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Malombra
About this book
La protagonista indiscussa di questo grande romanzo d'amore e follia è la giovane, oscuramente affascinante Marina Crusnelli di Malombra, ospitata dallo zio, il conte Cesare d'Ormengo, in una magnifica villa sul Lago di Como. Venuta in possesso di un autografo dell'antenata Cecilia, apparentemente portata alla morte dal marito, padre dell'attuale conte, si convince di esserne la reincarnazione e di avere l'obbligo di vendicarne l'assassinio...
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Information
PARTE IV
Malombra
I. Lo so, lo so, egli è qui ancora
Silla arrivò alle dieci e mezzo alla stazione di... Il mattino era caldo e ventoso. Le vette dei grandi abeti che nereggiavano lĂŹ presso in un giardino, i nitidi profili deâ monti lontani spiccavano nel cielo vitreo. Molti viaggiatori salivano sul treno, aspettati, salutati daâ loro conoscenti. In tutti i vagoni si chiacchierava, si rideva, si vociava. Quando la locomotiva ebbe trascinato via quegli strepiti con il soffio leonino, parve a Silla, nel silenzio vĂ´to della strada, esser colto dalla stessa ferrea mano di cui otto mesi prima aveva immaginato, partendo in ferrovia di notte, che chiudesse inesorabilmente gli sportelli dei vagoni e portasse via tanti esseri umani nelle tenebre. Guardò il treno giĂ lontano, bramò per un istante seguirne la fuga disperata.
Fuori della stazione câera il giovinotto dellâaltra volta con la sua cavallina.
âToââ dissâegli quando vide Silla âè il signore di quella sera. Andiamo al Palazzo, non è vero, signore?â
âSei qui per me, tu?â
âĂ quello che vorrei sapere anchâio. Era di venire ieri mattina coi bagagli degli sposi, lĂ del Palazzo. Vado a prenderli. Fronte indietro. Non si parte piĂš. E poi, ieri sera, io dormiva pacifico come un âtre lireâ, mica ubbriaco, vede! Ă lâacqua che mi mette sonno a me. Basta. Si sente un maledetto âtoc-tocâ, la donna (ce lâho ancora quellâimpiastro) la va ad aprire; cosa lâè, lâè quel Rico, quel figlio del giardiniere del Palazzo con un dispaccio di esser qui stamattina con la cavalla, vuoto, alle 10. Trovarmi vuoto a questâora, magari, è una di quelle asinate che io non ne faccio. SicchĂŠ...â
âBasta, basta. E il conte come sta?â
âSta bene.â
âCome! Non è ammalato?â
âLâho visto io lâaltro giorno. Era un poâ giĂš, un poâ vecchio, un poâ brutto, un poâ gobbo, che so io! un poâ mezzo andato, ma stava bene. Se però non si è ammalato ieri.â
âCosa tâhanno detto ieri mattina quando sei andato al Palazzo per i bagagli?â
âMâhan detto niente del tutto. Câera il giardiniere al cancello, che quando mi ha visto venire da lontano, si è piantato in mezzo alla strada e ha cominciato a far di no col braccio a questa maniera qui e poi a fare a questa maniera qui che andassi fuori dai piedi: ed io allora ho fatto âpiglia!â a questâaltra maniera qui, ho voltato la bestia e sono andato a fermarmi a Lecco. Son venuto poi a casa tardi e sono andato a letto subito.â
Intanto sâeran posti in viaggio e la cavalla trotterellava a capo chino, fiutando la strada, spazzando via con due noncuranti colpi di coda a destra e a sinistra le frustate tra serie e scherzose del padrone. Questi smise di parlare. Passavan gli alberi, le siepi fiorite. Casupole sedute nei campi si venivano alzando su tra i gelsi, guardavano, e poi, adagio adagio, si riacquattavano. I monti giravano, mutando aspetto, intorno alla strada serpeggiante. Le note cime imminenti al lago nascosto si affacciavano a Silla ora da destra ora da sinistra, gli crescevano sugli occhi, come le inquietudini febbrili nelle vene.
Il vetturino non poteva tacere a lungo.
âAhâ dissâegli âlâaltra sera era bello trovarsi al Palazzo!â
âPerchĂŠ?â
âPerchĂŠ la signora donna Marina si è fatta sposa ieri mattina; non lo sa! Prima anzi la era di sposarsi lâaltra sera e poi, lo so io! han come cambiato. Insomma lâaltra sera ci fu una casa del diavolo.â
Egli continuò un pezzo a descrivere enfaticamente le luminarie, i fuochi, le musiche; ma Silla non ne ascoltò parola.
