha monitorato l'evoluzione e l'impatto delle tecnologie e della scienza sull'arte, il design e la società contemporanea. Attraverso una serie di saggi scritti da alcuni dei suoi autori più importanti e una ricchissima collezione di interviste a sessanta artisti e designer che hanno segnato la storia della New Media Art dal 2005 a oggi, il volume evidenzia come i codici e i linguaggi dell'arte tecnologica siano gli strumenti ideali per un approccio multidisciplinare, una radicale osservazione e una profonda comprensione della realtà culturale ed espressiva che caratterizza il nuovo millennio.

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Information

Year
2020
eBook ISBN
9788857573267
Topic
Art
Subtopic
Art General
Capitolo 1:
Arte e Rete
Valentina Tanni
Introduzione
“Il web non è apparso dal nulla e non è stato inventato all’improvviso. Ha radici profonde nel pensiero che lo ha preceduto. La ragione per cui oggi lo odiamo è perché pensiamo che sia nuovo e senza storicità, una rottura netta con il passato. Al contrario c’è una forte continuità con i primi modi di pensiero e se lo analizziamo in questo modo smetteremo di temerlo e impareremo a capirlo”.
Questa frase di Kenneth Goldsmith, uno dei protagonisti delle interviste raccolte nella sezione del libro che state per leggere, racchiude in sé molti concetti importanti per comprendere il rapporto tra arte e rete, ma anche più in generale, tra arte e tecnologia. Da sempre, infatti, gli artisti si sono sforzati di costruire narrazioni alternative intorno alle innovazioni tecniche e tecnologiche, riconnettendo fili concettuali solo apparentemente spezzati e costruendo un robusto sistema immunitario utile a controbilanciare la retorica del progresso, un discorso che tende a interpretare la storia come un percorso lineare sempre teso al miglioramento, scandito da pochi, individuabili salti in avanti. Questa attitudine, critica e sperimentale, accomuna autori molto diversi, lontani nello spazio e nel tempo, e configura il campo della creazione artistica come uno degli osservatori privilegiati per comprendere la complessità dei processi culturali che vengono innescati dalla comparsa di nuovi strumenti (e che, a loro volta ne influenzano la conformazione).
L’idea, descritta da Goldsmith, di riconoscere nelle culture di rete il germogliare di idee, filosofie ed estetiche precedenti alla sua comparsa, evitando di liquidare tutto il “nuovo” come superficiale e poco rilevante, rappresenta oggi la sfida più grande per il mondo dell’arte e della cultura. Soprattutto in un momento storico come questo, in cui è divenuto di fatto impossibile parlare di online e offline come di due universi distinti, disquisendo filosoficamente di reale e virtuale come si faceva negli Anni Novanta. Internet è parte integrante del nostro ecosistema culturale a livello globale: ne costituisce il fulcro e la valvola di sfogo; è allo stesso tempo laboratorio e palcoscenico, sorgente primaria e punto di scarico. È il luogo in cui la cultura nasce, viene discussa, diffusa e manipolata, in cui le estetiche mutano, si contaminano ed evolvono. Allo stesso tempo, la rete è anche, sempre, un archivio; la madre di tutti gli archivi. Difficilmente su Internet un contenuto riesce a guadagnarsi la chance di morire davvero, uscire dal radar, finire sepolto e scomparire dalla memoria collettiva. Tutto (o quasi) è destinato a una seconda vita, sempre in attesa della propria occasione di resurrezione. Un pacchetto di dati che aspetta di essere scaricato, immobile e silente dentro qualche server remoto.
Nella storia dei rapporti tra arte e Internet, un percorso che – senza contare i tanti precursori – possiamo far partire dagli Anni Novanta del Novecento, gli ultimi quindici anni hanno rappresentato la fase forse più complessa e difficile da interpretare. Dopo l’ondata avanguardistica, attivista e radicale della prima Net Art, nata in un periodo in cui la connessione in rete era ancora scarsamente accessibile, con il volgere del secolo lo scenario si è fatto progressivamente più diversificato e magmatico, impossibile da ridurre a un unico movimento.
