Libertà antica e moderna a confronto
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Libertà antica e moderna a confronto

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Libertà antica e moderna a confronto (Londra, 1734) è il manifesto della nuova libertà etico-politica che si afferma dopo la rivoluzione inglese del 1688, tra i Due trattati sul governo di Locke (1690) e Lo spirito delle leggi di Montesquieu (1748). Con il nuovo ordine politico fissato nei princìpi del governo rappresentativo sorgono i tratti fondamentali della società moderna qui descritti: un'opinione pubblica frutto della libertà di stampa, i partiti politici con le strategie di produzione del consenso, la manipolazione della comunicazione attraverso la retorica scritta e parlata, l'uso della storia in funzione degli interessi del presente, la formazione di un establishment. Lord Hervey – vicino alla corte e fidato comunicatore del primo ministro inglese Robert Walpole – celebra i vantaggi della nuova società, capace di accrescere denaro e libertà e di contenere i due opposti pericoli del dispotismo e del disordine. Nella diatriba sulla superiorità tra antichi e moderni, egli propende decisamente per i moderni, sottolineando i benefici delle nuove istituzioni, non senza rilevarne le importanti benché talora ambigue ricadute antropologiche.

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JOHN HERVEY

LIBERTÀ ANTICA E MODERNA A CONFRONTO

Londra
Stampato per J. Roberts, presso l’Oxford-Arms in Warwick-Lane1
1734
The Oxford Arms in Warwick Lane (sullo sfondo la cupola della chiesa di St. Paul’s).
Fonte: Victorianweb
1Tra il XVII e il XVIII secolo, The Oxford Arms era una sorta di stazione di posta sita in Warwick Lane (vicino a St. Paul’s). Fu demolita nel 1876. Cfr. John Bejeman, Victorian and Edwardian London from old photographs, London, Batsford, 1969, plate 12 consultabile anche online: http://www.victorianweb.org/art/architecture/london/59.html. John Roberts fu anche l’editore di J. Swift e di D. Defoe.

