La questione meridionale
eBook - ePub

La questione meridionale

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

La questione meridionale

About this book

"L’Unità d’Italia non è avvenuta su basi di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno, nel rapporto territoriale città-campagna. Cioè, il Nord concretamente era una piovra che si è arricchita a spese del SUD e il suo incremento economico-industriale è stato in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale. L’Italia Settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole, riducendole a colonie di sfruttamento.”
È così che Antonio Gramsci, grande intellettuale e sociologo del XX secolo, pone sotto la lente d’ingrandimento la crisi del Sud, iniziata con l’Unità d’Italia, per analizzare, a livello macroscopico, i più piccoli dettagli che contribuirono alla realizzazione di una “bruttura storica e culturale”, che stringe ancora in una morsa lo stivale italiano.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
No, books cannot be downloaded as external files, such as PDFs, for use outside of Perlego. However, you can download books within the Perlego app for offline reading on mobile or tablet. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access La questione meridionale by Antonio Gramsci in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & 19th Century History. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

La relazione di Gramsci sul III Congresso (Lione) del Partito comunista d’Italia9
Data la difficoltà di pubblicare immediatamente un resoconto giornalistico dei lavori del III Congresso del nostro partito, riteniamo per intanto opportuno di offrire ai compagni e alla massa dei lettori un esame e una informazione generale dei risultati del congresso stesso.
Ci affrettiamo comunque ad annunciare che prossimamente sarà pubblicato sul nostro giornale il resoconto materiale del congresso e saranno successivamente riunite in volume le deliberazioni e le tesi nel loro testo definitivo.
I risultati numerici dei voti al congresso furono i seguenti:
— Assenti e non consultati: 18,9%.
— Dei presenti al congresso: voti per il CC, 90,8%; per l’estrema sinistra, 9,2%.
Il nostro partito è nato nel gennaio 1921, cioè nel momento piú critico sia della crisi generale della borghesia italiana, sia della crisi del movimento operaio. La scissione, se era storicamente necessaria e inevitabile, trovava però le grandi masse impreparate e riluttanti. In tale situazione l’organizzazione materiale del nuovo partito trovava le condizioni piú difficili. Avvenne perciò che il lavoro puramente organizzativo, data la difficoltà delle condizioni in cui doveva svolgersi, assorbí le energie creatrici del partito, in modo quasi completo. I problemi politici che si ponevano, per la decomposizione da una parte del personale dei vecchi gruppi dirigenti borghesi, dall’altra per un processo analogo del movimento operaio, non poterono essere approfonditi sufficientemente. Tutta la linea politica del partito negli anni immediatamente successivi alla scissione fu in primo luogo condizionata da questa necessità: di mantenere strette le file del partito, aggredito fisicamente dalla offensiva fascista da una parte, e dai miasmi cadaverici della decomposizione socialista dall’altra. Era naturale che in tali condizioni si sviluppassero nell’interno del nostro partito sentimenti e stati d’animo di carattere corporativo e settario. Il problema generale politico, inerente alla esistenza e allo sviluppo del partito, non era visto nel senso di una attività per la quale il partito dovesse tendere a conquistare le più larghe masse e a organizzare le forze sociali necessarie per sconfiggere la borghesia e conquistare il potere, ma era visto come il problema della esistenza stessa del partito.
La scissione di Livorno
