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La Donna di Picche
About this book
La Donna (o Dama ) di Picche è la maggiore opera narrativa di Aleksandr Puškin, qua tradotta dall'acuta penna di Leone Ginzburg. Durante una serata tra amici, Tomskij narra le vicende di sua nonna, un tempo dedita sfrenatamente al gioco delle carte, tanto da portare la famiglia quasi alla bancarotta. In passato la nobildonna era riuscita a recuperare una ingente somma perduta grazie al "segreto delle tre carte", svelatole a Parigi dal Conte di Saint-Germain. L'amico Hermann, impressionato dalla storia, proverà a svelare il "segreto" con ogni mezzo, incluso il corteggiamento della badante dell'anziana donna; ci riuscirà, lo sperimenterà al gioco e…
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Information
Subtopic
StorytellingII.
«Il paraît que monsieur est décidément pour les suivantes.»
«Que voulez-vous, madame? Elles sont plus fraîches.»
(Conversazione mondana)
La vecchia contessa *** era seduta davanti allo specchio nel suo spogliatoio. Tre donne di servizio la circondavano. Una teneva in mano un vaso di belletto, un’altra una scatola con le forcine, la terza una cuffia alta con dei nastri color del fuoco. La contessa non pretendeva in nessun modo a una bellezza sfiorita da gran tempo, ma conservava tutte le abitudini della sua giovinezza, seguiva strettamente la moda dell’ottavo decennio del secolo scorso, e si vestiva altrettanto a lungo, altrettanto accuratamente, come sessant’anni prima. Presso la finestra sedeva al telaio una signorina, la sua protetta.
«Buon giorno, grand’maman!» disse entrando un giovane ufficiale. « Bonjour, mademoiselle Lise. Grand’maman, vengo a chiedervi un piacere.»
«Che cosa c’è, Paul?»
«Permettete ch’io vi presenti uno dei miei amici e che lo porti al vostro ballo venerdì.»
«Portamelo direttamente al ballo, e là me lo presenterai. Ieri sei stato dai ***?»
«E come! ci siamo divertiti molto; abbiamo ballato fino alle cinque. Com’era bella la Jeletskaia!»
«Ih, mio caro! Che cosa c’è di bello in lei? Era forse così la sua nonna, la principessa Daria Petrovna?... A proposito: dev’essere già molto invecchiata, la principessa Darja Petrovna.»
«Come, invecchiata?» rispose distrattamente Tomskij. «Saranno sette anni ch’è morta.»
La signorina levò il capo e fece un segno al giovanotto. Egli si ricordò che alla vecchia contessa nascondevano la morte delle sue coetanee, e si morse il labbro. Ma la contessa ascoltò la notizia, nuova per lei, con grande indifferenza.
«È morta!» disse ella «e io non lo sapevo neppure! Eravamo state create damigelle d’onore insieme, e quando fummo presentate, l’imperatrice...»
E la contessa raccontò al nipote il suo aneddoto per la centesima volta.
«Su, Paul,» ella disse poi «adesso aiutami ad alzarmi. Lizagnka, dov’è la mia tabacchiera?»
E la contessa andò con le donne dietro il paravento a finire la sua toilette. Tomskij rimase con la signorina.
«Chi è che volete presentare?» domandò piano Lizavjeta Ivanovna.
«Narumov. Lo conoscete?»
«No! È un militare o un borghese?»
«Un militare.»
«Del genio?»
«No! Di cavalleria. E perché credevate che fosse del genio?»
La signorina si mise a ridere e non rispose neanche una parola.
« Paul!» gridò la contessa da dietro il paravento «mandami qualche romanzo nuovo, soltanto per piacere non di quelli d’ora.»
«Che vuol dire, grand’maman?»
«Cioè un romanzo dove il protagonista non strangoli né il padre, né la madre, e dove non ci siano annegati. Ho una paura tremenda degli annegati.»
«Di romanzi così adesso non ce n’è. A meno che non ne vogliate di russi.»
«Ma ci son forse dei romanzi russi?... Mandamene, batjuška, mandamene per favore!»
