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Fra' Diavolo. Vita ed imprese del Colonnello Michele Pezza
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Eroe e partigiano per il suo popolo, spietato brigante per gli invasori. Ma chi era realmente Michele Pezza, al secolo Fra' Diavolo? L'uomo dietro al mito rivive in questa appassionante biografia che, partendo dalle sue origini a Itri, piccolo centro medievale incastonato tra i Monti Aurunci, ne narra le incredibili gesta, l'ascesa al grado di Colonnello del Regno delle Due Sicilie, le fortune in battaglia e, quindi, la tragica fine.
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Information
Capitolo XIII
Inseguimento, cattura e processo di Fra’ Diavolo
La presa di Sora, che era stato il luogo di adunata dei briganti, fece rientrare nell’ordine gli abitanti di queste contrade, che contavano su questo punto di appoggio e su Fra’ Diavolo per sostenere la loro rivolta. Furono distrutte così tutte le inquietudini. Con la resa al generale Lemarois di Giuseppe Costantini, detto Sciabolone, che operava nella zona di Civitella del Tronto, cittadina posta sulla destra del fiume Salinello, l’antico Batinus, in provincia di Teramo, e che voleva collegarsi al Pezza, l’insurrezione era dissipata. Iniziava l’inseguimento, la colossale battuta al capomassa da parte di più di 10.000 soldati. Gli ordini per catturare questo diabolico personaggio, stratega di prim’ordine, furono perentorî, energici.
Era una caccia al lupo, con marce, contromarce, agguati, insidie, tradimenti.
L’astro di Michele Pezza cominciava ad offuscarsi, perché la ruota della fortuna è instabile, capricciosa e gira “Come le piace”, a detta di uno degli spiriti più sublimi che hanno onorato la natura umana, Dante Alighieri. Gli uomini non rispondevano più ai suoi appelli e ai suoi proclami. Egli ostinatamente, da inguaribile idealista, si buttò alla campagna con 300 seguaci, che fanaticamente e disperatamente lo seguivano negli stenti. Nonostante il periodo deprimente che si stava attraversando, il comandante in capo riuscì a mantenere unito e con il morale alto la truppa, grazie alla sua abilità e alla sua fermezza d’animo. In ciò c’era dell’eroismo.
Ormai era un inseguimento all’ultimo sangue, senza tregua. Michele Pezza atterriva il re di Napoli, Joseph Bonaparte, che, nel settembre 1806, aveva dato l’ordine di catturarlo, vivo o morto, avendo dato loro troppi grattacapi. Bisognava liberarsene ad ogni costo. Fra’ Diavolo infastidiva anche l’imperatore Napoleone.
L’esercito francese poi, vittorioso in tante battaglie in Europa, era tenuto in scacco, era irriso da un brigante, anche se geniale, che aveva una vitalità da serpente e che sgusciava tra le maglie dell’ampio contingente transalpino, come un’anguilla, con una rapidità incredibile. I battaglioni, le pattuglie, le avanguardie non riuscivano a catturare Fra’ Diavolo, un energico uomo d’azione, che puntava a ricongiungersi con la banda del barone e maggiore Caprara, detto Senzaculo, una volta cantiniere di Velletri, colpevole dell’uccisione del sindaco di Albano, Bianchini.
Il caposquadrone Forestier fu distaccato con la sua colonna per inseguirlo verso Veroli, Frosinone e Ceccano e rientrare poi in Gaeta. Il colonnello Jean-Baptiste Cavaignac si recò, il 27 settembre, per la valle di Roveto, a Tagliacozzo, comune marsicano, dove, il 23 agosto 1268, il biondo duca Corradino di Svevia, ultimo degli Hohenstaufen, fu sconfitto dall’esercito franco-pontificio di Carlo d’Angiò, grazie al tradimento di Giovanni o Giacomo Frangipane, e decapitato a Napoli. Da qui il Cavaignac, per Celano, città murata nell’Abruzzo Ulteriore, doveva ritornare su Sulmona, la patria di Publio Ovidio Nasone, e su Castel di Sangro, l’antica Fidene, che, in epoca romana, fu capitale dei Caraceni. Il generale Tisson, incaricato di una spedizione su Atina, per unirsi poi a Cavaignac, fu trattenuto in questo movimento da alcuni scontri con i rivoltosi della contrada, per cui, mancando di notizie, andò a riprendere la sua posizione di Venafro, città di origine volsca, ed il comando delle truppe da Castel di Sangro a Sora. Nuove truppe e squadroni di cavalleria si gettarono lungo le strade di Cassino per raggiungere il capomassa, in qualunque luogo fosse, mentre le guardie civiche circondavano l’abbazia di Montecassino e chiudevano i viottoli campestri dell’Albaneta, una masseria posta sul monte Calvario (593 m).
