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Oltre a La poesia dei Goliardi, questo libro riporta anche Tarocchi versificati. I due scritti sono tratti da Poesie, leggende e costumanze del Medioevo di Giulio Bertoni. Il primo testo spiega le origini medievali di una denominazione e ne giustifica l'assurgere a genere letterario, il secondo racconta la nascita e la diffusione di un colto e raffinato gioco di società nelle lussuose Corti rinascimentali.
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History of ArtLa poesia dei Goliardi
«Scolare» era nel medio evo un vocabolo, si può dire, sinonimo di «chierico». I chierici con la tonsura ricevevano un benefizio più o meno adeguato alle esigenze della loro vita e potevano perciò darsi agli «ozi» degli studi. Erano, come vedremo, ozi agitati e combattuti; ma ciò non toglie che essi fossero considerati dalle altre classi sociali, date all’armi o al commercio o all’agricoltura, come veri e propri ozi.
I chierici si dividevano in «regolari» e «secolari»; gli uni e gli altri in obbligo di mantenere il celibato e l’abito chiericale, ma i primi erano aggravati di maggiori doveri che i secondi. Quando questi scolari o chierici, che dir si voglia, si facevano vaganti, restavano sempre alla dipendenza del capo della loro diocesi. Generalmente erano sottomessi al vescovo; ma se erano canonici, riconoscevano l’autorità del loro capitolo, e se erano monaci, quella dell’abate. Datisi a una vita randagia, da Università a Università, vivevano della loro prebenda, e quando questa non bastava, ricorrevano alla famiglia o agli amici o chiedevano la carità o si facevano precettori di giovani nobili o anche segretari o quasi servi dei condiscepoli, più agiati.
In generale, i costumi di tutti gli studenti, chierici o laici, erano assai liberi per molte ragioni, tra le quali, non ultima, l’abbandono in cui si trovavano le principali Università sopra tutto nel secolo XII, cresciute rapidamente e fattesi numerose prima che l’autorità avesse avuto il tempo d’intervenire con savi temperamenti. Verso il 1140, San Bernardo in una sua orazione De conversione ad clericos dava degli scolari del suo tempo un giudizio assai poco lusinghiero e ne descriveva con tratti tutt’altro che benevoli la vita.
Il vagabondaggio favoriva naturalmente la corruzione dei chierici, i quali, lontani dalle rispettive diocesi, erano più liberi nei loro atti, non essendo più sottoposti al controllo immediato del vescovo e dei superiori. Già a tempo di S. Bernardo, l’autorità religiosa aveva fatto sentire le sue lagnanze e aveva incominciato a prendere provvedimenti. Innocenzo II si dichiarava poi contrario a quei monaci i quali si dedicavano ad leges temporales et medicinam gratia lucri temporalis. A tutti gli ecclesiastici indistintamente si estendevano alcune proibizioni, fatte già nel 1123, di non accoppiarsi con concubine e, nel 1228, di non troppo avvicinare il viso a quello delle donne, fossero esse zie o sorelle: fugiat ergo feminea oscula Christi militia per quae solent homines saepe periclitari. I chierici a dire il vero davano un gran da fare alla Chiesa. Questa comandava loro di astenersi dalle crapule, dall’ubbriacarsi e incaricava gli arcidiaconi e i superiori di vigilare che non prendessero moglie e non si unissero con donne di mal affare. Alle concubine dei chierici erano negati il pane benedetto, l’acqua benedetta e il bacio della pace. La serie delle proibizioni non si limitava a ciò. I chierici non dovevano assistere a giochi disonesti, né prender parte a balli, né a gildales [1] , «nec sustineant ludos fieri de rege et regina, nec arietes levari, nec palestras publicas fieri [2].» Si proibiva loro di portare bottoni d’oro o d’argento alle vesti o di mostrarsi in pubblico cum balandranis (palandre) s eu garmasiis vel aliis vestibus laicorum. Non dovevano portare nec comam nec barbam, non era loro concesso di «trepidare», cioè far la giostra ( quod vulgariter biordare dicitur) [3].
Pare che la curia avesse ragione di temperare il lusso degli ecclesiastici e di porre un freno ai trasmodamenti del clero, sopra tutto di quello secolare. Roberto di Sorbon in una sua predica biasimava i chierici di fare le dorenlot, cioè di portare una ciocca di capelli sulla fronte, alla maniera delle donne; e Assalonne, abate di San Vittore in Francia, vituperava i chierici che avevano calcaria et frena deurata, sellas picturatas, e così continuava: thalamus jocis impudicis jocundus est; in palatio ubique resonat cantus de gestibus Hectoris et in sancta ecclesia silentio damnantur verba Salvatoris [4]. Erano i tempi (diceva Girardo di Liegi), in cui più si piangeva la sorte di Rolando, che quella di Cristo, il che pareva obbrobrioso al buon predicatore, il quale, facendo allusione a una diffusa credenza sulla morte dell’eroe di Roncisvalle, gridava dal pulpito che, in fin dei conti, Cristo era morto di sete, come Rolando: Ad litteram Cristus sitivit in cruce, ubi mortuus est morte Rolandi sitiendo et clamando. Multi compatiuntur Rolando et non Christo [5].