La seconda metà degli anni Duemila segna però una svolta: sono gli anni in cui, dopo la prima ondata di user content supportata dalla nascita dei blog, appaiono i social network, le piattaforme di video sharing e gli smartphone, tutti eventi destinati a cambiare il web in maniera profonda e irreversibile, trasformandolo da strumento per pochi a mezzo di comunicazione di massa. La generazione di artisti che è stata identificata con l’etichetta Post Internet, una definizione che, con tutti i suoi limiti è stata utile per riconoscere l’effettivo realizzarsi di un cambiamento di attitudine, è quella che si è trovata a gestire questo delicato momento di passaggio. A loro va riconosciuto un grande merito: ben consapevoli di avere a che fare con un’infrastruttura fortemente influenzata da logiche corporate, un ambiente che somigliava ogni giorno di meno al cyberspazio utopico e libertario del decennio precedente, si sono immersi con coraggio nel suo ecosistema, cercando di assorbire e rielaborare linguaggi ed estetiche emergenti, confrontandosi anche con elementi culturali ritenuti minori, come i contenuti virali, i meme, le gif animate e tutto quell’insieme di espressioni che l’artista Olia Lialina ha efficacemente definito “vernacolari”. Dai primi surf club, veri e propri cenacoli artistici del Ventunesimo secolo, alle performance sui social network; dalle esplorazioni del mondo compiute su Google Street View all’uso della realtà aumentata per fondere atomi e bit; dall’hacking creativo delle piattaforme all’uso dell’animazione 3D in chiave distopica e surrealista: i percorsi intrapresi nell’ultimo decennio non potrebbero essere più diversificati. Un’idea di fondo però, accomuna gran parte di essi, e la spiega bene Constant Dullaart nelle pagine che seguono quando afferma: “influenzare la prospettiva generale sulle cose, alterare la percezione di un concetto o di una rappresentazione: è una descrizione elementare di quello che un artista contemporaneo fa. [...] Poiché la maggior parte della rappresentazione del mondo che ci circonda si consuma su Internet, il web sembra il posto giusto per fare questo come un artista contemporaneo, non credi?”.
La lucidità nel comprendere che il web è oggi il luogo centrale in cui la cultura prende forma, nel bene e nel male, è la consapevolezza che sta alla base del lavoro di tutti questi artisti, dal più oscuro e underground a quello che finisce sulle copertine dei magazine internazionali. Nelle narrazioni che le loro opere costruiscono, si capisce ogni giorno di più quanto priva di senso sia oggi ogni etichetta che pretenda ancora di dividere le pratiche artistiche, non solo in base al medium – una tale discussione può essere ormai considerata d’antan – ma anche in base al nucleo contenutistico di interesse. Come non possiamo più parlare di reale e virtuale, allo stesso modo non possiamo più usare definizioni come Internet Artist o Post-Internet Artist: lo abbia fatto, ha avuto senso per un periodo, ci ha aiutato a studiare e capire determinate tendenze culturali, ma è arrivato il momento di cambiare prospettiva. La questione più importante oggi, è capire come la comprensione del mondo, a causa della pervasività della rete, sia sempre più mediata dalle immagini, e come, allo stesso tempo, ogni immagine sia divenuta intrinsecamente instabile. Questo determina una vera e propria implosione del contesto, ormai ridotto a pura astrazione filosofica senza alcun riscontro nella realtà. Una questione di cui gli artisti oggi sono profondamente consapevoli. Hito Steyerl lo scriveva già nel 2013 nel saggio Too Much World: Is the Internet Dead?: “se le immagini cominciano a debordare dagli schermi invadendo soggetti e oggetti, la conseguenza principale, di cui poco si parla, è che la realtà consiste ormai quasi totalmente di immagini; o meglio, di cose, costellazioni e processi che precedentemente si manifestavano in forma di immagini. Questo significa che non si può capire la realtà senza capire il cinema, la fotografia, la modellazione 3D, l’animazione o altre forme di immagine fisse o in movimento. Il mondo è trafitto da miriadi di schegge di ex immagini, di immagini rieditate, elaborate con Photoshop, ricucite insieme con frattaglie e spam”.