Il fatto della scissione fu visto nel suo valore immediato e meccanico e noi commettemmo, in altro senso sia pure, lo stesso errore che era stato commesso da Serrati. Il compagno Lenin aveva dato la formula lapidaria del significato delle scissioni, in Italia, quando aveva detto al compagno Serrati: «Separatevi da Turati, e poi fate l’alleanza con lui». Questa formula avrebbe dovuto essere da noi adattata alla scissione avvenuta in forma diversa di quella prevista da Lenin. Dovevamo cioè, come era indispensabile e storicamente necessario, separarci, non solo dal riformismo, ma anche dal massimalismo che in realtà rappresentava e rappresenta l’opportunismo tipico italiano nel movimento operaio; ma dopo di ciò, e pur continuando la lotta ideologica e organizzata contro di essi, cercare di fare un’alleanza contro la reazione. Per gli elementi dirigenti del nostro partito, ogni azione della Internazionale, rivolta a ottenere un riavvicinamento a questa linea, apparve come se fosse una sconfessione implicita della scissione di Livorno, come una manifestazione di pentimento. Si disse che, accettando una tale impostazione della lotta politica, si veniva ad ammettere che il nostro partito era solamente una nebulosa indefinita, mentre era giusto ed era necessario affermare che il nostro partito, nascendo, aveva risolto definitivamente il problema della formazione storica del partito del proletariato italiano. Questa opinione era rafforzata dalle non lontane esperienze della Rivoluzione soviettista in Ungheria, dove la fusione fra comunisti e socialdemocratici fu certamente uno degli elementi che contribuirono alla disfatta.
La portata dell’esperienza ungherese
In realtà la impostazione data a questo problema dal nostro partito era falsa e andò sempre piú manifestandosi come tale alle larghe masse del partito. Proprio la esperienza ungherese avrebbe dovuto convincerci che la linea seguita dall’Internazionale nella formazione dei partiti comunisti non era quella che noi le attribuivamo. È noto infatti che il compagno Lenin cercò di opporsi strenuamente alla fusione, tra comunisti e socialdemocratici ungheresi, nonostante che questi ultimi si dichiarassero fautori della dittatura del proletariato. Si può dire perciò che il compagno Lenin fosse in generale contrario alle fusioni? Certamente no. Il problema era visto dal compagno Lenin e dalla Internazionale come un processo dialettico, attraverso il quale l’elemento comunista, cioè la parte piú avanzata e cosciente del proletariato, si pone, sia nella organizzazione di partito della classe operaia, sia nella funzione di direzione delle grandi masse, alla testa di tutto ciò che di onesto e di attivo si è formato ed esiste nella classe. In Ungheria è stato un errore distruggere la organizzazione indipendente comunista nel momento della presa del potere per dissolvere e diluire il raggruppamento costituito nella piú vasta e amorfa organizzazione socialdemocratica che non poteva non riprendere predominio. Anche per l’Ungheria il compagno Lenin aveva formulato la linea del nostro vecchio partito come una alleanza con la socialdemocrazia, non come una fusione. Alla fusione si sarebbe arrivati piú tardi, quando il processo del predominio del raggruppamento comunista si fosse sviluppato sulla scala piú larga nel campo della organizzazione di partito, della organizzazione sindacale e dell’apparato statale, e cioè con la separazione organica e politica degli operai rivoluzionari dai capi opportunisti.
Per l’Italia il problema si poneva in termini ancora più semplici che in Ungheria, perché, non solo il proletariato non aveva conquistato il potere, ma iniziava, proprio nel momento della formazione del partito, un grande movimento di ritirata. Porre in Italia la questione della formazione del partito, cosí com’era stato indicato dal compagno Lenin nella sua formula espressa a Serrati, significava — nell’arretramento del proletariato che si iniziava allora — dare la possibilità al nostro partito di raggruppare intorno a sé quegli elementi del proletariato che avrebbero voluto resistere, ma che sotto la direzione massimalista erano travolti nella rotta generale e cadevano progressivamente nella passività. Ciò significa che la tattica suggerita da Lenin e dalla Internazionale era l’unica capace di rafforzare e sviluppare i risultati della scissione di Livorno, e di fare veramente del nostro partito, fin d’allora, non solo in astratto, e come affermazione storica, ma in forma effettiva, il partito dirigente della classe operaia. Per questa falsa impostazione del problema, noi ci siamo mantenuti sulle posizioni avanzate, da soli e con la frazione di masse immediatamente piú vicine al partito, ma non abbiamo fatto quanto era necessario per mantenere sulle nostre posizioni il proletariato nel suo complesso, il quale tuttavia era ancora animato da un grande spirito di lotta, come è dimostrato da tanti episodi spesso eroici della resistenza opposta all’avanzata avversaria.
