Lettere triestine
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Lettere triestine

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Le "Lettere triestine" sono una serie di cinque articoli pubblicati sulla rivista La Voce dallo scrittore triestino Scipio Slataper dall'11 febbraio al 22 aprile 1909, che con un linguaggio spesso ironico analizzano la situazione culturale della Trieste dell'epoca mettendo l'accento sulle mancanze della città. Questi articoli daranno poi il via ad una serie di inchieste sulla cultura delle città italiane condotta dagli autori della Voce. La pubblicazione di questi articoli suscitò grande scalpore ed indignazione a Trieste, dove la classe dirigente respinse con sdegno le accuse. Scipio Slataper (Trieste, 14 luglio 1888 – Monte Calvario, 3 dicembre 1915) è stato uno scrittore e militare italiano, irredentista, fra i più noti nella storia letteraria di Trieste.

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Information

I GIORNALI

(La Voce, 22 aprile 1909)

Mi siedo al tavolino d’un caffè e domando al cameriere i giornali di Trieste. Giornali, non sorbetti: ma egli, come se dicesse: limone, fragola, panna..., mi tira giù una lunga filza di nomi così lesto che è un miracolo se io posso dedicar loro un minuto secondo di giudizio interno: Piccolo, Piccolo della sera, Indipendente, Lavoratore, Emancipazione, Adriatico (è come una zucca conservatrice per far galleggiare un’ambizione personale), Osservatore triestino (la gazzetta ufficiale, e la più vecchia di Trieste: tanto basti), Coda del diavolo (che vi pare d’un Mefistofele che si traveste da nazionalista per la lotta elettorale, come certi mori in frac per attirar gente al cinematografo?), Edinost (potrei dargli addosso se conoscessi lo slavo), Triester Zeitung e Triester Tagblatt (fatti per il 6 % dei triestini), Amico (i preti sono assai poco furbi a farsi rappresentare da un foglio così stupido)... Il cameriere continua; ma io l’arresto spaventato: Non mangio a lista! – A table d’hote: cibi fissi!
Piccolo, Indipendente, Lavoratore, Emancipazione: le quattro gambe su cui si regge la comoda tavola dell’opinione pubblica triestina. Leggiamoli, perchè mi son proposto di illimpidire più che mi fosse possibile la vista italiana su Trieste.
E prima di tutto i più simpatici: gli organi dei nostri partiti. Tale sarebbe l’ Indipendente, se la parte liberale, buttatasi fra le braccia del Piccolo che è un signore potente anche sulla fama, non lo mantenesse per punto di onore come certe donnine pietose il loro primo amante. Anche il Lavoratore del resto per esser veramente organo robusto del partito socialista, ne dovrebbe aver il consentimento. E invece succede quello che in quasi tutta Italia: i socialisti amano poco i loro giornali che non possono dar notizie a getto fresco e continuo; come i monelli del villaggio non applaudono alla sora sposa riverita se non sparpaglia confetti a piene mani. Ma i triestini poi (parlo dei socialisti, non più dei monelli), il cui pensiero non può esser espresso nè dall’ Avanti ne dall’ Arbeiter Zeitung, avrebbero dovuto fare molti sacrifici prima di lasciar stagnare in bisettimanale il loro cotidiano. Invece lasciarono che si sacrificassero invano i migliori per poi ricompensarli d’ingratitudine.
Pure il Lavoratore, anche se di autorità sminuita, è importante come tribuna di minoranza, fin pochi anni fa trascurata. Conta al suo attivo delle belle vittorie. È scritto più italianamente di tutti gli altri giornali, perchè è diretto da un regnicolo: Lanza, un vero giornalista, educato carduccianamente alla battaglia; ma non alla comprensione limpida – quanti in Italia? – delle nostre questioni etniche e nazionali. E poichè gli occhi del partito non ci vedono neanch’essi chiaro, il Lavoratore spesso barcolla tra il programma di Bruna e la realtà idealistica, come un ebbro a zig zag per le vie.
Emancipazione: repubblicana. Per quanto le si possa dar la berta per il tono di propagandista da quaresima provinciale, per lo stile intumidito di parole-casse di risonanza, e per le sue dimostrazioni così ricche, e così spesso, di scolasticismo ignorante, si sente in lei sola, dei nostri giornali, l’ansia bollente d’un entusiasmo, la fede di una gioventù. In lotta contro l’indifferenza.