PREMESSA

La libertà di questo paese è tanto essenziale sia alla nostra grandezza come nazione, sia alla nostra felicità come popolo, che non mi meraviglio che coloro i quali sarebbero lieti di riversare odio sul governo attuale si sforzino di continuo d’allarmare il popolo circa la libertà, e tentino d’insinuare sospetti proprio su ciò intorno a cui – per la sua importanza – il popolo ha da essere più suscettibile e impressionabile nonché più apprensivo, dati i pericoli che potrebbe correre a riguardo.
Tuttavia se guardo al modo in cui gli scrittori antigovernativi hanno trattato questo argomento, non posso far a meno di pensare che tanto spesso hanno prostituito il nome di libertà, quanto hanno abusato del godimento di essa.
Costoro discorrono spesso di libertà in genere e di frugalità del governo, come se una società potesse reggersi senza una qualche restrizione della libertà naturale, o un governo potesse operare senza spese: due cose impossibili. Questa palese impossibilità costituisce una secca risposta a tutto il presuntuoso ragionamento svolto dal minuzioso trattato intitolato The sequel to politicks on both sides1; un modello di politica economica riducibile al seguente modo di pensare: se uno deve ad un altro venti volte la rendita annuale della sua proprietà, per sgravarsi del debito, basterebbe che costui digiunasse e se ne andasse in giro nudo per un ventennio. Tuttavia ciò non è il tema di quest’opera e pertanto torno alla questione della libertà. Come si deve ammettere che nella società la quiete e l’ordine si mantengono in forza di talune restrizioni poste alla libertà naturale, e che la completa anarchia (in cui la libertà naturale sarebbe illimitata) rappresenterebbe un male tanto grande quanto la schiavitù (dove nessuna libertà sarebbe permessa); così la forma di governo meglio regolata e più idonea ha da essere quella che scansa gli inconvenienti di entrambi gli estremi e che ad un tempo salvaguarda il genere umano: vuoi dall’oppressione che scaturisce dall’assoluta sottomissione alla volontà di uno solo, vuoi dalla confusione che risulta dall’illimitata indulgenza verso le diverse volontà2.
Tuttavia come mai vi fu né forse mai vi sarà nessuna forma di governo capace di raggiungere questo medium3 tanto precisamente da non esporsi a obiezioni – senza contare che per diverse considerazioni e per l’imperfezione d’ogni cosa, essa potrebbe essere persino incapace di miglioramento – allo stesso modo è impossibile giudicare qualsivoglia istituzione umana, e parimenti qualsivoglia umana virtù, se non per comparazione. E come i moderni autori che trattano questo soggetto insistono spesso sulle mancanze dell’attuale governo, celebrando la felicità dei tempi passati, specialmente quando si parla di libertà; così dal canto mio proverò a porre la comparazione tra libertà antica e moderna in una luce tanto concisa, chiara e vera, quanto la cognizione che possiedo della storia inglese mi permetterà e quanto mi consentirà la natura d’una simile disquisizione4.
1William Pulteney, conte di Bath (1684-1764), An enquiry into the conduct of our domestick affairs, from the yaer 1721, to the present time. In which the case of our national debt, the sinking fund, and all extraordinary grants of money are particulary consider’d. Being a sequel to politicks on both sides. The second edition corrected, London, printed by H. Haines …, 1734. La prima edizione è dell’aprile 1734, cui a breve segue la seconda. The politicks on both side (gennaio 1734 e poi aprile 1734: vedi sotto) costituiva la prima parte, dedicata alla politica estera, mentre qui (nel séguito) si discorre della politica interna e della politica economica. Pulteney lamenta la troppa spesa pubblica e soprattutto contesta la competenza della corona sul bilancio auspicando che se occupi il tesoro. Alla corte chiede “la più rigorosa frugalità” (p. 32) mentre almeno tre voci di spesa riconducibili ad essa (due civili e una militare) a suo avviso non sembrano sotto controllo (p. 5). Pulteney non osa invocare nuove tasse per far fronte a quella che dipinge come una potenziale bancarotta (p. 52): forse perché l’ammontare del debito pubblico non era così preoccupante, né d’altronde si poteva lamentarne l’aumento (dai cinquantaquattro milioni di sterline del 1716 era passato ai cinquanta del 1733). Senza contare i progressi economici del paese nell’ultimo ventennio. Invero Pulteney sostiene che, se si fosse speso meno, il debito si sarebbe ridotto a un terzo. Per questo Hervey ha buon gioco nel rinfacciargli una mentalità prefinanziaria che non considera il debito – a condizione che sia sotto controllo, non aumenti e la ricchezza nazionale cresca – una risorsa e non qualcosa da estinguere a tutti i costi. Senza contare il senso propagandistico delle argomentazioni di Pulteney, che in ogni caso si rivolgevano a gruppi sociali talora estranei od ostili all’economia moderna ed in particolare a quella finanziaria.
2Generica impostazione caratteristica di coloro che avversavano l’assolutismo monarchico e ad un tempo il repubblicanesimo e che nell’età hannoveriana si riconoscevano nel compromesso del Bill of rights (1689), pur non sempre condividendone gli esiti o problematizzandoli. Ad esempio scrivendo in difesa delle prerogative delle cortes castigliane, fino alla loro riduzione all’impotenza ad opera di Carlo V – prerogative ben contemperate con le prerogative del sovrano, al punto da dar luogo ad un riuscito governo ‘misto’ – Michael Geddes (Miscellaneous tracts, London, printed for A. and J. Churchill, 1702-1705-1714, 3 voll., vol. I, cap. III, p. 323), dopo aver ricordato che solo in Inghilterra e in Scozia tale felice forma costituzionale sopravvive ancora insieme alla monarchia ereditaria, afferma che di ciò bisogna rallegrarsi, poiché una tale forma di governo è “un inespugnabile baluardo contro anarchia e tirannia, i due grandi flagelli dell'umanità [an impregnable bulwork against anarchy and tyranny, the two great plagues of mankind]”.
3In latino nel testo.
4Gli oppositori dell’establishment non si faranno convincere. L’animatore del principale periodico d’opposizione, il “Craftsman”, l’anno dopo la pubblicazione del saggio di Hervey rincara la dose: “La necessaria indipendenza dei parlamenti, in cui consiste l'essenza della nostra costituzione e per conseguenza della nostra libertà, sembra correre il grande, per non dire imminente rischio d'andar perduta [This necessary independency of parliaments, in which the essence of our constitution, and by consequence of our liberty consists, seems to be in great, not to say, in imminent danger of being lost]” (Henry Saint John Bolingbroke, A dissertation upon parties; in several letters to Caleb D’Anvers … Dedicated to the right Honourable Sir Robert Walpole. The second edition, London, printed by H. Haines, 1735, London, printed for R. Francklin, 17548, p. 215). Nella pagina seguente l’autore spiega che il pericolo consiste nel fatto che libertà privata, libertà pubblica e costituzione stessa non sono indipendenti bensì sono soggette ad una volontà allotria e arbitraria.