Il partito negli anni 1921-’22
Un altro degli elementi di debolezza della nostra organizzazione è consistito nel fatto che tali problemi, data la difficoltà della situazione e dato che le forze del partito erano assorbite dalla lotta immediata per la propria difesa fisica, non divennero oggetto di discussione alla base e quindi elemento dello sviluppo della capacità ideologica e politica del partito.
Avvenne cosí che il I Congresso del partito, quello tenuto a Livorno nel teatro San Marco, subito dopo la scissione, si pose solo dei compiti di carattere organizzativo immediato: formazione degli organismi centrali e inquadramento generale del partito. Il II Congresso avrebbe potuto e forse dovuto esaminare e impostare le suddette quistioni, ma a ciò si opposero i seguenti elementi:
1. il fatto che, non solo la massa, ma anche una gran parte degli elementi piú responsabili e piú vicini alla direzione del partito ignoravano letteralmente che esistessero divergenze profonde ed essenziali, fra la linea seguita dal nostro partito e quella sostenuta dalla Internazionale;
2. l’essere il partito assorbito dalla lotta diretta fisica portava a sottovalutare le questioni ideologiche e politiche in confronto di quelle puramente organizzative. Era quindi naturale che sorgesse nel partito uno stato d’animo contrario a priori ad approfondire ogni quistione che potesse prospettare pericoli di conflitti gravi nel gruppo dirigente costituitosi a Livorno;
3. il fatto che la opposizione rivelatasi al Congresso di Roma e che diceva di essere la sola rappresentante delle direttive della Internazionale era, nella situazione data, un’espressione dello stato d’animo di stanchezza e di passività che esisteva in alcune zone del partito.
La crisi subita sia dalla classe dominante che dal proletariato, nel periodo precedente l’avvento del fascismo al potere, pose nuovamente il nostro partito dinanzi ai problemi che il Congresso di Roma non aveva avuto la possibilità di risolvere. In che cosa consistette questa crisi? I gruppi di sinistra della borghesia, fautori a parole di un governo democratico che si proponesse di arginare energicamente il movimento fascista, avevano reso arbitro il PS di accettare o non accettare questa soluzione per liquidarlo politicamente sotto il cumulo della responsabilità di un mancato accordo antifascista. In questo stesso modo di porre la questione da parte dei democratici era implicita la preventiva capitolazione dinanzi al movimento fascista, fenomeno che si riprodusse poi nel periodo della crisi Matteotti. Tuttavia tale impostazione, se ebbe in un primo tempo il potere di determinare una chiarificazione nel PS, essendosi in base ad essa prodotta la scissione dei massimalisti dai riformisti, aggravava però la situazione del proletariato. Infatti la scissione rendeva infruttuosa la tattica proposta dai democratici, in quanto il governo di sinistra da questi prospettato doveva comprendere il Partito socialista unito, cioè significare la cattura della maggioranza della classe proletaria organizzata nell’ingranaggio dello Stato borghese, anticipando la legislazione fascista e rendendo politicamente inutile l’esperimento diretto fascista. D’altronde la scissione, come apparve piú chiaramente in seguito, solo meccanicamente aveva portato a uno sbalzo a sinistra dei massimalisti, i quali, se affermavano di volere aderire alla IC e quindi riconoscere l’errore commesso a Livorno, si muovevano però con tante riserve e reticenze mentali da neutralizzare il risveglio rivoluzionario che la scissione aveva determinato nelle masse, portandole cosí a nuove disillusioni e a una ricaduta di passività, di cui approfittò il fascismo per effettuare la marcia su Roma.