Negli ultimi cinque anni questo tema è stato al centro di gran parte delle mie ricerche, dei miei testi e di tutte le mostre che ho curato. Indagare l’universo delle immagini, e comprendere in che modo le utilizziamo ogni giorno e come influenzino la nostra comprensione del mondo è – in questo momento storico – la sfida più stimolante. Allo stesso tempo, è un’impresa disperata. Abbiamo a che fare con un oggetto di indagine che cambia di continuo, che assume contorni a sua volta reticolari, che sfugge alle definizioni ed è refrattario a qualsiasi processo di analisi portato avanti con gli strumenti teorici consueti e conosciuti. Nondimeno, è necessario continuare a farlo, mettendo in campo un nuovo genere di indagine perpetua, un esercizio in progress, una riflessione critica capace di essere metamorfica e fluida proprio come il suo oggetto.
Naturalmente ci sono molte altre questioni importanti che l’arte sta affrontando in rapporto all’ecosistema delle reti: dal controllo alla propaganda, dai big data all’intelligenza artificiale fino alle fake news. Tuttavia, credo che la questione della produzione e della ricezione delle immagini, intesa come dinamica centrale nel nostro processo di rappresentazione e comprensione della realtà attraverso la rete – una dinamica portata avanti in modo collettivo e disordinato – sia oggi quella più bruciante, un tema intorno al quale tutto ruota, da cui tutto discende e con cui tutto in qualche modo si intreccia, dialoga e contamina. Gli artisti non sono più i protagonisti assoluti di questo scenario, essendo la produzione e la circolazione delle immagini ormai una funzione quotidiana e diffusa, tuttavia la loro capacità di elaborazione concettuale e creativa continua a venirci in aiuto nel nostro tentativo di orientarci nello tsunami del cambiamento, come dimostrano ampiamente i tanti protagonisti di questo libro. Internet nei prossimi quindici anni continuerà a cambiare, tanto quanto è successo negli scorsi quindici, se non di più, considerando l’andamento esponenziale e costantemente accelerato dei suoi caratteri tecnici e culturali. È arrivato dunque anche per noi critici il momento di mutare per imparare a vivere questo stato di cambiamento permanente, allenando il nostro sguardo per apprendere un’attività sconosciuta, che però ben si adatta all’ecosistema della rete. Dobbiamo imparare a scrutare in velocità.
Domenico Quaranta
UBERMORGEN.COM:
it’s lustful entertainment baby!
UBERMORGEN.COM è un duo fondato nel 1999 da lizvlx e Hans Bernhard. Nel corso della loro carriera, la coppia di artisti austriaci è riuscita a stupire e a confondere tutti: i media mainstream e la critica d’arte, i social network e l’FBI, Art Basel e Ars Electronica. UBERMORGEN.COM da sempre piace ai collezionisti e a chi odia l’arte contemporanea e di suo, adora eBay e Richard Stalmann. Nel corso di questa intervista, si parla di allucinazioni consensuali e di corporation, di media hacking e di affermazione, di cultura pop e di bombe. E ovviamente, del loro ultimo progetto (ai tempi di questa chiacchierata) The Sound of eBay (2008), che chiudeva in bellezza la trilogia di opere dedicata al commercio elettronico dopo la grande crisi delle dot-com: la EKMRZ Trilogy (2005-2008).
Domenico Quaranta: “Lo adoriamo!”, dite di eBay. E io adoro questo approccio così entusiasta. La critica scontata è così maledettamente noiosa! Tuttavia, non posso che chiedermi: quanto la vostra affermazione è realmente “sovversiva”? E quanta somiglianza c’è tra amare eBay e, per dirla con Stanley Kubrick, amare la bomba?
UBERMORGEN.COM: La cosa bella dell’affermazione è che non si può dire se sia o meno sovversiva, né se possa o debba essere interpretata come tale. Quindi, è sempre una buona idea amare la bomba: sei sempre sicuro che non sarai dalla parte degli sconfitti quando la battaglia sarà combattuta e vinta, giusto? Amiamo le bombe, letteralmente, per questo usiamo eBay quotidianamente e non siamo affatto cinici nel nostro amore. La sovversione inizia quando l’affermazione vacilla e questo è un fatto individuale, una questione di percezione.
