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Forse che sì forse che no
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Forse che sì, forse che no è un romanzo di Gabriele D'Annunzio ambientato nel mondo dell'aviazione che muoveva, al tempo, i primi passi. Il romanzo descrive lo sviluppo di passioni che legano e dividono cinque personaggi borghesi e che sono fatalmente destinate a lasciare una "scia" di dolore e morte.
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Information
LIBRO SECONDO
— O Lunella, mia Lunella,
oggi di che ti sovviene?
Che dái tu alla sorella
che ti fa la cantilena?
Che le dái per la sua pena?
Qual de' sogni tuoi le porti,
che ti nevicano dal cuore?
Oh, raccontami le tue storie
con le forbici tue lucenti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!
Lunella accompagnava col cenno del capo chiomoso la rimatrice improvvisa, mentre gli occhi cigliuti color di nocciola le rimanevano serii e il sorriso le schiudeva appena appena la bella bocca imbronciata come quella di Antinoo. Aveva in mano un foglio di carta bianca, e dentro v'intagliava figure con un par di forbici sottili. Ella era seduta sul murello tondo che cerchiava il tronco del leccio patriarcale, nel giardino degli Inghirami; e Vana le stava da presso, inginocchiata su l'erba sparsa di piccole ghiande vaie, con lo sguardo fisso all'opera incantevole. Di là dal tetto del palagio, di là dai vecchi émbrici chiazzati di gromma, sorgevano le torri fulve e bige di Volterra nell'ardore di luglio. I balestrucci a stormi tessevano e ritessevano l'azzurro tra il duomo e la rocca.
- Se tu mi canti ancora, ti fo una gatta coi suoi gattini - disse la bimba, distaccando con la punta delle forbici la figura intagliata nella carta e lasciandola cadere nel grembo di Vana. - Se no, smetto.
- O Lunella, o tirannella,
aquiletta senz'artiglio,
se tu semini il bianco,
io raccoglierò il vermiglio.
Se tu sei come il giglio,
sarò come l'amaranto.
Accompagnami il mio canto
coi tuoi bianchi sogni lenti,
coi tuoi torvi occhi assorti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!
Così Vana giocava con la sua pena ritrosa e con la sua sorellina scontrosa, ginocchioni su l'erba, facendo balzare, come le murielle, dalla palma sul dorso della mano e dal dorso nella palma le piccole ghiande lucide sgusciate fuori delle lor cupole secche. Dalla punta delle forbici caddero intagliate in profilo le minuscole imagini con disegno così scaltro e così netto che parevano condotte non di memoria ma su l'ombra del vero.
Oh, come sei brava! - esclamò Vana prendendole fra le sue dita e ammirandole sul fondo dell'erba corta.
La grazia dell'infanzia felina v'era colta in contorni e scorci d'un'arditezza e d'una giustezza degne di mano maestra, proprie a quei vecchi pittori dell'Estremo Oriente, che con l'esile pennello volante traducevano su i lunghi rotoli di carta serica i più freschi movimenti della vita animale.
Se tu mi canti ancora, - disse la salvatichetta ponendo la punta delle sue forbici magiche all'orlo d'una carta vergine - ti fo la chioccia d'oro coi suoi tredici pulcini, che è in fondo al Monte Voltraio ma nessuno l'ha mai veduta. Se no, più niente.
- Tirannella, tirannella,
fammi un'ala per volare,
ch'io m'involi da Volterra,
dalle Balze fino al mare!
Ma se l'ala non puoi fare,
fammi un altro incantamento
con le tue dita di fata,
per la pallida contrada
ch'io somigli ai dolci Morti,
fin che tu ti rammenti,
fin che io non mi scordi!
L'artefice puerile ancora seguiva l'assonanza col lieve cenno del capo, ma era tutta intenta alla chioccia del Monte Voltraio, un poco aggrottando gli occhi che Vana aveva chiamati torvi, serrando la bocca broncia, tutta nell'ombra della capelliera ch'era sciolta e folta come quella d'un angelo di Melozzo, violetta come un penzolo d'uva rinaldesca. Sopra lei stormiva il leccione al maestrale del pomeriggio, movendo la fronda cupa su le nove braccia nodose e rugose che si protendevano dal tronco intégro. I nocchi le giunture le screpolature le cicatrici delle potature e degli schianti, tutti i segni dell'alta età e della lunga guerra facevano venerando l'albero come lo stipite d'una gente indomita. Tanto pervicace era il suo vigore a traverso i secoli, che il suo fogliame appariva in rigoglio come quel d'un giovine lecceto maremmano sul cocuzzolo d'un poggio; ma la sua corteccia era ferrigna come il più vecchio masso etrusco esposto a settentrione, e il suo aspetto civico faceva pensare che al suo pedano potesse arrotar le zanne solo il cinghiale del Popolo, sporgente su la mensola rozza della Torre del Podestà.