Il nuovo corso nel partito
Questa nuova situazione si riflette al IV Congresso della IC, dove si arrivò alla formazione del Comitato di fusione dopo incertezze e resistenze che erano legate alla persuasione radicata nella maggioranza dei delegati del nostro partito che lo spostamento dei massimalisti non rappresentava che una oscillazione transitoria e senza avvenire. In ogni modo è da questo momento che si inizia nell’interno del nostro partito un processo di differenziazione nel gruppo dirigente di Livorno, processo che prosegue incessantemente ed esce dal campo del fenomeno di gruppo per divenire proprio di tutto il partito, quando si avvertono e si sviluppano gli elementi della crisi del fascismo, iniziatasi col Congresso di Torino del partito popolare.
Appare sempre piú evidente che occorre far uscire il partito dalla posizione mantenuta nel 1921-’22, se si vuole che il movimento comunista si sviluppi parallelamente alla crisi che subisce la classe dominante. La pregiudiziale che aveva avuto una cosí larga importanza nel passato, per la quale occorreva prima di tutto mantenere la unità organizzativa del partito, veniva a cadere per il fatto che, nella situazione di conflitto tra il nostro partito e la Internazionale, si costituiva nelle nostre file uno stato di frazionismo latente, che trovava la sua espressione in gruppi nettamente di destra, spesso con carattere liquidazionista. Tardare ancora a porre in tutta la loro ampiezza le quistioni fondamentali di tattica, sulle quali fino allora si era esitato ad aprire la discussione, avrebbe significato determinare una crisi generale del partito senza uscita.
Avvennero cosí nuovi raggruppamenti che andarono sempre piú sviluppandosi, fino alla vigilia del nostro III Congresso, quando fu possibile accertare che non solo la grande maggioranza alla base del partito (che non era stata mai apertamente interpellata), ma anche la grande maggioranza del vecchio gruppo dirigente si era staccata nettamente dalla concezione e dalla posizione politica di estrema sinistra, per porsi completamente sul terreno dell’Internazionale e del leninismo.
L’importanza del III Congresso
Da ciò che è stato detto finora appare chiaramente quanto fossero grandi l’importanza e i compiti del nostro III Congresso. Esso doveva chiudere tutta un’epoca della vita del nostro partito, ponendo termine alla crisi interna e determinando uno schieramento stabile di forze tale da permettere uno sviluppo normale della sua capacità di direzione politica delle masse da parte del partito e quindi della sua capacità d’azione.
Ha il congresso effettivamente risolto questi compiti? Indubbiamente tutti i lavori del congresso hanno dimostrato come, nonostante le difficoltà della situazione, il nostro partito sia riuscito a risolvere la sua crisi di sviluppo, raggiungendo un livello di omogeneità, di compattezza e di stabilizzazione notevole e certamente superiore a quello di molte altre sezioni dell’Internazionale. L’intervento nelle discussioni di congresso dei delegati di base, alcuni dei quali venuti dalle regioni dove piú è difficile l’attività del partito, ha dimostrato come gli elementi fondamentali del dibattito, fra l’Internazionale e il CC da una parte e l’opposizione dall’altra, siano stati non solo meccanicamente assorbiti dal partito, ma, avendo determinato una convinzione consapevole e diffusa, abbiano contribuito ad elevare in misura impreveduta anche dagli stessi compagni più ottimisti, i...

Table of contents

  1. Il Mezzogiorno e la guerra
  2. Clericali ed agrari
  3. Operai e contadini (L’Ordine Nuovo, 2 agosto 1919)
  4. Operai e contadini (L’Ordine Nuovo, 3 gennaio 1920)
  5. Operai e contadini (Avanti!, 20 febbraio 1919)
  6. La lettera per la fondazione de «l’Unità»
  7. Il Mezzogiorno e il fascismo
  8. La crisi italiana
  9. La relazione di Gramsci sul III Congresso (Lione) del Partito comunista d’Italia
  10. Alcuni temi della quistione meridionale