«Scusate, grand’maman, ho fretta... Addio, Lizavjeta Ivanovna! Perché mai credevate che Narumov fosse un ufficiale del genio?»
E Tomskij uscì dallo spogliatoio.
Lizavjeta Ivanovna rimase sola; lasciò stare il lavoro e cominciò a guardar dalla finestra. Ben presto da un lato della strada di là dalla casa d’angolo apparve un giovane ufficiale. Il rossore coperse le guance di lei; ella si mise di nuovo al lavoro e chinò il capo fin proprio sul filondente. Intanto entrò la contessa, vestita di tutto punto.
«Fa’ preparare la vettura, Lizagnka,» ella disse «e andiamo a spasso.»
Lizagnka si alzò dal telaio e cominciò a metter via il suo lavoro.
«Che fai, madre mia! sei sorda forse?» gridò la contessa. «Fa’ preparare presto la vettura.»
«Subito!» rispose piano la signorina e corse nell’anticamera.
Un servo entrò e porse alla contessa dei libri da parte del principe Pavel Aleksandrovič.
«Va bene! Si ringrazi» disse la contessa. «Lizagnka, Lizagnka, ma dove corri mai?»
«A vestirmi.»
«Farai in tempo, matuška. Rimani a sedere qui. Apri un po’ il primo volume, leggi ad alta voce...»
La signorina prese il libro e lesse alcune righe.
«Più forte!» disse la contessa. «Che hai, madre mia? hai perso la voce, forse?... Aspetta... accostami il panchetto; più vicino... Su!»
Lizavjeta Ivanovna lesse ancora due pagine. La contessa sbadigliò.
«Lascia stare questo libro,» disse ella «che sciocchezze! Manda questo al principe Pavel e fallo ringraziare... Ma che ne è della vettura?...»
«La vettura è pronta» disse Lizavjeta Ivanovna, dopo aver dato un’occhiata in strada.
«E come mai non sei vestita?» disse la contessa. «Bisogna sempre aspettarti. Questo, matuška, è insopportabile!»
Liza corse in camera sua, Non erano passati due minuti, che la contessa cominciò a sonare con quanta forza aveva. Le tre donne entrarono di corsa da una porta, e il cameriere da un’altra.
«Com’è che non si riesce a chiamare in modo che sentiate?» disse loro la contessa. «Dite a Lizavjeta Ivanovna che l’aspetto.»
Lizavjeta Ivanovna entrò in cappa e cappellino.
«Finalmente, madre mia!» disse la contessa. «Che eleganza! Perché questo?... chi c’è da sedurre?... E com’è il tempo? c’è vento, mi pare.»
«Non ce n’è punto, eccellenza! il tempo è molto calmo!» rispose il cameriere.
«Voi parlate sempre a vanvera! Aprite il finestrino. Proprio così: c’è vento! e freddissimo! Staccate i cavalli dalla vettura! Lizagnka, non andremo fuori: era inutile mettersi in ghingheri.»
“E ecco la mia vita!” pensò Lizavjeta Ivanovna.
Realmente, Lizavjeta Ivanovna era un essere infelicissimo. Amaro è il pane altrui, dice Dante, e duri sono i gradini delle altrui scale; e chi può conoscere l’amarezza della dipendenza, se non una povera fanciulla educata presso una vecchia di gran nome? La contessa ***, certo, non aveva un animo malvagio, ma era capricciosa, come una donna viziata dalla società, avara e immersa in un freddo egoismo, come del resto tutti i vecchi, che hanno esaurito la propria riserva d’amore al loro tempo e rimangono estranei al presente. Ella era partecipe di tutte le vanità del gran mondo; si trascinava ai balli, dove rimaneva seduta in un angolo imbellettata e vestita secondo la moda antica, come un mostruoso e indis...
Table of contents
- Copertina
- LA DONNA DI PICCHE
- Indice
- Intro
- LA DONNA DI PICCHE
- I.
- II.
- III.
- IV.
- V.
- VI.
- Conclusione
- Ringraziamenti