- Se tu mi canti ancora... - riprese a dire Lunella.
- Ah, non più!
- Perché?
- Non so più.
- Perché?
- Non trovo più le mie rime sghembe.
- Perché?
- Perché me le beccano a volo i balestrucci.
- Non è vero.
- Ora lascia cantare il leccione. Ascolta.
Il vento, che investiva quella magnanima vecchiezza, era passato su le maligne piagge grige, su le crete gibbose e scagliose, su le immense biancane senz'ombra, su le rotte lacche, su le bolge discoscese, su tutta la desolazione della terra sterile che isolava la città murata, sotto il segno canicolare. Pareva che a quando a quando la polvere dell'alabastro funebre biancheggiasse in lui. Pareva ch'egli seco recasse l'alta malinconia del viaggio ultimo, dell'estremo congedo, quale effondono le figure delle urne raccolte negli ipogei. Vana rivedeva quel giovine cavaliere che cavalca agli Inferi tutto chiuso nel suo mantello, coperto dal lembo la bocca ammutolita, e il Genio alato gli è presso alle briglie, e incontro gli vengono i Mani.
- Isa quando ritorna? - chiese malcontenta Lunella.
- Non so.
- Dov'è andata?
- Non me l'ha detto.
- Tu certo lo sai, Morìccica.
- Ti dico che non so.
- Quest'anno non ci conduce al mare?
- Sembra.
- Rimarremo qui tutta l'estate?
- Forse.
- Ma non sai nulla?
- Non so.
- S'è corrucciata con te.
- T'inganni.
- S'è fatta cattiva, molto cattiva.
- Credi?
- Ecco la chioccia di Monte Voltraio!
E Lunella dalle dita di fata lasciò cadere nelle palme di Vana l'imaginetta compiuta: una falda di neve l'ardore.
Chi le aveva infuso quell'arte? Quale istinto misterioso guidava la punta delle sue forbici esatte su la linea di vita? Qual virtù di divinazione era in quegli occhi limpidi, che talvolta parevano tanto severi? quasi torvi talvolta, come gli occhi del divino Infante, che a un tratto scorge l'ombra della Croce trastullandosi nella bottega del legnaiuolo di Nazaret.
- Oggi fai maraviglie - disse Vana. - Le metto nel libro.
Aveva un libro di pagine nere ove disponeva quelle imagini bianche, un libro bianco e nero come la faccia del battistero, come gli archetti di San Michele, come lo zoccolo di Sant'Agostino, come l'avorio e l'ebano della tastiera, come il suo cuor folle, come il giorno e la notte.
Era tardi. Era sorta la luna logora dietro il mastio mediceo. La magnolia, solitaria nel cortiletto inverdito di muschi, insaporava del suo profumo il silenzio notturno, possente di mollezza nella notte contro il grand'elce austero, tutta molle nella sua cerea carne. Già nel palagio tacevano le opere dei servi. Già Volterra, muta come i suoi sepolcreti, dormiva respirando l'immensità dalle sue bocche di macigno.
«Chi sa come gli usignuoli cantano, alla Porta di Docciòla!» pensava Morìccica, presso il davanzale, svogliata di coricarsi, disperata di respirare, soffocata come se col respiro dovesse sollevare le mura della sua stanza. «Chi sa come cantano alla fonte di Mandringa, alla badia!»
Imaginò sotto la badia le smisurate masse delle ombre per entro agli scheggioni delle Balze, il luccichio del filo d'acqua che sbava nel fondo della bolgia spaventosa, le biancane nell'albore lunare simili alla crosta d'un pianeta estinto.
«Che farà laggiù Attinia, che non ho riveduta ancora? Culla il suo bambino? Dorme in pace?» Si raffigurava la contadina battezzata nel nome della dolce martire, la placida custode della badia diroccata; e s'incamminava in sogno per visitarla, passava per lo stretto sentiero battuto che divide il pratello come uno spartimento fatto col pettine; volgeva a sinistra giù per il ciglio erboso, che declina sotto il muro ove s'affacciano gli elci schiantati e torti, rimasti nani sotto l'oppressura dei venti, simili ...
Table of contents
- LIBRO PRIMO
- LIBRO SECONDO
- LIBRO TERZO