Avveniva talvolta che alcuni altri chierici anziché menare una vita esemplare e tenersi lontani dalle orge degli studenti, si lasciassero facilmente corrompere e si unissero coi loro condiscepoli in feste, che erano spesso un’offesa alla religione. Allora la Chiesa li perseguitava. Già nel 1143, nel Concilio Remense, si affermava che i chierici, i quali nello spazio di 40 giorni non si fossero arresi agli ammonimenti e alle esortazioni dei vescovi, fossero privati del loro beneficio, che era quanto dire dei mezzi di sussistenza. Altrettanto si stabiliva, salvo il termine dei quaranta giorni, nel Concilio di Parigi del 1212 e in altri Concili. Alle minacce tenevano dietro le punizioni. Privi della prebenda, abbandonati e vilipesi dai compagni, che avevano una condotta corretta, ai poveri reietti altro non restava che mendicar la vita. Si davano alla giulleria: cantavano nelle piazze, nelle scuole, nelle corti e persino nelle chiese. Nelle chiese si faceva un po’ di tutto: vi si giocava, vi si ballava, vi si tenevano persino delle mascherate [6]. E i poveri chierici puniti, senza privilegio, col mantello logoro e la borsa vuota, vi esercitavano la giulleria nelle sue svariate forme: sia cantando versi, sia rappresentando anche scene scherzose, sia facendo buffonate. Erano giullari colti, giullari della società studentesca e clericale, incapaci di gareggiare coi giullari del popolo e meno amati di questi ultimi dalla plebe. Anziché rivolgersi alle genti minute, è naturale che cercassero protezione o compatimento presso gli studenti, gli insegnanti e persino presso i vescovi e i superiori, che li vilipendevano e li deridevano. Considerati quasi giullari, ormai fuori della Chiesa, potevano servire come distrazione coi loro canti, e poiché erano i joculatores della società colta, amavano ricercare (e talvolta anche comporre) poesie in latino, che portavano in giro di Università in Università. Erano poesie che fustigavano il clero e la corte di Roma o celebravano gli esaltamenti del senso. Che importava? Bisognava lasciarli cantare, codesti nuovi giullari, senza dar peso alcuno alle loro buffonate; bisognava mostrarsi al di sopra dei loro lazzi, delle loro ingiurie e delle loro oscenità. Bisognava ridere di loro e della loro musa, talora stupenda e piena d’arguzia. Bisognava anche unire alla irrisione il disprezzo e considerarli al di fuori non soltanto della Chiesa, ma della società. Bisognava proibir loro di officiare e pregare dinanzi agli altari e di far la questua [7]. Furono detti «Goliardi».
I Goliardi costituirono adunque una speciale classe di clerici vagantes, composta di ecclesiastici regolari e secolari datisi alla vita libera. Detti nei «Concili» clerici ribaldi [8] erano tenuti separati dagli altri studenti nelle deliberazioni che ad essi si riferivano, come è mostrato da parecchi passi di antichi concili. Ecco qui un testo che ci mostra i Goliardi segretari degli altri, come una categoria a parte: Praecipimus ut omnes sacerdotes non permittant trutannos et alios vagos scholares aut Goliardos cantare versum super sanctum et Agnus Dei in missis vel officis (1227). Eccone un altro, che giova a spiegarci, a parer mio, la loro natura e la vera loro condizione: Clerici qui clericalis dignitatis non modicum deirahentes se jaculatores seu Goliardos faciunt aut bufones, ecc. In certi concili (1231 e 1239) si ordina persino che i Goliardi siano rasi in modo che più non sia visibile la loro tonsura!
La denominazione fece fortuna. Quando e come nacque, e perché?
Può essere che Goliardo si spieghi da «Golia» [9] e che Golia sia divenuto, a un dato momento, il soprannome col quale fu designato Abelardo dai suoi numerosi e feroci avversari [10]. Attribuita forsanche ad altri prima che allo sventurato amante di Eloisa (1079-1142), questa designazione si fece, per così dire, leggendaria [11]. Golia fu creato vescovo, Golia fu creduto autore delle migliori poesie contro la Chiesa, Golia fu celebrato e rispettato, e come egli fu considerato il rappresentante dei chierici reietti, Goliardi furono detti i suoi seguaci.
Che Abelardo e Golia fossero nel secolo XII una sola persona, è una congettura, la quale poggia sui seguenti fondamenti. Il teologo del concettualismo fu, nella sua giovinezza, musico e poeta d’amore. Era già celebre, quando si risvegliò in lui il fuoco delle passioni. Fu una follia del senso, una profonda e tremenda crisi, un vero disorientamento delle sue facoltà. Egli stesso narrò: «frena libidini coepi laxare, qui antea vixeram continentissime» ( Historia Calam., 126). Questa sregolatezza giovanile lasciò un’impronta indelebile nel suo carattere. Scapigliato nei costumi, fu disordinato nell’insegnamento, negli studi e soprattutto non conobbe misura nelle lotte per le sue idee. Se violente furono le sue controversie contro Guglielmo di Cha...
Table of contents
- Copertina
- LA POESIA DEI GOLIARDI
- Indice
- Intro
- La poesia dei Goliardi
- Tarocchi versificati
- Ringraziamenti