Fra’ Diavolo, riuscito a far perdere le sue tracce e ricomparso, più forte e terribile di prima, su per Casalvieri, Alvito, Caira, tutti paesi della provincia di Frosinone, scalò il monte S. Michele e poi il monte Pedicino trovandovi rifugio sulla sommità e passando poi ad accamparsi presso l’Amaseno, fiume del Lazio che sbocca nel Mar Tirreno, tra Terracina ed il promontorio del Circeo.1
I cannoni trasportati a schiena di mulo erano stati gettati via. Dopo il riposo di una notte, la marcia fu ripresa rapidamente.2
Il 26 settembre Michele Pezza era a Veroli, antica città degli Ernici, che, rifiutata la contribuzione di 10.000 ducati imposta in nome del re, fu saccheggiata. Anche Bauco, l’odierna Boville Ernica, comune a ponente del Liri, appartenente allo Stato della Chiesa, fu messa a sacco. Impedito di giungere a Terracina, attraverso Frosinone, Ceccano e Piperno, l’attuale Priverno, paesi vigilati dai nemici, e di portarsi a Subiaco, nel territorio in cui S. Benedetto da Norcia si ritrasse a vita ascetica in una grotta (Sacro speco), il 28 Fra’ Diavolo si decise a risalire verso il Nord e, con nuovi proseliti, si diresse, attraversando il torrente Lacerno, verso Balsorano, a 10 chilometri da Sora, entrando in Abruzzo. In alto, su una collina rocciosa, vi è il castello baronale, a pianta quadrangolare, con torri cilindriche angolari ed un mastio quadrato, appartenente alla famiglia Piccolomini.
I fuggiaschi proseguirono per una tortuosa mulattiera costeggiante un dirupo salendo poi al M. Pizzodeta (2037 m), vetta imponente per le balze rocciose. Poi passarono per il villaggio di Roccavivi, 450 metri sul livello del mare, giungendo, per una strada scomoda e ghiaiosa, a S. Vincenzo Valle Roveto. Qui fecero una breve sosta, per poi riprendere la marcia verso Civitella Roveto, paese che sorge sul sito di Fresilia, città dei Marsi.
Da qui, per il valico della Serra di S. Antonio (1937 m), giunsero, in meno di un’ora, prendendo il crinale in direzione nord, alla cima del monte Viglio, la più alta vetta dei Monti Cántari con i suoi 2156 metri, che si presenta a forma di catino, dove passava il confine fra il regno di Napoli e lo Stato Pontificio. La montagna, da cui si gode un grandioso paesaggio, che si stende fino al Terminillo, al Velino, al Gran Sasso, alla Maiella e su tutti i monti laziali, è ripidissima e tormentata da brecciai e da canaloni, interrotti da precipiti dirupi, nel versante del Liri.
Per trovare viveri, scesero a Filettino (1062 m), patria di Rodolfo Graziani, maresciallo d’Italia e viceré d’Etiopia, ora stazione climatica estiva, disteso su uno sperone proteso alla confluenza di due torrenti, da dove presero la Valle del Fosso Albanetti sino all’Imposta (1230 m circa). Qui essa si fa piana prendendo il nome di Valle Granara, dal cui nome si evince che questo luogo era il granaio della cittadina. Per il ponte di Castro dei Volsci, comune sorto sulle rovine delle antiche terme di Nerone, raggiunse le montagne di Pastena e poi di Roccaguglielma, dove, il 3 ottobre, con uno stratagemma, colse di sorpresa le guardie civiche ed andò a Maranola. Di qui, verso le otto di sera, penetrò nuovamente in Roccaguglielma, con 300 seguaci. I reparti francesi accorsi sono attaccati e respinti e, più tardi, sono anche cacciati dal popolo di Pignataro Interamna, che non voleva esporsi alle collere del guerrigliero, che, in nome del re Ferdinando IV, ingiunse al commissario di Isernia di prendere le armi a favore dei borbonici.3 Gli inglesi, che ne seguivano i movimenti, sbarcarono frattanto 30 militi con un ufficiale presso Terracina, che chiese notizie di lui, ma vennero imprigionati.
