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About this book
Postuma è una silloge poetica del geniale Olindo Guerrini, attribuita dallo stesso autore a un inesistente cugino, Lorenzo Stecchetti, morto di tisi a trent'anni… Il libro - pubblicato nel 1877 e composto di 85 poesie, in gran parte sonetti - riscosse un successo tale da surclassare addirittura le contemporanee Odi barbare di Giosue Carducci. Vi si trovano famose liriche della poesia popolare dell'Ottocento, come Memento e Il canto dell'odio. Nel corso della vita dell'autore ne uscirono ben 32 edizioni.
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Information
POSTUMA
I.
Poveri versi miei gettati al vento,
Della mia gioventù memorie liete,
Rime d’ira, di gioia e di lamento,
Povere rime mie, che diverrete?
Ahi fuggite, fuggite il mondo intento
A flagellar chi non l’amò; premete
L’inculto sì ma non bugiardo accento,
Consce dell’amor mio, rime discrete.
E se la donna mia ritroverete
Per cui le angosce della morte io sento,
Voi che il segreto del mio cor sapete,
Voi testimoni del perir mio lento,
Quanto, quanto l’amai voi le direte,
Poveri versi miei gettati al vento.
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II.
NATALIZIO
... Così nel mondo
Sua ventura ha ciascun dal dì che nasce
(Petrarca)
Triste chi errando in quella notte cieca
Col terror dell’ignoto alle calcagna
Per queste selve, udì strider la bieca
Voce del gufo e ulular la cagna.
Tutti i fantasmi che la notte arreca
Sceser qui tutti, e dalla sua montagna
Solo il cupo ladron che al giorno impreca
Non calò quella notte alla campagna.
Come nembo di furie agitatrici
De’ satanici amplessi al rito immondo
Sceser le streghe dalle lor pendici.
Triste colui che in quel terror profondo
Trasse della sua vita i primi auspici!
In quella notte io son venuto al mondo.
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III.
Era una notte come questa e il vento
Scuoteva urlando la mia porta invano:
Lunga come un lamento
Mezzanotte battea lontan lontano,
Cadea la pioggia a rivi
Dalle gronde sonore e tu partivi.
Tu partivi per sempre e io sul letto,
Col viso in giù, la coltrice mordea:
Mi strideva nel petto
Il singhiozzo del pianto e non piangea.
Così tu m’hai lasciato
E il bacio dell’addio non me l’hai dato.
Da quella notte non t’ho più veduta
E più nulla di te non seppi mai.
Forse tu sei caduta
Nel vitupero e aspettando stai,
Seduta sulla porta,
Chi compri il bacio tuo; forse sei morta.
Forse, e questo pensier più mi tormenta,
Non ti ricordi più del tuo passato,
E godendo contenta
La casta pace d’un imen beato,
Baci col labbro pio
I figli d’un amor che non fu il mio.
Nel tempo anch’io sperai che pur conforta,
Che spegne pure ogni dolor più greve.
Ti volli creder morta
Perché scordarsi degli estinti è lieve,
E dissi al cor mio gramo,
Dissi all’anima mia: dimentichiamo.
Invan. Da quella notte io porto in core
Come una piaga che guarir non vuole;
Chiuso nel mio dolore
Odio la terra, maledico il sole,
Maledico la vita,
Perché non spero più; tu sei partita.
E partita per sempre! e pur se sento
La piova ancor che dalle gronde scroscia
E a mezza notte il vento
Sonar come un lontano urlo d’angoscia,
Dal mio guanciale il volto
Levo e le voci della notte ascolto.
Così mal desto le tue bianche forme,
Velate come in sogno, io veggo in mente;
Tace per poco e dorme
Il tarlo roditor che lentamente
La mia vita divora,
E mi par quasi d’aspettarti ancora.
Può la mente scordar tutto un passato,
Ma la mia carne non li scorda mai
I baci che m’hai dato,
I misteri d’amor che t’insegnai,
Le notti mie più liete,
E le tue voluttà le più segrete.
Ahi, ma dal mio sopor tosto destato,
L’atroce verità riveggo intera!
Ignudo e forsennato
Levo le braccia nella notte nera
E sulla coltre sola
Spasimo e il pianto mi s’annoda in gola.
Pianger non posso. Maledetto Iddio,
Se favola non è come l’amore,
Egli che il pianto mio
Come una pietra mi saldò nel core,
Egli che ci ha diviso
E che il pianto mi nega e il tuo sorriso!
Oh, se pianger la morte mi facesse,
Se una lagrima sola, un’ora sola
De’ gaudi tuoi mi desse,
Ricada sovra me la mia parola
Se la casa di grida
Non risonasse già pel suicida!
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IV.
Maudit printemps reviendras-tu toujours?
(Béranger)
Primavera, che tu sia maledetta!
Ché fra i rami de’ tigli io la vedea
Allor che sola al suo balcon sedea
L’inverno a far l’amore e la calzetta.
Baciandoci cogli occhi, alla vedetta
Sempre stavamo il dì, né fronda rea
L’innocente baciar ci contendea...
Già il difetto del tempo è la gran fretta!
E il mal tornato sole ora discioglie
L’amica neve e i tigli alla leggiera
Aura del novo april metton le foglie.
Un fitto vel di fronde, una severa
Siepe di rami i baci suoi mi toglie.
Che tu sia maledetta, primavera!
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V.
MEDIO EVO
Eran folte le tenebre
Ed ogni cosa nel castel tacea,
Ma il biondo paggio in carcere,
Solo col suo dolor, così piangea:
«Ahi, troppo in alto, misero,
Ho la speranza e l’amor mio levato!
Amai del re la figlia
E vivo in questo avel m’han sotterrato!
«Oh, se una sola lacrima
Io le fossi costato, un sol pensiero,
Questo sepolcro squallido
Io non lo muterei con un impero!»
Quando una bianca immagine
Improvvisa comparve in sulla porta
E trepidando il giovane
Le domandò: «Chi sei, povera morta?»
«Morta non son - gli mormorò
La parvenza gentil - guardami, tocca!...
Non sai? Le scolte dormono:
Son la figlia del re: baciami in bocca».
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Table of contents
- Copertina
- POSTUMA
- Indice
- Intro
- Al lettore
- POSTUMA
- Ringraziamenti