PARTE I
PASSATO E PRESENTE

Allorquando si parla di libertà della vecchia Inghilterra confrontata o contrapposta a quella che ora vige in questo paese, non posso fare a meno di pensare che o si parli di ciò che non si capisce, o ci si rivolga a coloro che si spera non capiscano: giacché se solo si compisse una minima riflessione sul modo in cui questo regno è stato governato dall’epoca di Guglielmo il Conquistatore ai nostri giorni; se solo si desse una scorsa alla serie dinastica dei re inglesi, comprendendo il senso di quanto narrato negli annali di ciascun sovrano; allora qualsivoglia onesto ed assennato commentatore potrebbe dire se, in una qualsiasi epoca precedente, la libertà sia mai stata esercitata e goduta più ampiamente di quanto avvenga nel tempo presente.
Fino alla Restaurazione del 1660-1668 non v’era niente di simile a quel che chiamiamo libertà; dopo la Restaurazione essa fu ancora niente rispetto alla forza che acquistò con la rivoluzione del 1688: forza che, una volta acquistata, a mio avviso, è tanto lungi dall’essere indebolita che, anzi, mai crebbe con tanto vigore quanto nel felice e prospero regno dell’attuale maestà. Il che non viene sostenuto solo dagli amici del presente governo, ma è anche provato dai nemici, quando condiscono le loro lamentele circa la libertà perduta con tali sconce invettive contro i pretesi distruttori di essa – i quali ne sono i veri guardiani – che la più solida dimostrazione che si può allegare della falsità di simili accuse è fornita dal fatto stesso che le propalino impunemente ogni giorno. “Non solo la libertà, ma persino la licenza restava impunita; e chi reagì, si vendicò delle parole con le parole”1. Se dalla Restaurazione ci si volge al Conquistatore, si vedranno i mutamenti intervenuti nel governo: mutamenti che erano solo passaggi da un tiranno, o da un genere di tirannia, ad un altro. Rispetto alla persona del tiranno, v’erano tiranni gloriosi e ingloriosi, ignavi e intraprendenti, vincenti e perdenti; però da uno all’altro la tirannia non cessava né variava mai. Rispetto al tipo di tirannia, si trattava delle medesime tristi traversie subite dal popolo oppresso senza interruzione. Talvolta prevaleva la tirannia regia d’un principe, talaltra quella aristocratica dei baroni, un’altra ancora (come durante i regni di Enrico II e della regina Maria I) si verificava la tirannia ecclesiastica del clero. E succedeva anche che si presentassero tutte insieme, ciascuna nell’ambito suo proprio. Sicché tra oppressione monarchica, oligarchica o clericale2 non v’era differenza, bensì passaggio da questo a quel tiranno, oppure passaggio da un solo tiranno a molti. E, fra il popolo, qualunque genere di libertà mostrava un’apparenza talmente esile, che, per riprendere i termini già usati, non ho mai udito nessuno lodare con encomi entusiastici la libertà della vecchia Inghilterra: e non sono così poco orgoglioso dei miei avi al punto da riservare loro un encomio tanto modesto, né dei miei contemporanei al punto da concederlo senza motivo3.

Dinastia normanna

Quanto alla libertà di questa terra durante la dominazione della linea normanna, ognun sa che non ve n’era nessuna. Il diritto di conquista, i timori del Conquistatore unitamente allo scoramento dei conquistati, rendevano l’uno molto ansioso di render sicuro e rafforzare le sue prerogative, e gli altri troppo soggetti all’indebolimento causato dalle lotte interne per non sottomettersi a qualsivoglia regime piuttosto che restare esposti ai con...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. INTRODUZIONE: HERVEY E IL DISCORSO DELLA STORIA
  6. NOTA ALLA TRADUZIONE
  7. LIBERTÀ ANTICA E MODERNA A CONFRONTO