Il 3 ottobre, di mattina, dopo una successione di spossanti marce, il Pezza scese alla certosa di Trisulti, in luogo solitario, in una conca di monti, con panorama suggestivo, per provvedersi di viveri e per riposare. Saputo di D’Espagne, rientrato in Capua, distribuì, in tre gruppi, i suoi volontari e riprese la marcia. A Pofi, centro sito su un colle vulcanico, a lungo feudo dei Colonna, un prete lo avvertì che il genrale Partouneaux faceva ispezionare le vie ed egli, tagliata la barba e preso un abito blu, si dice, con il falso nome di Domenico Salvierta, capo di milizie al servizio di Joseph Bonaparte.4
Nel frattempo i seguaci di Fra’ Diavolo, nei pressi di Itri, trascinarono nei boschi la moglie del colonnello del 52° di linea, che consegnò loro i suoi gioielli e il suo denaro.
Il 6, passato il fiume Sacco, su di un ponte primitivo, presso Ceprano, l’antica Fregellae, custodito da dragoni francesi, e superato il monte Calvilli, la vetta più elevata degli Ausoni (1116 m), è, di sera, a S. Giovanni Incarico, paese posto sulla riva destra del fiume Liri, che vi lasciò entrare “il suo battaglione di guardie diretto, come egli assicurò, alla ricerca della banda di Fra Diavolo”. Lo stratagemma riuscì, perché alla certosa di Trisulti, benedettina (S. Domenico), si erano trovati fucili francesi e le coccarde tricolori presto confezionate. Il colonnello esibisce al sindaco un buono di requisizione con il nome di Michele, ottenendo viveri ed acquavite, trasportati dai muli. Prima dell’alba del 9 ottobre, era già incamminato verso il monte Appiolo, sicuro di riprendere, di là, contatto con gli inglesi e di rientrare in Itri. Un abitante di Mola di Gaeta lo avvertì che grandi truppe del re Joseph Bonaparte erano sui suoi passi. Per evitarle, il colonnello concepì allora un altro disegno, quello di passare negli Abruzzi e, attraverso la Basilicata, raggiungere, nelle Calabrie ancora in fermento, il capomassa Nicola Gualtieri, detto Panedigrano, o, altrimenti, la Sicilia.5 Il 10 ottobre fu riorganizzata la sua truppa (restavano 428 volontari, 27 donne e 12 mulattieri): 4 compagnie, con i capitani Vincenzo e Nicola Pezza, fratelli di Fra’ Diavolo, Gaetano Campagna, Vito Adelizzi ed il maggiore Lorenzo Mazza. Avrebbero avuto il soldo degli inglesi, ma, per allora, bisognava vivere di requisizioni. Nella notte dal 10 all’11 ottobre il colonnello, travestito da pastore, entrò in Itri per abbracciare la moglie e i suoi due figlioli e da una vecchia donna avrebbe sentito dirsi che “stava per cominciare il calvario”. Una predizione funesta. Il calvario iniziò, infatti, alle ore 5 dell’11: i fraddiavolani, nell’armarsi, avvertirono, a distanza, il rullìo dei tamburi di una truppa partita da Fondi alla loro volta. Ciò li costrinse ad una rapida fuga. Il comandante, che doveva incontrarsi, in Roccaguglielma, con un emissario della regina Maria Carolina e con altri volontar...
Table of contents
- Presentazione
- Capitolo I - Conquiste napoleoniche in Italia
- Capitolo II - Conquista del reame di Napoli da parte dei francesi
- Capitolo III - I precedenti di Michele Pezza
- Capitolo IV - Primi tentativi fortunati – Sanguinosa repressione ad Itri
- Capitolo V - Insurrezioni in Terra di Lavoro
- Capitolo VI - Il blocco e la resa di Gaeta
- Capitolo VII - Alla conquista di Roma
- Capitolo VIII - Il colonnello Pezza a Napoli
- Capitolo IX - La seconda invasione del regno di Napoli da parte dei francesi
- Capitolo X - Fra’ Diavolo alla difesa di Gaeta
- Luoghi e personaggi nella vicenda umana del pezza
- Capitolo XI - La spedizione in Calabria
- Capitolo XII - La nuova sollevazione in Terra di Lavoro - La presa di Sora da parte dei francesi
- Capitolo XIII - Inseguimento, cattura e processo di Fra’ Diavolo
- Capitolo XIV - Morte di Fra’ Diavolo
- Capitolo XV - Fra’ Diavolo nella letteratura e nell’arte
- Capitolo XVI - La figura storica
- Bibliografia