Domenico Quaranta: La EKMRZ Trilogy nel suo complesso dispiega strategie alquanto inusuali. In GWEI (2005) adottate un approccio “David vs Golia”: il processo è fantastico, il danno minimo. In Amazon Noir (2006-2007) adottate la forma narrativa del noir, in cui voi giocate la parte dei cattivi. Con The Sound of eBay, lo scontro impossibile e il furto diventano affermazione e celebrazione. Cosa diventa il media hacking con questa trilogia?
UBERMORGEN.COM: Il metodo è più o meno sempre lo stesso: l’intrusione nei mass media con mezzi lo-tech come web, e-mail, sms, cellulari, telefoni, fax, poster. Dietro l’interfaccia web usiamo tecnologie sofisticate, ma il cuore del media hack è la storia, la sua freschezza e la sua distribuzione nella rete globale dei mass media.
Abbiamo scelto tre diversi approcci per infiltrare i notiziari, la blogosfera e le riviste d’arte e ciascun progetto è stato lanciato separatamente, con un approccio molto diverso. Per GWEI abbiamo adottato una strategia mista, “bottom-up” e “top-down” al contempo; con Amazon Noir abbiamo dovuto utilizzare un criterio radicalmente “top-down” e con The Sound of eBay usiamo il metodo...

Table of contents