E ora tocca al Piccolo il turno. E lungo: l’ingiustizia della gente che lo legge di più e senza discuterlo, mi obbliga a dedicargli molta critica. Ma prima una virtù naturale di tutta la nostra stampa: mantiene sveglio il senso dell’italianità. Apprendere ogni giorno che cosa succede nel mondo traverso non solo la lingua ma lo spirito italiano, è per chi non legge libri impossibilità di sperdere nelle contingenze da noi etnicamente ambigue dell’industria e del commercio l’insegnamento primo della scuola. Per di più i nostri giornali – escluso l’ Indipendente che è letto solo, si può dire, a Trieste – irradiandosi dalla vita della città italiana nei paesi e nelle borgate italiane, nutrono le anime campagnole dei convincimenti nazionali, sviluppatisi in ambiente più favorevole ad ampia comprensione, e le armano dello strumento inflessibile dei fatti: danno alla nostra nazionalità, divisa e sminuzzata, un respiro concorde, largo. Respiro di Trieste, però: che è regolato da condizioni e preoccupazioni non puramente italiane: questo è il male nel bene.
Mi spiego con un esempio: il Piccolo, che per la sua maggior diffusione ha maggior merito in questo allacciamento delle provincie nostre, impone un tipo di pensiero e di forma triestinamente italiana. Un regnicolo colto sente subito che esso, come tutti noi, manchiamo nello scrivere di quella spigliatezza serena che è nel sangue della letteratura italiana e che nessuno studio amoroso di classici può infondere. Quasi sempre, anche se tentiamo di romperlo in periodare sbuffante da locomotiva alpestre (parlo di me), il nostro stile è peso. È plasmato sulla convenzione letteraria, non animato dalla vita. Un giornale che volesse veramente educarci dovrebbe esser scritto da italiani del Regno. Invece il Piccolo è sintesi perfetta della triestinità stilistica, come Stenterello assomma l’anima vostra, fiorentini. E incombe su di lei: non ammettendo le eccezioni individuali. Così il Piccolo, la cui redazione è ancora allo stadio di governo assoluto. I tanti chilogrammi di piombo che occorrono per il suo corpo corrispondono ai tanti di idee che formano la vita del suo spirito. Si fondono: il giornale d’oggi è pronto. Si rimpastano: il giornale del giorno dopo è pronto. Mai un pizzico di altri ingredienti. Mancano le note squillanti dei colori individuali: alcune corrispondenze – rari nantes – sono firmate, è vero, ma rimane il dubbio se non forse la redazione, non potendo controllare l’esattezza della notizia, preferisca lasciarne la responsabilità all’informatore. Il resto è anonimo: ed è terribile come la mancanza di firma liberi l’individuo dall’impegno morale dell’opinione e della serietà.
Non parlo del Piccolo della Sera che non è, come si potrebbe credere, una seconda edizione del Piccolo. Fratelli: ma di carattere diverso. Si compensano reciprocamente le virtù e i difetti con difetti e virtù. Siccome il Piccolo è ricco di telegrammi, quello della sera è di sforbiciature; pennacchi svolazzanti intorno al nocciolo, che sono gli articoli firmati. Spesso buoni. Sulla schiena porta però con l’«Ultima ora» lo sbrendolo a cui si riappiccica il fratello mattinale. Che avendo bisogno, a sua volta, di schiarimenti e commenti, è soccorso dall’altro: sicchè, per il riattacco ininterrotto, a guardarli amorevolmente sembran come tanti ballerini dispaiati che il maestro di ballo conduce in gran rondò attorno per la sala. Ed essi, stringendosi le mani in catena, la sinistra nella destra del precedente, marciano ordinati scambiandosi di straforo paroline e sorrisetti.
Ma li unisce anche qualche cosa di più importante: la collaborazione di Silvio Benco. Perchè, non so se vi siete accorti, il nostro più forte scrittore s’è triplicato nel romanziere e novelliere, nell’articolista del Piccolo della Sera, nel redattore del Piccolo. Tre gradini d’individualità in ordine discendente: mi dispiace di non poter parlare qui della più alta. Silvio Benco ha saputo, quasi unico pubblicista d’Italia, difendere il suo libro dalla corrosione, terribilmente acida, dell’articolo. Dopo aver giocato a tric trac con le attualità nell’osteria giornalistica, indossa abiti curiali e imperiali, a parlare con i suoi fantasmi più belli. Ma il redattore del Piccolo, invece ha rovinato l’articolista del Piccolo della Sera. Benco s’era addestrato allo svolo libero nell’ Indipendente, firmando nello pseudonimo la sua volontà: «Falco». I paperi l’addomesticarono. Via via, come nel torchio è franta prima la buccia e poi i vinaccioli, fu difficile dopo qualche tempo riconoscere il suo capocronaca dagli altrui, poi fu trist...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Lettere Triestine
  3. Indice
  4. TRIESTE NON HA TRADIZIONI DI CULTURA
  5. MEZZI DI COLTURA
  6. ALTRE ISTITUZIONI DI COLTURA
  7. LA VITA DELLO SPIRITO
  8. I GIORNALI