Canti Carnascialeschi
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Canti Carnascialeschi

Lorenzo de' Medici

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Canti Carnascialeschi

Lorenzo de' Medici

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I Canti Carnascialeschi sono le canzoni che si accompagnano ai divertimenti del carnevale dal Quattrocento in poi, particolarmente diffusi a Firenze nei secoli XV e XVI nelle mascherate carnevalesche. Le mascherate che rappresentavano divinità mitologiche e personificazioni di virtù erano dette "Trionfi", quelle di mestieri o condizioni d'uomini "Carri". Questa trovata per festeggiare il Carnevale si attribuisce a Lorenzo il Magnifico, che la sostituì alle preesistenti canzoni a ballo cantate da uomini mascherati a guisa di donne e di fanciulli. Per la maggior parte, i canti carnascialeschi hanno forma metrica affine alla ballata. Uno dei più noti, il Trionfo di Bacco ed Arianna. è presente in questa raccolta.

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Information

Year
2018
ISBN
9788833461526

III
Canzona de’ cialdoni

Giovani siam, maestri molto buoni,
donne, come udirete, a far cialdoni.
In questo carnascial siamo sviati
dalla bottega, anzi fummo cacciati:
non eron prima fatti che mangiati
da noi, che ghiotti siam, tutt'i cialdoni.
Cerchiamo avviamento, donne, tale,
che ci passiamo in questo carnasciale;
ma sanza donne inver si può far male:
e insegnerenvi come si fan buoni.
Metti nel vaso acqua, e farina drento
quanto ve n'entra, e mena a compimento;
quand'hai menato, e' vien come un unguento,
un’acqua quasi par di maccheroni.
Chi non vuole al menar presto esser stanco,
meni col dritto e non col braccio manco;
poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco
zucchero; e fa' 'l menar non abbandoni.
Conviene, in quel menar, cura ben aggia,
per menar forte, che di fuor non caggia;
fatto l'intriso, poi col dito assaggia:
se ti par buon, le forme a fuoco poni.
Scaldale bene, e, se sia forma nuova,
il fare adagio e ugner molto giova;
e mettivene poco prima, e pruova
come riesce, e se li getta buoni.
Ma, se la forma fia usata e vecchia,
quanto tu vuoi, per metterne, apparecchia,
perché ne può ricevere una secchia;
e da Bologna i romaiuol son buoni.
Quando l'intriso nelle forme metti
e senti frigger, tieni i ferri stretti,
mena le forme, e scuoti acciò s'assetti,
volgi sozzopra, e fien ben cotti e buoni.
Il troppo intriso fuori spesso avanza,
esce pe' fessi, ma questo è usanza:
quando ti par che sien cotti abbastanza,
apri le forme e cavane i cialdoni.
Nello star troppo scema, non giá cresce:
se son ben unte, da sé quasi n'esce,
e 'l ripiegarlo allor facil riesce
caldo, e in un panno bianco lo riponi.
Piglia le grattapugie o un pannuccio
ruvido, e netta bene ogni cantuccio;
la forma è quasi una bocca di luccio:
tien' ne' fessi lo intriso che vi poni.
Esser vuole il cialdone un terzo o piue
grosso, a ragione aver le parti sue:
e a farli esser voglion almen due:
l'un t...

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