  1. Marco Mancuso Il fascino dell’incompleto
  2. Francesco Bergamo Il culto di Digicult
  3. Capitolo 1: Arte e Rete
  4. Valentina Tanni Introduzione
  5. Domenico Quaranta UBERMORGEN.COM: it’s lustful entertainment baby!
  6. Marco Mancuso Andy Deck e l’arte in rete: la licenza di essere artista
  7. Mathias Jansson Law of the Internet. Intervista con Constant Dullaart
  8. Robin Peckham Travess Smalley: medium fisico, tradizione digitale
  9. Filippo Lorenzin Infra-red wuthering heights: intervista con Evan Roth
  10. Simone Broglia Perdere tempo su Internet: intervista con Kenneth Goldsmith
  11. Capitolo 2: Software e Coding
  12. Filippo Lorenzin Introduzione
  13. Claudia D’Alonzo La Molleindustria, quando il gioco si fa duro
  14. Monica Ponzini Cory Arcangel, re-costructing code art
  15. Serena Cangiano Aaron Koblin: l’estetica del Data Visualization
  16. Pasquale Napolitano A More Perfect Union. La cartografia emozionale di Luke Dubois
  17. Filippo Lorenzin Unire e separare le realtà: intervista con Joseph Delappe
  18. Marco Mancuso I dati non sono solo numeri. Alcune “carissime domande” a Giorgia Lupi
  19. Capitolo 3: Cinema e Audiovisivi
  20. Claudia D’Alonzo Introduzione
  21. Marco Mancuso Kurt Hentschlager. Feed: il collasso dello spazio visibile
  22. Claudia D’Alonzo Metodo otolab
  23. Silvia Scaravaggi Le linee di indagine e di ricerca di Joost Rekveld
  24. Pia Bolognesi Il cimitero perduto delle immagini. Conversazione con Carlos Casas
  25. Marco Mancuso Peter Tscherkassky. Audiovisivi da una camera oscura
  26. Martina Raponi Global Proxy: intervista con Nicolas Maigret
  27. Capitolo 4: Suono e Musica
  28. Elena Biserna Introduzione
  29. Giuseppe Cordaro Taylor Deupree: la bellezza del minimalismo
  30. Matteo Milani Passeggiando in città con Christina Kubisch
  31. Elena Biserna Brandon LaBelle. Da dove vengono i suoni e dove vanno?
  32. Pia Bolognesi Costellazioni e frammenti. Il suono di Stephan Mathieu
  33. Roberta Busechian L’enigmista dei suoni. Intervista a Francisco Lopez
  34. Ana Carvalho Lo spartito come strumento. Intervista a Samson Young
  35. Capitolo 5: Performance e Teatro
  36. Annamaria Monteverdi Introduzione
  37. Annamaria Monteverdi Klaus Obermaier: la strana danza dei nuovi media
  38. Annamaria Monteverdi …Critical Art Ensemble…
  39. Claudio Musso Gob Squad. Neverending live cinema
  40. Pia Bolognesi, Claudia D’Alonzo Pratiche di critica urbana. Intervista al collettivo Democracia
  41. Donata Marletta Bill Vorn. Immerso in un mondo di robot, metafore e paradossi
  42. Mario Margani Choy Ka Fai. Corpo, memoria, speculazioni
  43. Capitolo 6: Design e DIY
  44. Donata Marletta Introduzione
  45. Marco Mancuso Daniel Rozin, lo specchio dell’anima
  46. Silvia Bertolotti Morphoteques. Intervista a Erwin Driessen e Maria Verstappen
  47. Donata Marletta L’oriboticista. In conversazione con Matthew Gardiner
  48. Federica Fontana Modellando futuri possibili. Intervista a Pinar Yoldas
  49. Zoe Romano Al makerspace con l’inventrice del primo tessuto vivente: Lining Yao
  50. Federica Fontana Lungo i flussi di minerali: un’indagine sui rifiuti elettronici. Intervista con Formafantasma
  51. Capitolo 7: Architettura e Spazi Pubblici
  52. Sabina Barcucci Introduzione
  53. Silvia Scaravaggi Daan Roosegaarde. Un mondo interattivo e sostenibile
  54. Monica Ponzini Rafael Lozano-Hemmer: architettura relazionale
  55. Marco Mancuso Aether Architecture: spazi reali, spazi virtuali
  56. Elena Biserna Daniel Dendra e OpenSimSim. Open source e pratiche architettoniche
  57. Sabina Barcucci Voluptuous Data. Matias del Campo e Span Architects
  58. Maddalena Mometti La dimensione etica delle macchine sensibili. Philip Beesley e l’industria 4.0
  59. Capitolo 8: Arte e Scienza
  60. Marco Mancuso Introduzione
  61. Silvia Scaravaggi Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand. La coscienza attuativa del futuro cibernetico
  62. Tiziana Gemin Warren Neidich, tra cervello e cultura
  63. Silvia Scaravaggi L’esperienza interattiva di Victoria Vesna
  64. Silvia Bertolotti Displace 2.0: mediazione delle sensazioni. In dialogo con Chris Salter
  65. Donata Marletta Un’interazione con i batteri: intervista ad Anna Dumitriu
  66. Bianca Cavuti Il futuro dietro l’angolo: intervista con Heather Dewey-Hagborg
  67. Capitolo 9: Attivismo e Società
  68. Bertram Niessen Introduzione
  69. Tatiana Bazzichelli Felix Stalder: il futuro delle digital communities
  70. Maresa Lippolis Geert Lovink: libere pratiche di collaborazione nei network P2P
  71. Loretta Borrelli Bifo: l’arte e la vita quotidiana nel dopofuturo
  72. Tatiana Bazzichelli Paolo Cirio. Quando il furto diventa arte
  73. Filippo Lorenzin Diffondere ciò che è stato distrutto: intervista con Morehshin Allahyari
  74. Filippo Lorenzin Gabbie mediate. Intervista con Zach Blas
  75. Capitolo 10: Cultura e Mercati
  76. Domenico Quaranta Introduzione
  77. Lucrezia Cippitelli, Marco Mancuso Andreas Broeckmann, New Media Art contemporanea
  78. Giulia Simi Lev Manovich: software culture. La grammatica comune dei media
  79. Robin Peckham Post-Internet e post gallerie. Conor Backman e la Reference Gallery
  80. Daniela Silvestrin Dialoghi sulla Bioarte. Conversazione con Jens Hauser
  81. Marco Mancuso Sedition. La piattaforma che sta cambiando il mercato dell’arte
  82. Alessio Chierico New Media Art e mercati dell’arte: intervista con Christiane Paul
  83. Bibliografia
  84. Biografia autori nella pubblicazione
  85. Gli autori del Network di Digicult (2005-2020)
  86. Ringraziamenti