PARTE II
PRINCIPI COSTITUZIONALI E INTERSEZIONI CON IL PENSIERO FEMMINISTA
1.
AUTONOMIA RIPRODUTTIVA ED EGUAGLIANZA SESSUALE NEGLI STATI UNITI
Nel diritto costituzionale statunitense la fecondazione medicalmente assistita è inquadrata in una prospettiva liberale e ascritta all’ambito delle libertà riproduttive, le quali ruotano prevalentemente intorno al right to privacy1, uno dei diritti non enumerati elaborati a partire dalla due process clause (IX e XIV emendamento)2. Benché non vi siano decisioni della Corte Suprema che puntualmente colleghino il right to privacy alle tecniche di procreazione – i giudici hanno negato il certiorari quando era stato loro richiesto – la dottrina è solita riferirsi ai precedenti in tema di contraccezione e aborto3: particolarmente pertinente è ritenuto il passaggio di Eisenstadt secondo cui “se il diritto alla privacy significa qualcosa, esso è il diritto dell’individuo, sposato o single, di essere libero da un’arbitraria intrusione governativa in questioni che toccano la persona molto profondamente come la decisione se concepire o generare un figlio”4. Vengono inoltre richiamate alcune pronunce sull’illegittimità della sterilizzazione forzata e sui diritti di formare una famiglia e di educare i propri figli, sempre ricondotti al XIV emendamento5. Nel riferirsi alla linea giurisprudenziale sulla contraccezione e sull’aborto si fa un’implicita equazione tra il diritto a contenuto negativo di non procreare e quello a contenuto positivo di procreare, inteso per lo più come pretesa a che lo stato non interferisca nelle iniziative che i privati pongono in essere a questo fine e non come pretesa a che lo stato predisponga mezzi e risorse in tal senso. In linea con il mito fondativo americano e con la tradizione liberale, il right to privacy è quindi considerato, anche alla luce del dibattito in tema di fine vita, come espressione del principio di autonomia, ossia come il diritto a condurre la propria vita nella maniera che corrisponde al proprio sé, ai propri progetti e al proprio senso di stare al mondo6.
Vi sono peraltro due filoni della giurisprudenza statunitense sul substantive due process: l’uno enuclea un nuovo diritto solo se coerente con la storia e la tradizione americana, l’altro fa leva su principi universali di giustizia e sulla portata espansiva dell’autonomia7. In Casey (la seconda sentenza-chiave sull’aborto dopo Roe v. Wade) ha prevalso il secondo orientamento: le scelte rientranti nella sfera intima e personale, in quanto contribuiscono a definire “il proprio concetto dell’esistenza” e la propria visione del mondo, riguardano l’autonomia personale e toccano il nucleo della libertà protetta dal substantive due process8. Questa linea è stata in parte ripresa dalle più recenti decisioni in materia di diritti delle persone omosessuali, anche per quanto concerne l’accostamento del concetto di dignità a quello di autonomia9: se nell’ordinamento si è fatto ricorso alla dignità molto di rado o in maniera ambivalente (come nella giurisprudenza sull’aborto)10, essa è stata qui intesa in senso soggettivo e collegata al principio di non-discriminazione11. E tuttavia il rilievo della stigmatizzazione sofferta dagli omosessuali connota tale principio almeno in parte anche nel senso oggettivo della non-umiliazione12. Il forte radicamento della libertà individuale (liberty) nell’ordinamento statunitense, unito a un tendenziale favore per la tecnologia, sostiene comunque una lettura espansiva dell’autonomia e induce a far rientrare un diritto alla procreazione nell’alveo del right to privacy o comunque del substantive due process.
Come tutti i diritti, anche quello alla procreazione va tuttavia incontro a dei limiti. Nel campo della procreazione assistita questi sono costituiti prevalentemente dall’interesse pubblico alla salute delle donne e dei bambini e da quello alla tutela dei consumatori, segnatamente delle coppie infertili che si rivolgono ai centri specializzati, interessi idonei a giustificare restrizioni alle leggi in materia13. Alcuni autori, da un punto di vista spiccatamente liberale e individualista, hanno affermato una presunzione di primazia della libertà procreativa, nella misura in cui il più ampio esercizio di essa è ritenuto fondamentale per lo sviluppo dell’identità della persona; ciò implica che l’onere di giustificare una misura restrittiva di tale libertà ricada su chi effettua la restrizione e che tale giustificazione debba rispettare requisiti stringenti14. Molto meno frequenti, rispetto al contesto europeo, sono i richiami in funzione limitativa al principio di dignità in senso oggettivo: tale tendenza riflette il diverso orientamento dell’esperienza statunitense, per lo più diffidente verso un valore che si presta a veicolare concezioni morali compatte e maggioritarie, restringendo libertà individuali e spazi di pluralismo15. Coerentemente con queste premesse, anche il limite rappresentato dall’interesse pubblico alla conservazione di una certa idea di moralità diventa recessivo16.