Ella era dunque giĂ sposa davvero e gli scriveva in quel modo con quel nome! Ma la parola Cecilia a piè del telegramma aveva pur vita, voce, passione; gridava âti amo; vieni!â. Un giorno dopo le nozze! E il conte era veramente ammalato, o no? Se non era ammalato, perchĂŠ gli sposi non erano piĂš partiti? La sua fantasia si perdeva; egli trasaliva quando, in mezzo a dubbi dâşogni sorta, gli lampeggiava in mente con una tagliente nettezza di dettagli, la immagine del Palazzo, del giardino, del lago, quali li avrebbe veduti fra due ore, fra unâşora e tre quarti, fra unâşora e mezzo. Ne provava una contrazione nervosa, pensava chi avrebbe veduto prima, quali parole avrebbe udite, come si sarebbe comportato con lei. E se il conte non avesse nulla, se fosse un inganno! Ad ogni svolta della via tutti questi pensieri lo martellavano piĂš forte. Tratto tratto ne balzava fuori, rinnovando il proposito di andar ciecamente, a coscienza muta, lĂ dove lo portassero la occulta violenza delle cose e le passioni sue libere, oh sĂŹ, libere finalmente dopo tante stolte lotte inutili che non gli avevano conciliato nĂŠ gli uomini nĂŠ Dio. Non era una strada quella striscia bianca, nitida innanzi a lui, fumante di polvere alle sue spalle; era una furiosa corrente che non risale, una corrente da seguire oramai nel piacere e nel dolore sino a qualunque abisso, tanto piĂš avidamente bramato quanto piĂš profondo. Attraverserebbe forse qualche ora splendida come quel magico paese lĂŹ, quel verde poema ariostesco di folli colline che dalle montagne saltavano al piano in disordine, portando in collo e sui fianchi ville, torri, giardini, inghirlandate di vigneti, curve intorno a laghetti pieni di cielo. E poi...
âDica un poâ Lei, signoreâ saltò il vetturino âè vero che lo sposo ha questo gran mucchio di denari?â
âNon lo so.â
âMa lo conosce, però, Lei?â
âNo.â
âVedo. Io lâho visto un paio di volte, ma stando al mio poco talento di me, devâessere un... Che pazzia, un fior di ragazza come quella lĂŹ! Segno che i denari son tanti. E io devo esser nato pitocco! Ci promettono sempre il mondo di lĂ , a noi; ma io ci ho una maledetta paura che sia ancor peggiore di questo. Se in paradiso non si hanno a trovare che preti, vecchie, bambini da mammella e straccioni, caro il mio signore, è proprio mica il mio sito. Ih!â
Egli tirò una frustata rabbiosa alla povera bestia che toccava allora una strada selciata fra due file di case, lâultima borgata sulla via del Palazzo.
Faceva caldo. La cavalla si fermò davanti a unâosteria e il suo padrone gridò che gli portassero il solito âcalamaio e inchiostroâ.
âE cosĂŹâ disse lâostessa che venne a servirlo âè morto, eh?â
âChi è morto?â.
âToâ, il signore, lĂ del Palazzo.â
âChi lâha detto!â esclamò Silla, pallido.
âLâuomo della Cecchina gobba che è passato adesso, saranno cinque minuti. Lâhanno mica incontrato?â
âAndiamo, presto!â disse Silla.
âAndiamo pureâ rispose il vetturino rendendo il bicchiere allâostessa âma se è andato avanti lui, per me non gli corro dietro.â
âPresto, ti dico!â
Lâaltro si strinse nelle spalle e frustò la cavalla.
âMorto!â disse tra sĂŠ Silla. âE io che non ci pensavo nemmeno, a lui!â
Si rimproverò acerbamente questa dimenticanza di egoista, e gli riempĂŹ il cuore una dolorosa tenerezza per lâintemerato amico della madre sua, per il vecchio severo che gli aveva aperto le braccia in nome dâuna memoria santa. Egli lo aveva offeso con la sua fuga occulta dal Palazzo; lo sapeva per una lettera ricevutane subito dopo, a Milano. Non ne provava rimorso,...
Table of contents
- PARTE I
- PARTE II
- PARTE III
- PARTE IV