Alcune autrici sensibili al pensiero femminista si sono domandate se il primato dell’impostazione liberale nel diritto statunitense rifletta un bias in favore del genere maschile17. Se infatti le libertà riproduttive sono state costruite intorno al right to privacy e all’autonomia individuale, secondo un modello di essere umano che presuppone la separatezza e l’indipendenza dei singoli, ciò non comporta automaticamente una maggiore valorizzazione della soggettività femminile18. Ancora, tali studiose hanno evidenziato, riprendendo le posizioni delle femministe radicali, come alla giurisprudenza sul right to privacy sia sottesa l’immagine dell’uomo propria della narrazione liberale dominante – separato, indipendente, neutrale – che cerca di realizzarsi al di là di ostacoli interni ed esterni, ma non invece quella della donna. L’immagine di quest’ultima è invero complessa: da una parte ricerca connessioni e legami, temendo la separazione dagli altri esseri umani, dall’altra desidera una propria individuazione, rifiutando l’intrusione e l’invasione del proprio corpo da parte dell’uomo19. Nella vicenda abortiva è questo secondo aspetto a prevalere, esendo la gravidanza indesiderata percepita come un’invasione del corpo in un contesto patriarcale di oppressione maschile. L’individuazione a cui le donne aspirano si colloca comunque su un terreno antecedente rispetto a quello dell’autonomia individuale rivendicata dai liberali: sia perché gli ostacoli da rimuovere sono rappresentati da un’occupazione interna del corpo e da una dislocazione del sé causata da un’urgenza sul piano fisico più che da un’aggressione esterna, sia perché il bene protetto non è tanto il diritto di perseguire i fini che ci si è posti ma quello preliminare di poter auto-definire il proprio sé, con i propri desideri e le proprie paure, quale presupposto per poter delineare in un secondo momento un progetto di autonomia. In ogni caso il right to privacy ha per la donna una dimensione più corporea che ideale, essendo strettamente legato all’integrità fisica20. Esattamente è stato poi notato come una prospettiva esclusivamente liberale non riesca a mettere a fuoco il più ampio contesto culturale, sociale e politico nel quale si pongono in essere le scelte riproduttive, un contesto attraversato da forti diseguaglianze che rischiano altrimenti di essere ignorate21. Per tenere conto di un contesto siffatto, avvertendo l’inadeguatezza di un approccio incentrato soprattutto sulla litigation, si è suggerito pertanto di ragionare in termini più comprensivi di giustizia riproduttiva22. Si sono così incrociate anche le istanze delle femministe nere, le quali hanno storicamente posto l’attenzione su questioni ignorate o considerate per lo più marginali dalle femministe bianche, come le sterilizzazioni forzate, gli interventi ginecologici non necessari, la salute riproduttiva e l’accesso ad aborti coperti dal finanziamento pubblico23.
Quest’ultima prospettiva mostra degli evidenti punti di contatto sia con il filone di studi sulla relational autonomy (capp. I.2 e I.3)24 sia con quello, più circoscritto all’ambito giuridico-costituzionale, che ha cercato di leggere le questioni riproduttive alla luce del principio di eguaglianza25. Si tratta di un tema emerso già all’indomani di Roe v. Wade, avendo diverse studiose lamentato la mancata considerazione, da parte della Corte Suprema, della specifica esperienza femminile. In Casey la Corte si è mostrata sensibile verso queste critiche, riconoscendo il nesso tra il controllo della donna sulla propria attività riproduttiva e “l’abilità delle donne di partecipare in termini di eguaglianza alla vita economica e sociale della nazione”26. L’eguaglianza sessuale può però venire intesa in due modi diversi: vuoi nelle vesti di un principio di antidiscriminazione, vuoi in quelle di un principio di antisubordinazione che solleva questioni di eguaglianza sostanziale27. Mentre il principio di antidiscriminazione è particolarmente enfatizzato dalla cultura liberale nordamericana, quello di eguaglianza sostanziale mette maggiormente a fuoco i contenuti patriarcali e socio-economici delle critiche avanzate dalle femministe radicali e marxiste/socialiste alle tecnologie riproduttive e in particolare alla surrogazione di maternità28.
Venendo al tipo di regolamentazione in materia di procreazione assistita e di surrogazione di maternità, bisogna ricordare che negli Stati Uniti non vi sono normative uniformi a livello federale, essendo la disciplina rimessa ai singoli stati. L’assenza di una legge federale è dovuta a un insieme di cause concorrenti: il rifiuto da parte della federazione, nel corso degli anni ottanta e durante le presidenze di Ronald Reagan e George Bush sr., di finanziare con fondi pubblici la ricerca in questo settore, rifiuto coerente sia con la tendenza del partito repubblicano a tagliare le spese dello stato sociale per favorire la libera iniziativa dei privati, sia con la vicinanza ideologica dello stesso partito ai gruppi antiabortisti, i quali dopo la sentenza Roe v. Wade avevano scatenato forti reazioni e scoraggiato iniziative legislative volte a disciplinare la procreazione assistita e a sovvenzionare le attività correlate29. La ricerca si è quindi sviluppata soprattutto sulla base di fondi privati nei singoli stati, i quali sono intervenuti a regolamentare la prassi solo in seguito, facendolo peraltro in maniera piuttosto blanda e lasciando molto spazio all’autoregolamentazione, soprattutto attraverso le direttive emanate dalle associazioni professionali dei medici, nel cui orizzonte per molto tempo si sono mossi anche i comitati etici. La scelta di una regolamentazione leggera riflette del resto l’approccio di “parsimonia regolativa” adottato negli Stati Uniti nei confronti delle innovazioni tecnologiche, che vengono vietate solo quando si prova che sono effettivamente dannose, consentendosi altrimenti il loro esercizio e la loro sperimentazione30. L’altra principale fonte normativa in materia di procreazione assistita nell’ordinamento statunitense è costituita dalle pronunce giurisprudenziali31.
Più complesso è il quadro per quanto riguarda la surrogazione di maternità: alcuni stati ammettono la surrogazione altruistica, altri anche quella commerciale; alcuni la proibiscono con una sanzione penale, altri considerano nulli i relativi contratti; alcuni prevedono dei meccanismi, anche giudiziali, per certificare la libertà del consenso della madre surrogata, altri non lo fanno; alcuni aprono l’accesso a chiunque voglia avvalersi di queste tecniche, altri lo selezio...